Cercando i nipoti dei Finzi Contini di Stefano Reggiani

Cercando i nipoti dei Finzi Contini A FERRARA CON BASSANI Cercando i nipoti dei Finzi Contini (Dal nostro invialo speciale) Ferrara, dicembre. Sono passati gli anni di Micol Finzi Contini e del farmacista dottor Barilari, il negozio di pasticceria in corso Giovecca ha cambiato nome e specchiere, ma la tradizione resta ugualmente annidata dietro i banchi e i sorrisi padani dei camerieri. Sono questi, dunque, i cannoli di crema che ricordano a Giorgio Bassani il sapore di Ferrara: li assaggiamo con giusto rispetto, frangendo appena la soffice crosta con i denti e lasciando che il ripieno si spanda leggermente sulla lingua. Il boccone va accompagnato da uno sguardo circolare oltre le vetrine, sul corso che le nebbie invernali velano di una tristezza civile. In questa città bisogna cominciare dalle piccole cose la scalata ad un segreto urbano fra i più affascinanti d'Italia, conficcato in un panorama apparentemente immutabile, negli umori e nelle reticenze di una gente amichevole e distratta. E' appena uscita nelle librerie la nuova edizione delle « Storie ferraresi », completamente riscritte da Bassani, anche nel titolo (Dentro le mura), e ornata di un soprattitolo non ambiguo: « Il romanzo di Ferrara, Libro Primo ». Ci chiediamo se non è l'occasione più facile e diretta per rivisitare con Ferrara la provincia che tutti ci portiamo nell'anima (topografìe alterate da manomissioni nostalgiche, ricordi di vecchie scuole e di fresche compagne, dibattiti notturni con gli amici, balli casalinghi, accensioni liriche dell'adolescenza). Uno scrittore può aiutarci, perché riscatta la propria città in una dimensione universale, e sublima ogni indulgenza verso noi stessi. « Non sono un autore ferrarese — dice Bassani, — ma la città è l'oggetto del mio rapporto lirico con il passato. Forse non sono troppo amato dai miei concittadini. Molti mi detestano perché ho risvegliato vecchi fantasmi, tenuto viva ed emblematica una lacerazione della storia». Così i sorrisi ad ogni rimpatriata sono forzati, le cortesie di alcuni « ex fascistoni » ipocrite o aggressive («dopo la dolorosa / pacca sulla spalla mancina / l'agape casalinga »), i giudizi dei borghesi cauti e disorientati. La saga di Bassani è nata sul discrimine di due mondi, raccontando i suoi personaggi egli li ha definitivamente consegnati al passato. Ieri le prepotenze degli agrari, le feste esclusive al Circolo Unione, la fronda fascista del Corriere padano di Balbo, i primi disinganni del Guf, gli incontri e i flirt dei giovani sui cam pi da gioco della Marfisa, la violenza razziale. Oggi una nuova chsse, contadina e inv piegatizia, al potere; un turbamento che si colora di efficienza; un assaggio di politica conciliare, secondo la natura emiliana, fra masse comuniste e cattoliche. « La città — osserva Bassani — non ha mai perdonato alla sua borghesia di avere aderito alla Repubblica Sociale, gli ultimi anni di guerra pesano in maniera irrimediabile sul nostro recente passato. Ferrara è una comunità tragica, spartita nel profondo, che cambia volto anche per non riconoscersi ». Che cosa è mutato e che cosa è rimasto intatto della Ferrara bassaniana? «Non c'è nulla dei miei ricordi — avverte l'autore, polemico —. Neppure gli spazi verdi tra le case e le mura, dove io sognai il giardino dei Finzi Contini. Spariti gli orti, cancellate le grandi famiglie. Il quartiere di San Romano è stato sventrato dopo la guerra, secondo uno stile appreso dal fascismo ». Se Bassani si sente torturato in casa sua, il visitatore per contrasto cade prigioniero della città, delle vie acciottolate che annunciano la pianura e l'odo re del Po, delle prospettive fan tastiche, archi e muri, giardini invisibili. Se è vero che gli oggetti letterari prevalgono sui loro scopritori, mai luoghi sono sembrati più bassaniani e lirici, in un modo perfino stordente Non per caso sono nati qui Michelangelo Antonioni e Florestano Vancini, indirizzati al ci nema anche da una fatalità del clima e dell'ambiente. Ferrara torna come un enigma in Cronaca di un amore, la Bassa esala rabbia caliginosa nel Grido. Com'è tutta ferrarese La lunga notte del '43 e tutte padane sono Le stagioni del nostro amore. Antonioni, qui affettuosamente ricordato come Lino ai tempi del Guf, ha conservato della patria un segno di impazienza («ci si sentiva terrìbilmente chiusi ») e un blasone di nobiltà («sono un uomo del Nord: lucido e nervoso, riservato ed esigente »). Il regista da ragazzo aveva l'abitudine di copiare su un album le architetture cittadine e di spiare, attraverso i cancelli, i giardini che si estendevano dal centro fino alla cerchia di mura. Questi verdi spazi privilegiati resistono ancora; insieme con l'immaginario recinto dei Finzi Contini costituiscono il richiamo agreste e metafìsico di Ferrara, la punteggiatura di un discorso fìtto di capolavori. « La struttura estetica di Ferrara — ha scritto Alfred Andersch — è ad un tempo classica ed enigmatica, chiara e raffinata » e dalla luce marezzata « emerge una tensione erotica ». Egli ha percorso la città « sui passi dei Finzi Contini », trovando delusioni e conferme, inquieto come Goethe (« un tempo una corte brillante animava le strade, qui visse scontento l'Ariosto ed il Tasso infelice >.•). Dalla pasticceria Folchini, ora Europa, in corso Giovecca, usciamo col sapore del dolce bassaniano in fondo alla lingua, come una nostalgia letteraria. Si può condannare una città alla conservazione dei propri miti? Il poeta Franco Giovanelli (unico rimasto in patria del gruppo di Bassani, Antonioni e Caretti) ci accoglie in via Brazavola con il gesto cortese di una lunga abitudine. Quanti ne ha già accompagnati alla scoperta di Ferrara, sentendosi insieme depositario di un segreto e testimone di una rinascita impossibile. Nella notte limpida e fredda, che ha smesso per compiacenza le nebbie, la visita alla città è contrappuntata dall'analisi delle istituzioni e dei vizi locali. Ecco il profilo della Certosa, contro il fondo stellato, ecco la via dove Bassani immaginò il funerale del vecchio socialista nel racconto su Clelia Trotti. (Giovanelli: « Che faccio qui? Insegno, presento gli scrittori di passaggio, mi occupo dell'Associazione partigiani. Le serate culturali sono divise tra Casa Cini gestita dai gesuiti e la Stella dell'assassino, sala comunale e comunista. Ferrara mi piace troppo per abbandonarla»). Ecco il convento di S. Antonio in Polesine, silenzioso davanti al sonno di una pattuglia di suore, padrone di un giardino incantato pieno di alberi da frutto (« Quando portai qui Montale si mise a cantare per la contentezza con la sua voce da barìtono, e tutte le converse applaudivano »). Nel chiostro di San Giorgio, appena fuori le mura, parliamo dei famosi circoli cittadini. C'è una foto degli Anni Trenta, scattata al Circolo Unione: uomini robusti in abito da sera e fanciulline vestite in lungo, fieri e impacciati del loro sodalizio aristocratico. Dice Giovanelli: «Unione e Circolo dei negozianti: due distinzioni sociali di grado differente. Anche i notabili della nuova classe sono affascinati dalla tradizione». Cosi i migliori funzionari di partito fanno la corte alle sopravvivenze borghesi più illuminate: nascono belle mostre alla Galleria d'arte moderna e concerti impervi nel Teatro Comunale. Presso il museo di Spina o il palazzo Roverelli tacciono le confidenze notturne fra il poeta e l'ospite per far posto ad una intima stupefazione. La città si inquadra in un disegno di perfezione dimenticata, il silenzio assoluto vi aggiunge un'aria grave di secoli. Davanti alla Chiesa che custodisce gli Estensi, Lucrezia Borgia compresa, si capisce che Ferrara non ha mai dismesso il vestito di capitale; forse per questo è abbandonata al supplizio delle memorie. Il partito comunista ha inviato poco tempo fa Amendola a celebrare i martiri del '43. Entrato con disagio nella dimensione cittadina, Amendola ha invitato i compagni a fare l'autocritica, sollecitando il nascere di forze intellettuali. Probabilmente non capiva il salto storico tra Bologna e Ferrara, un centro che non ama neppure i contatti con la propria Università. L'orgoglio civico ha soggezione della cultura, si esercita con pazienza e cautela, nel rispetto esteriore delle glorie locali. « Prepariamo un convegno su Ariosto, per il Centenario » dice il sindaco, che ricorda l'« Ottava d'oro » del 1933, solenne invenzione dell'accademia fascista. Il sindaco ha un bel nome verdiano, Radames Costa, ed un sorriso distante sul volto tagliato a spigoli. Osserva: « Abbiamo commesso solo un errore, lo sventramento di San Romano ». Sono spariti « i portici bassi, dove stagnava un acre sentore di pesce fritto, salumi, vini e filati di poco prezzo, ma pieni di folla, donnette, ragazzi, contadini ammantellati », come scrisse Bassani ne Gli Occhiali d'oro. Allora, dice il sindaco, non c'era una coscienza urbanistica sviluppata; adesso «si farà un concorso nazionale per un parco tra le mura ed il Po e si recupererà tutto il verde di Ferrara. Le vecchie case saranno risanate senza distruggerle. Attrezzeremo a giardini perfino una grande isola del Po ». In realtà i luoghi di cui parla Costa e quelli cui è legato il poeta appartengono a due mondi diversi, separati dalla lacerazione che i racconti ferraresi testimoniano. L'autore preferisce tornare a casa solo in sogno, immaginando di passare in Rolls Royce per via Cisterna del Follo, davanti al suo giardino e alla sua magnolia. La signora Bassani, soave figura dai capelli candidi, custodisce in quella casa un pezzetto simbolico di Ferrara. Piantarono la magnolia quando dovettero fuggire per le persecuzioni razziali, ed ora l'albero ha raggiunto un'altezza mai vista, sporge oltre le mura per raccogliere un poco di sole. Le grandi famiglie, le case accoglienti, gli alberi affettuosi: oggetti di romanzo in una città in lotta contro se stessa. I nuovi cittadini, inurbati di recente dalla campagna, respirano l'antica aria come un veleno, poiché non saranno mai nostalgici e non saranno più contadini. Gli resta quella sensualità che già avvertì Piovene, ma nascosta e riottosa. L'altra sera al Teatro Verdi, davanti allo spettacolo sexy di Tamara Baroni (uni ca rappresentazione straordina ria) il pubblico di anziani e di coppie quarantenni taceva con riserbo e ironia. Solo un gruppo di studenti rinverdiva lo stile goliardico reclamando dalla bella Tamara, come ai tempi di Balbo: « Nuda, nuda! ». Stefano Reggiani