Uomini e statue

Uomini e statue Viaggiatori in Italia Uomini e statue Charles de Brosses: « Viaggio in Italia », Ed. Laterza, pag. 492, lire 8000. Stendhal, « Passeggiate romane», Ed. Laterza, pag. 678, lire 9500. « // fatto stesso che l'autore non sospettasse minimamente che un giorno le sue Memorie sarebbero state date alle stampe, pone la sua opera al di sopra di tutto ciò che si potrà mai scrivere sull'Italia »: così Stendhal, nelle Passeggiate romane, testimoniava la sua ammirazione per de Brosses e si metteva al riparo da pericolosi confronti; quanto a lui, si sarebbe limitato a scrivere una guida turistica di Roma, ben sapendo che dire la verità « per i tempi che corrono, non è certo una piccola impresa, anche se si tratta di colonne e di statue ». A distanza di tanti anni però, la contemporanea riproposta di queste due opere così diverse nella collana laterziana dei « Viaggi » autorizza quel confronto che Stendhal aveva voluto scoraggiare; come tutte le altre pagine dei viaggiatori stranieri, anche questi due libri hanno perduto quel dépaysement turistico che costituiva tutto il loro pregio per assumerne un altro più intenso in virtù della crescente divaricazione temporale: ormai sono soltanto dei viaggi nel nostro passato, specchio mutevole e prezioso che acquista fedeltà a mano a mano che gli anni attenuano le riserve polemiche e lasciano decantare le connotazioni personali, documenti fondamentali di quella storia d'« Italia fuori d'Italia » che Franco Venturi ci ha insegnato a decifrare. Il preminente interesse storico consente di trascurare quelle differenze strutturali che a Stendhal sembravano decisive, per insistere su quelle ideologiche e valutare, prima ancora della correttezza dell'immagine dell'Italia che ci hanno lasciato, la qualità della visione dei due scrittori. Ci si accorgerà così che il secolo che separa i due viaggi è servito più a modificare lo sguardo del viaggiatore straniero che la situazione italiana. Quando il piccolo presidente del Parlamento di Borgogna scende in Italia per rintracciarvi testi del suo adorato Sallustio, i suoi brillantissimi studi gli hanno già trasmesso una immagine del nostro Paese che il lungo e attento viaggio non saprà che confermare. E' un uomo arguto e curiosissimo, colto e spiritoso e, anche se le sue lettere sono indirizzate a dotti amici borgognoni e ambiscono all'informazione e alla dottrina di vere e proprie «memorie» accademiche, trova sempre il modo di punteggiarle di annotazioni brillanti e di battute feroci, come questa, lapidaria, sullo Stato della Chiesa: « Machiavelli e Moro si sono potuti creare l'idea di un'utopia; qui si trova la realizzazione del suo opposto ». Ma c'è un bisogno di razionalità nel quadro che de Brosses vuol farsi di un'Italia dignitosa ma asfìttica, eterna sopravvissuta di uno splendido passato; perciò ne espunge sistematicamente tutto ciò che non vi si accorda, dai lazarielli napoletani che gli ispirano solo disgusto al bonhomme Muratori che in una gelida biblioteca spulcia con maniacale costanza oscure paperasses di « orribili secoli di ignoranza ». Malgrado la cordialità del suo sguardo, nel plumbeo panorama italiano non riesce a scorgere un solo fermento che lo animi e con le sue lettere riesce a costruire soltanto un nutritissimo inventario di ricognizione, non certo un'analisi o una diagnosi. Uomo del Settecento preilluministico e provinciale, si lascia volentieri accecare dall'aristocratico sarcasmo, e proprio sui temi che nel « carbonaro » Stendhal provocheranno i più ottimistici fervori: le possibilità di rigenerazione della cultura e del popolo. Nell'incondito pot-pourri delle « Passeggiate romane » l'itinerario turistico viene soverchiato dalle divagazioni « egoistiche » e da ogni altra sorta di digressioni, daWhistoriette dell'inglese a cavallo che scambia il Colosseo per un edificio in costruzione alle vere e proprie chroniques italiennes di Lucrezia Frangimani e di Francesca Polo. E' il particolarissimo modo stendhaliano di coin volgere gli ipotetici happy few di passaggio per Roma in una avventura intellettuale molto più ambiziosa, di sollecitarli a una partecipazione totale alla vita di un popolo e di una città. Di fronte alla proverbiale avidità di un oste romano, de Brosses aveva fatto regalmente buon viso, in virtù dei budini sopraffini che gli aveva saputo preparare; nella stessa situazio¬ nnicrsssdcc ne Stendhal sarà altrettanto generoso, ma solo perché « era il tramonto, non avevo che pochi istanti » per correre in carrozza ad ammirarlo dal Colosseo. In questo banalissimo episodio sta tutta la distanza che separa i due viaggiatori e rende così differenti le immagini che ci hanno lasciato dell'Italia. A contatto con un popolo « per un quarto formato di preti, un quarto di statue, un quarto di gente che non lavora quasi mai e l'altro quarto di gente che non fa assolutamente nulla», de Brosses, nel 1740, trovava naturale descrivere gli ozi di quest'ultimo quarto; nel 1829, col pretesto di descrivere soltanto le statue, Stendhal trovava già il modo di scoprire nella « gente che non lavora quasi mai » una potenziale energia e di credervi anche troppo. Ma il registro « storico » non esaurisce l'interesse di questa duplice occasione di lettura; delle molteplici sollecitazioni che tuttora sopportano le due opere — non ultima, quella squisitamente « letteraria » — Alberto Moravia ha scelto, per presentare le Passeggiate romane, quella agrodolce del riscontro col nostro presente. Ma è un gioco troppo crudele per il lettore: la Roma della prefazione di Moravia è quella di vent'anni fa, e già, per riscoprirla, ci vorrebbe un Baedeker più fìtto e appassionato di quello di Stendhal... Giovanni Bogliolo I « Mendicanti » del settecentista Pier Leone Ghezzi