Trent'anni fa, in Italia la tragedia degli ebrei di Giuseppe Mayda

Trent'anni fa, in Italia la tragedia degli ebrei Le persecuzioni e le stragi sotto la repubblica di Salò Trent'anni fa, in Italia la tragedia degli ebrei 1° dicembre 1943, telegramma del ministro dell'Interno: "Gli ebrei debbono essere inviati in campi di concentramento" - Vennero deportati dall'Italia 7945 israeliti e ne ritornarono 464 - Le "brigate nere" fasciste parteciparono allo sterminio - I bimbi ignari chiedevano "che cosa abbiamo fatto di male?" La tragedia degli ebrei ilalinni sodo la repubblica di Salò ebbe inizio trent'anni fa, di questi giorni, con una ordinanza di polizia. La mattina del 1" dicembre 1943, infatti, un telegramma cifrato del ministero dell'Interno — spedito alle ore 9 e indirizzato, con « precedenza assoluta », ai capi delle Province per « l'immediata esecuzione » — stabiliva che: « 1) lutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale, debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili ed immobili debbono essere sottoposti ad immediato sequestro, in attesa di essere confiscati nell'interesse della Repubblica Sociale Italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche; 2) tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali italiane vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza degli organi di polizia. Siano pertanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali in attesa di essere riuniti in campi di concentramento appositamente attrezzati ». L'ordinanza Quest'ordinanza, firmata dal ministro dell'Interno Guido Buffarmi Guidi e che sarebbe stata conosciuta come l'« ordine di polizia numero 5 », seguiva a due settimane di distanza l'approvazione, da parte della Costituente fascista, del punto 7 della Carta di Verona (« Gli appartenenti alla razza ebraica sono stranieri. Durante questa guerra appartengono a nazionalità nemica ») e dava ufficialmente inizio alla deportazione degli ebrei italiani anche se, nei primi due mesi e mezzo della sua vita, la r.s.i. aveva già provveduto a perseguitare gli israeliti senza attendere la circolare del ministro Buffarmi: a settembre, a Nonantola, nel Modenese, il reggente repubblichino Boni aveva guidato di persona i tedeschi alla caccia degli ebrei della scuola agricola di « Villa Emma »; il giorno 28 dello stesso mese gli ebrei di Cuneo (con una vera e propria anticipazione dell'« ordine di polizia nr. 5) erano stati rastrellati casa per casa dalla milizia e dai carabinieri e rinchiusi nella caserma degli alpini a Borgo San Dalmazzo; in ottobre, a Firenze, la « banda Carità » aveva consegnato ai tedeschi, per la deportazione, i coniugi ebrei Vittorio Sadun e Matilde Calò Sadun con i loro due figli Amici Franco e Lya di 13 e 12 anni. L'ordinanza del 1" dicembre codificò quindi un sistema che, sia pure in modo sporadico sebbene diffuso, era in atto da tempo. Da quel giorno e nei venti mesi della r.s.i. vennero infatti deportati dall'Italia — secondo uno degli studi più recenti, quello pubblicato nel 1971 da Carmine Lops — 7945 ebrei e ne ritornarono 464 per cui le vittime dello sterminio, complessivamente, furono 7481. Un elenco dettagliato, redatto tre anni fa dalla compianta dottoressa Eloisa Ravenna, del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, di Milano, attesta che da Alessandria — una Comunità comprendente anche Acqui ed Asti — vennero deportati 31 ebrei e uno solo potè fare ritorno. / sedici di Casale Dei sedici ebrei di Casale Monferrato nessuno sopravvisse, e così fu dei 45 deportati di Gorizia, dei 58 di Merano, dei 14 di Modena e Reggio Emilia, dei 12 di Napoli, dei 23 di Parma, dei 4 di Udine, dei 24 di Vercelli, dei 30 di Verona. Ad Ancona furono prelevati dieci ebrei e se ne salvò uno. A Bologna i deportati che trovarono la morte furono 84, cioè il 10% dei membri di quella Comunità. Degli 87 ebrei deportati da Ferrara cinque si salvarono ma da Firenze e Siena — dove ne erano stati rastrellati ben 263 — soltanto nove rientrarono in Italia. Fiume ebbe 258 deportati e 22 superstiti; Genova e La Spezia, con 244 deportati complessivi, ne videro tornare 12. A Livorno, su 93 deportati, se ne salvarono 15; a Mantova, su 39, uno solo. Degli 896 ebrei deportati da Milano ne tornarono 50; a Pisa i deportati furono 9 e un solo superstite. Da Roma e da Rodi, complessivamente, furono deportati 3394 ebrei e si conosce soltanto il numero degli scampati romani: 105. Torino — con Carmagnola, Chcrasco, Chicli, Cuneo, Fossano, Ivrea, Mondovì, Saluzzo e Savigliano — ebbe 407 deportali e 31 superstiti; dei 620 ebrei triestini ne ne salvarono 17. dei 212 veneziani soltanto 15. La decisione di Salò di internare gli israeliti fu, come scrive Guido Valabrega, «la più crudele e feroce disposizione della persecuzione ebraica » e, senza dubbio, rappresentò uno dei primi patti che rinsaldarono — all'indomani dell'8 settembre 1943 — la nuova alleanza fra repubblichini e nazisti. Testimonianze fino ad oggi inedite rivelano che i treni carichi di ebrei diretti dall'Italia ai campi di sterminio furono spesso accompagnali, fino ad Auschwitz, non soltanto dai tedeschi ma anche da reparli delle diverse polizie di Salò, brigate nere, carabinieri e g.n.r. (l'israelita Frida Misul in Rugiaidi ha comunicalo a chi scrive che il suo convoglio, partito da Fossoli nel maggio 1944 con destinazione Auschwitz, fu scortato « da uomini delle SS e da elementi fascisti e delle brigate nere » i quali, durante il viaggio, « preferivano gettare ai cani gli avanzi del loro cibo piuttosto che passarli a noi »). ff Moderatismo I documenti ritrovati in questi ultimi anni e le ricerche compiute permettono di gettare qualche nuova luce su quei tragici avvenimenti e di rivedere, almeno parzialmente, talune affermazioni e conclusioni. Premesso che Mussolini non poteva ignorare il pericolo mortale cui andavano incontro gli ebrei una volta internali — poiché da almeno due anni sapeva quale fosse la sorte loro riservata in Germania e, per la deportazione di un gruppo di ebrei stranieri, ne avesse dato a suo tempo addirittura la propria approvazione scritta — un documento fascista contraddice la tesi del presunto « moderatismo » di Buffarmi Guidi e dei massimi dirigenti di Salò: si tratta di una circolare « riservata e urgente » della Questura di Firenze che, in data 14 dicembre 1943, comunicava ai dipendenti commissariati di pubblica sicurezza i provvedimenti da adottare nei confronti degli ebrei « giusta ordini superiori — specificava — e di inlesa col competente Comando della Polizia tedesca ». II ministero dell'Interno della r.s.i., quindi, aveva concertato l'internamento degli israeliti italiani d'accordo con le SS — l'organismo che, in maniera specifica, svolgeva compiti di persecuzione razziale — ma, curiosamente, volendo ottenere che questi ebrei potessero rimanere nei campi italiani ed evitare cosi lo sterminio non si era più rivolto alle SS ma all'uomo sbagliato, cioè al comandante tedesco del teatro di guerra mediterraneo, il quale — in fatto di deportazioni di ebrei — era poco probabile potesse dare ordini ad Eichmann che, come ha detto la sentenza di Gerusalemme, « era il superiore di se stesso ». Un caso emblematico è quello di Mantova che fu, probabilmente, la prima città dove venne applicato immediatamente l'« ordine di polizia nr. 5 ». Già alle ore 14 del 1" dicembre, infatti, la polizia italiana circondò l'edificio della Comunità Israelitica di via Gilberto Govi 11 che comprendeva la sinagoga, il ricovero per persone anziane e l'asilo dei bimbi. Tutti gli ingressi furono bloccati. 11 segretario della Comunità, Davide Tedeschi, convocato in Questura, seppe che si doveva I istituire a Mantova un campo | di concenti-amento per ebrei: a questo scopo era stata scelta dalle autorità fasciste la Pia Casa di Ricovero israelitica che avrebbe preso il nome di «campo provinciale di concentramento ebraico». Il segretario fu munito di un lasciapassare valido fino alle ore 19 e gli si disse che, in seguito, l'amministrazione del campo sarebbe stata affidala ad un commissario prefettizio (cosa che. in effetti, avvenne). In pochi giorni affluirono alla Pia Casa di Ricovero più di un centinaio di ebrei rastrellati nella zona. A metà dicembre gli israeliti concentrati erano 121 (47 uomini, 64 donne. 10 bimbi) compreso il dottor Silvio Mortara, Primo presidente della Corte d'Appello di Milano. L'internamento degli ebrei deciso il I." dicembre 1943 non fu quindi la « politica del minor male razziale », come affermano alcuni autori, ina una vera e propria politica di persecuzione. Il « boia delle Aideatine », Kappler, testimoniando al processo contro Eichmann. disse che a Roma le autorità fasciste « avevano dato ordine alla polizia, agli iscritti al partito e persino ai civili dì arrestare tutti gli ebrei che potessero trovare »; una sentenza emessa nel 1947 dalla Corte d'Assise di Roma contro imputali italiani stabilì che, durante l'occupazione nazista, esistevano nella capitale sei bande che si occupavano « sia della cattura degli ebrei che del sequestro dei loro beni » e che i componenti di queste squadracce venivano ricompensati con un premio in denaro per ciascun israelita catturato (5000 lire ogni uomo; 2000 lire ogni donna; 1000 lire ogni bambino). Strumenti per questa « caccia all'ebreo » furono — a Roma come del resto in qualsiasi altro capoluogo italiano — gli elenchi nominativi degli israeliti. Compilati già nel 1938-1939, all'epoca dell'applicazione delle leggi razziali e conservati negli uffici anagrafe e nelle Questure, contrariamente a quanto generalmente si crede erano stati continuamente aggiornati: quello di Milano, ritrovato nel 1967. era a stampa e conteneva 7482 nominativi completi di paternità, generalità della madre, luogo e data di nascita, stato civile, residenza, professione, richiami sui | parenti ed eventuali mutamenti di indirizzo. Proprio grazie a queste liste dettagliate, dopo la « grande razzia » dei 1041 ebrei romani condotta dai tedeschi il 16 ottobre 1943, i fascisti della capitale riuscirono ad arrestare e deportare, in otto mesi, altri 1086 israeliti (escludendo da questa cifra i 75 assassinali dalle SS alle Ardeatine) : un record — rileva Robert Katz in « Sabato nero » — che superava di gran lunga quello della Gestapo perche compiuto senza i mezzi di cui disponevano i tedeschi e lavorando in condizioni molto più difficili. In complesso, l'« ordine di polizia nr. 5 » portò all'internamento e alla deportazione di quasi 8000 ebrei, « un quinto degli israeliti residenti in Italia », scrive Gerald Reitlinger, e di cui 2824 — secondo i calcoli di Carmine Lops — furono inviati ad Auschwitz attraverso il campo di Fossoli. Per gli altri, quelli che poterono sfuggire alla caccia, il tardo e grigio autunno di trent'anni fa rappresentò un lungo rosario di drammi che, forse, rimarranno per sempre sconosciuti: il dramma dell'uomo solo e braccato, il dramma della madre separata dai figli, il dramma delle fughe di notte e degli espatri avventurosi; il dramma delle famiglie disperse, dei travestimenti, dei nomi e dei documenti falsi; il dramma della fame, dei ricatti e dei saccheggi subiti; il dramma dei bimbi che, ignari, chiedevano al padre, ebreo fuggiasco da Livorno: « Perché ci trattano così? Che cosa abbiamo fatto di male? Che cosa puoi aver fatto, tu?». Giuseppe Mayda Varsavia 1943. Una foto che tutti ricordano del rastrellamento nel ghetto (Ap)