Il mito dei "Sei,, ed una scoperta di Marziano Bernardi

Il mito dei "Sei,, ed una scoperta LE MOSTRE d'ARTE di Marziano Bernardi Il mito dei "Sei,, ed una scoperta Entrati in polemica, sotto le ali protettrici di Lionello Venturi e stimolati da Edoardo Persico, con una situazione artistica stagnante, inzuppata di retorica classicistica, quei «sei pittori» (tale era il semplice titolo della loro mostra, il cui manifesto riproduceva VOlympia di Manet) che nel lontano gennaio 1929 si presentarono al pubblico torinese nella «sala d'arte Guglielmi» di piazza Castello divennero in breve, per la criti ca militante del tempo, «I sei pittori di Torino». Ma con quasi altrettanta rapidità il gruppo si sciolse, già nel '31 i sei s'erano ridotti nelle mostre a quattro, poi ciascuno andò per la propria strada pur conservando le reciproche amicizie e affinità elettive di artisti ansiosi di uscire — con aperture verso la Francia degli Impressionisti e degli altri movimenti fino a Marquet, Dufy, Matisse — dalla stagnante «autarchia» intellettuale imposta dal regime fascista: artisti dunque, anche politicamente, non conformisti. Geniale Come tutti sanno, si tratta- ! va di Jessie Boswell, Gigi I Chessa, Nicola Galante, Carlo Levi, Francesco Menzio, Enri- I co Paulucci. Chi più chi me J no, eran stati attratti nell'or- ; bita di Felice Casorati (benche in seguito con qualche dissenso d'ordine estetico) e del finanziere-mecenate Riecardo Gualino, sovvenzionato-: re dell'indimenticabile «Tea- ; tro di Torino»; e appunto l'a j desione della Boswell al grup- j po fu in parte dovuta al fatto j ich'essa, inglese, donna simpa ticissima, geniale «dilettante» di pittura aiutata dal suo maestro Casorati, era intima di casa Gualino avendovi esercitato le funzioni di dama di compagnia. Quanto all'ebanista abruzzese Galante ( quel lo che il buon Emilio Zanzi j chiamava «l'umile artigiano sannita»), egli teneva nel gruppo, anche per l'età già matura, un posto un po' appartato, di lui prevalendo, allora, gli eccellenti esiti del si- lografo su quelli del pittore. In fondo, la fugace meteora dei «Sei» apparve nel cielo to rinese più come « un movimento di civiltà e di educazione, diciamo anche di gusto» (sono parole di Paulucci), che come «un movimento di importanza condizionatrice». E tuttavia, nel grigiore culturale italiano dell'epoca prese uno spicco degno della «stori cizzazione», anzi, quasi della «mitizzazione» che in seguito, persino esagerando, se ne fece: non diversamente da quel che accadde al gruppo mila-1 j tamenti» nese di «Corrente», d'un de cennio più tardo. Così nel I 1965 i «Sei di Torino» entra | rono ufficialmente nella storia della nostra arte contem-1 poranea attraverso due archi trionfali: la grande mostra1 organizzata da Vittorio Viale nella Galleria civica torinese, : e la pubblicazione del volume ] di Anna Bovero, Archivi dei sei pittori di Torino, edito a Roma da De Luca. Chessa e la ì Boswell erano, quell'anno, da tempo spariti; dei quattro superstiti (oggi diminuiti a tre) forse soltanto Menzio conservava qualche pallido riflesso di quel remoto ideale pittorico di giovinezza. Malinconia della parabola umana. Siamo dunque grati a Ga- ì briella Pelissero, direttrice della galleria «I Portici» (via | Pietro Micca 6) e a Renzo Guasco di averci riportati, con una bellissima e non facile raccolta di disegni, pastelli, acquarelli alla stagione dei «Sei», puntualizzata scrupolo samente agli anni 1929-32. L'impressione che destano ; queste opere «minori» eppure elette è anzitutto un senso di civile costume pittorico unito a un senso di umana dignità. E' incredibile che, da allora, | di esperienza in esperienza, di ricerca in ricerca con l'illusione di «avanzare», si sia potuto giungere alla poetica del rottame e dello sterco, alle sciocchezze degli «impacchet alle metafore ignobili dei «comportamenti», al minorato psichico esposto alla Biennale di Venezia come un «oggetto». Pierre Combet-Descombes («La Parisina», corso Monca lieri 47) è la magnifica scoperta di Giovanni Testori, che dopo questa primizia torinese promette un'altra retrospettiva a Milano del grande pittore lionese ancora sconosciuto in Italia. Egli si stupisce che la Francia nulla abbia fatto per levare dall'ombra un tal maestro, nato nel 1885, morto tragicamente nell'incendio del suo studio in tarda età. Ma presentandolo sul catalogo della mostra tace che Combet-Descombes è in un certo senso il continuatore di un'al- tissima tradizione pittorica che nell'Ottocento fece di Lione un centro artistico di prim'ordine. Ben lo seppe Fontanesi che da Ginevra s'accostò, a Crémieu, al grup po lionese capeggiato da Ravier; e in questa mostra un piccolo splendido paesaggio — l'unico tra i pastelli di figure femminili — fa pensare appunto al lirismo romantico di Fontanesi e Ravier. Del resto, gli inizi di Combet-Descombes furono paesaggistici; poi venne la stupenda esaltazione del corpo della donna che qui si vede: «una sola onda di canto» da quadro a quadro, dice Testori; una sensualità potente che brucia nel trionfo luminoso del colore ogni scoria di erotismo, celebra la vita fisica con dedizione assoluta. Un ritorno Per la terza volta nel giro di sei anni (ma dopo una sua precedente affermazione a Torino) Trento Longaretti, direttore dell'Accademia Carrara a Bergamo, ritorna a «L'Approdo», via Bogino 17, reduce da un successo parigino alla «Bernheim-Jeune». Longaretti è pittore di severa coscienza artistica, di esperienza plastica sottile, duttile, che valendosi di un colore no bilmente misurato nella rappresentazione realistica cerca di preferenza i suoi temi in una umanità umile, c nell'ambito di sentimenti semplici, spontanei: ad esempio quello legato al binomio madre-figlio. Ma una cultura scaltrita e sempre vigilante evita a questi temi logorati la piattezza dell'aneddoto o, peggio, la caduta nel sentimentalismo; e non per nulla i presen tatori della mostra, Floriano De Santi e Piero Bargis, risalgono, per Longaretti, a fonti illustri. Una pittura, dunque, sempre equilibrata tra medi! fazione e spontaneità: con | l'effetto patetico sempre temi perato da una piena consape volezza dei valori figurativi. Una segnalazione doverosa. Paola Pitzianti è nota da anni particolarmente per i suoi | saggi grafici, l'incisione è il suo linguaggio più autentico, che ora traspone con piace- voli effetti nella pittura a tempera. Lo usa con perizia | tecnica, con un'osservazione l acuta del « vero » naturale, ma anche con una sensibilità i di scelte che sa dare alla composizione dei suoi motivi, . di preferenza vegetali, un sapore di modernità. La sua raffinata mostra a « La Tavolozza », corso De Gasperi i 35, è da visitare con attenzione, mar. ber.