Per la "riforma urbanistica,, numerose ma timide proposte

Per la "riforma urbanistica,, numerose ma timide proposte Tutti ne parlano, ma quanti la vogliono? Per la "riforma urbanistica,, numerose ma timide proposte L'attuale legislazione non basta (comunque non viene interamente applicata) per mettere ordine nelle grandi città - Suggerita, ma con prudenza, la separazione fra diritto di proprietà del suolo e diritto di costruire (Dal nostro inviato speciale) Perugia, 27 novembre. Il convegno di urbanistica si è concluso domenica mentre il Paese era percorso da un'improvvisa ondata di previsioni sul « futuro depetrolizzato ». All'interno del palazzo dei Priori, nella severa sala dei Notari, gli urbanisti e i rappresentanti delle Regioni, i sindacalisti, gli amministratori locali sembravano personaggi improvvisamente superati dalla realtà. Chiedevano la revisione critica dei programmi autostradali e ferroviari mentre gli italiani si apprestavano a diventare un popolo di ciclisti. Tuonavano contro lo spreco del territorio, dovuto alla costruzione di case superflue in montagna e lungo le coste, mentre i ricchi abitanti delle città si erano convertiti di colpo al weekend immobile, senza tentazioni di fuga. Disagi Ma, sul piano concreto, il convegno di Perugia era molto più aderente al vero anche nelle sue reticenze. Dal dibattito affiorava un dato di fondo innegabile: è problematico capovolgere una condizione umana tanto degradata e incivile, mutare l'ambiente in cui si svolge la vita degli italiani. La riduzione della mobilità aumenterà i disagi dei meno abbienti e provocherà una pressione maggiore sulle grandi concentrazioni urbane, già così ingiuste. Se le restrizioni domenicali non saranno effimere, capiremo meglio quanto siano sbagliate e nemiche le città in cui dovremo trascorrere anche i giorni liberi. Basti un dato: nei capoluoghi di provincia, dove risiedono 18 milioni di italiani, si ha in media un solo metro quadrato di verde per persona (Amsterdam 16, Londra 20, Mosca 11, Stoccolma 80). Verde pubblico significa spazi per i giochi dei bambini, campi sportivi, giardini dove tutti possono passeggiare e distrarsi senza pagare una lira. Si pensi ai « parchi urbani e suburbani di Londra, ai centri civici e agli impianti sportivi di quartiere delle città olandesi o svedesi. Le nostre città, al contrario, sono le creature della speculazione, ingigantite senza alcun piano secondo la logica di interessi privati dominanti. Esposte all'avvelenamento atmosferico e idrico, ai crolli e alle alluvioni, alle frane con aggiunta del colera, come Napoli. In esse la vita è di infimo livello. Per riordinarle ed evitare il disastro totale, è stato ripetuto al convegno, c'è un mezzo: il controllo pubblico del suolo, la riforma radicale del sistema di uso del territorio. Come dare ai milanesi e torinesi 28 milioni di metri quadrati di verde e di spazi pubblici (la legge fissa dal 1968 un minimo di 9 mq per abitante e la media attuale è di 2 mq) se non ricorrendo a espropri massicci, preceduti da provvedimenti che abbattano i valori delle aree, gonfiati a spese della comunità? A questo punto si capisce che i temi dibattuti al convegno di Perugia erano più scottanti delle divagazioni profetiche sulle domeniche senza automobile. Tutti gli oratori, infatti, si esprimevano con grandissima cautela. Le delusioni seguite alla «legge Sullo» del 1962 hanno insegnato che in Italia basta accennare alla riforma urbanistica e al controllo pubblico del suolo per scatenare il terremoto anche negli strati sociali meno sospetti. A Bologna le assemblee popolari hanno convinto l'amministrazione comunale a rinunciare agli estesi espropri previsti nel centro storico, utilizzando un articolo della legge per la casa. Un rappresentante del pei, Carrassi, ha detto al convegno che « i comunisti non hanno una posizione ben definita in proposito », e ha parlato di « mito della riforma urbanistica ». Esproprio Un solo provvedimento sembra aver raccolto consensi quasi generali: la scissione del diritto di proprietà da quello di edificare. Ne aveva già scritto sul Popolo Von. Costante Degan, democristiano, esprimendosi senza mezzi termini: « La soluzione piii semplice sembra essere quella dello scorporo dello ius aedificandi dal diritto di proprietà» (lo stesso on. Degan prospettava, però, altre soluzioni, meno cruente). L'Istituto nazionale di urbanistica ha proposto, a Perugia, una formula completa: nessun terreno è edificabilc per natura, il diritto di costruire viene concesso dal Comune contro pagamento di un tributo, prima della concessione il Comune espropria l'area e cede al privato solamente il diritto di superficie. Il costruttore si impegna a vendere o affittare a prezzi prefissati attraverso una convenzione. Su questa proposta, fatta da Edoardo Salzano all'apertura dei lavori, sarebbe stato necessario un ampio dibattito. Se ne è discusso per accenni, invece, e con una prudenza tale da confondere le idee, rischiando di allarmare l'opinione pubblica anziché convincerla a schierarsi in favore della riforma. Si doveva dire quale sorte verrebbe riservata al piccolo proprietario desideroso di farsi la casa sul suo terreno. Si doveva precisare che l'esproprio non sarebbe esteso agli edifici di abitazione già costruiti e occupati (a parte certe operazioni di risanamento di centri storici e di edifici invecchiati). Sarebbe stato opportuno insistere sulle aree di sviluppo, che oggi vengono accaparrate da speculatori e grandi società immobiliari. Se ci sarà la riforma, quelle verranno espropriate in blocco, come obiettivo principale e immediato. La delusione per il mancato approfondimento è stata accresciuta dal modesto contributo delle Regioni, i cui delegati al convegno (troppo pochi) hanno preferito diffondersi su problemi generali. Forse le Regioni autonome non avevano bilanci urbanistici molto brillanti da esporre? Poche si sono mosse cercando di utilizzare al massimo gli strumenti e i poteri offerti dalle leggi in vigore. Piemonte, Lombardia, Liguria, hanno raccolto critiche più o meno dure, sommate ad accuse di inerzia, favorevole alle vecchie tendenze di sfruttamento del territorio. Fra le Regioni del Mezzogiorno ha brillato la Calabria, con la legge del 30 agosto scorso che vieta ogni costruzione a meno di 150 metri dalle spiagge (esattamente dal limite delle aree demaniali). Se tutte le Regioni costiere, dall'Adriatico al Tirreno, adottassero una legge analoga, l'Italia salverebbe un patrimonio ancora immenso. La Regione Lazio sembra decisa a imitare la Calabria, allargando la fascia di rispetto a 300 metri dalle spiagge. Miliardi Sui progetti di piani e sui provvedimenti parziali, i delegati delle Regioni sono stati prodighi di informazioni. La Regione Toscana ha anche dato una buona notizia: ha messo in bilancio 6 miliardi per comprare boschi e terreni, avviando la costituzione di un proprio demanio. Verrà acquistata la penisola dell'Enfola, sottratta alla vendita all'asta; si parla dell'intera Capraia (abbiamo appreso, però, che la pineta di Migliarino è venduta a lotti dal nuovo proprietario). I discorsi diventavano improvvisamente cauti e stringati quando si affrontava la questione che brucia, la riforma urbanistica. La « mozione operativa», votata alla fine del convegno, si accontenta di prevedere rapporti sistematici fra l'Inu e le Regioni per studiare assieme il progetto di legge-quadro. Per ora il progetto è aperto, le soluzioni sono tutt'altro che definite. E' bene che ci sia spazio per i confronti di idee. Ma è anche vero che la riforma sarà difficile come un'incisione profonda, traumatica quanto necessaria, nel tessuto di un Paese che ha fatto dell'investimento immobiliare un cardine dell'economia e un miraggio per tutti. Mario Fazio

Persone citate: Carrassi, Costante Degan, Degan, Edoardo Salzano, Mario Fazio, Notari, Priori