Un elogio dell'ozio

Un elogio dell'ozio Un elogio dell'ozio Orazio: « Elogio dell'ozio », antologia dalle opere, a cura di Carlo Carena, con un saggio di Carlo Cassola, Editore Paravia, pagine XXIII-242, lire 2100. Nel rompere col fascismo, del quale era slato più e meglio che « Fiancheggiatore », dopo il discorso mussoliniano del 3 gennaio, Antonio Salandra dichiarava alla Camera, quasi per un commiato o una sfida: « A me preme soltanto rimanere, con molti o con pochi o anche solo, quello che fui, quello che sono, nec turpem senecioni degere ». Mio padre fiutò sùbito l'origine della citazione, tolse dallo scaffale uno dei molti Orazii della sua biblioteca (eliam penare ritinoe...), ritrovò l'ode, me la lesse, o fece leggere. Ed ebbi così il mi:.) battesimo oraziano. Poco avanti e poco dopo l'emblematico Orazio, o l'emblematica citazione oraziana, del neo-antifascista Salandra. un amico ed editore suo, un altro parlamentare antifascista del Mezzogiorno, Giustino Fortunato, stampava un proemio e una versione di 32 odi d'Orazio, cui plaudì, in una entusiastica e memorabile recensione sul gobettiano Bareni, il prossimo insegnante torinese Augusto Monti. Il quale, anzi, nel nome di Gobetti testé morto esule, rivendicava, dunque ancor prima della Storia d'Italia del Croce, la positività e la presenza non pur di «uomini oraziani», ma d'un'ItaMa «oraziana», l'infamata (allora ed ora), l'infangata (allora ed ora) « Italietta » del primo ventennio o trentennio unitario in cui, tra scuole di preti e la scuola napoletana di Francesco De Sanctis, s'erano formati, senza più scordarsi di Orazio, il Fortunato, appunto, e il Salandra. Né erano, gli « oraziani », cioè gli uomini della ragione, della politica in quanto esercizio della ragione e non fomento del demagogismo o ribollimento delle passioni, solamente meridionali. Quest'Orazio, dunque, non tecnico, non filologico, non retorico né letterario, vorrebbe restaurare, reimmettere nel cerchio della nostra scuola e della nostra cultura, il Carena: il quale avverte più o meno esplicilamcnte il jato di civiltà che ci separa ormai dal poeta, dagli uomini « oraziani », e forse ha solo il torto d'individuare nel « classicismo » il peccato di Orazio, la ragione del distacco fra lui e noi. Ma un Orazio anticlassicista, quand'anche il Carena deliberatamente escluda dalla sua scelta le professioni di fede o di critica letteraria, nonché le professioni di fede nella restaurazione augustea, in una (più o meno bene) ordinata res publica, quasi un « mito » che ad uno dei maggiori interpreti di Orazio parve anticipare o prefigurare il « mito » dantesco della repubblica di Cacciaguida, e un Orazio, nell'ipotesi migliore, dimezzato, e, nell'ipotesi peggiore, un Orazio non-storico. Storicizzare la poesia, e più specialmente (più giustamente anche) la poesia antica; sociologia della letteratura; letteratura e società; il «classicismo» come espressione della letteratura « protetta » o d'una propaganda politica: a questi appelli, ammonimenti e propositi dei «sinistrorsi» impegnati sembrano sordi, e naturalmente non me ne dolgo, il Carena e più ancora il Cassola. Ricercano, invece, un Orazio umbratile, ozioso, a-politico, od anti-politico: e sempre, od anzitutto, il poeta. Perciò, nel concreto dell'esegèsi, nel commento puntuale a pie di pagina o nei « cappelli » introduttivi, il Carena riesce sempre felicissimo e persuasivo, una guida eccellente alla rilettura, d'un poeta. Eppure, quale poeta? e perché poeta? e destinato a quale fortuna nel vario volger dei secoli, fino a jeri, fino all'ultima generazione degli uomini che Augusto Monti chiamava « oraziani »? Ora, la fortuna di Orazio, lo stesso classicismo di Orazio sono inscindibili dalla storia della sua vita e dalla critica della sua poesia. Nessuno mi par ne sia altrettanto consapevole quanto il Carena, in quell'utilissima e dotta appendice al suo libro, dov'è appunto ricostruita la linea d'una presenza e d'una influenza che furono dirimenti per la nostra civiltà letteraria, per lo stesso nostro sentire e costume politico. Basti rammentare, fra Sette e Ottocento, l'imitazione oraziana dei poeti d'Arcadia, Parini compreso, e l'avversione giacobina al poeta di Augusto, quale sfogarono con appassionata eloquenza l'Alfieri e il Foscolo. E' facile stroncare, e sono ormai anacronistiche stroncature alla Papini, troppi dei giudizi categorici del Cassola. E' smlnpCdidccmrcpsqcusrleRganpdgniqqNCs facile, ma non cadde in quest'errore il Fortunato, sopprimere il Carmen saecuìare, relegandolo con qualche ragione fra il ciarpame della non poesia. Eppure, nel tradurre il Carmen saecuìare, al « deputato del collegio di Orazio » veniva in mente quel giorno lontano del dicembre 1890, quando l'archeologo Barnabei lo mandò a chiamare per mostrargli i frammenti allora allora scoperti del rendiconto ufficiale dei Ludi Secolari. Termina con le nude parole celebri: Carmen composuil Q. Horatius Flaccus. E questo figlio d'un liberto (si chiese nel suo ultimo scritto un altro meridionalista antifascista, il Ciccotti) non era, forse, razzialmente impuro e perseguilabile: non aveva, cioè, sangue ebraico? E Roma, tuttavia, la Roma imperiale, la Roma augustea, l'accolse a sé, gli volle affidato H Vompitò di' celebrare I non tanto, o non soltanto, il le speranze passato, quanto dell'avvenire. Perciò, francamente, non toglierei, non dimezzerei Orazio, non escluderci o condannerei il suo classicismo. Anche per questo, forse soprattutto per , questo, oggi Orazio e attuale. \ Non solamente per la poesia ' Comunquc, Orazio medesimo lo sapeva: non omnis moriar... Piero Treves

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