La "mafia,, uccide anche per gelosia di Guido Guidi

La "mafia,, uccide anche per gelosia Processo alle cosche d'Agrigento La "mafia,, uccide anche per gelosia E' il caso di Vita Tasca - Il marito fu bruciato vivo perché è troppo bella - La donna s'è costituita parte civile contro i boss che ordinarono l'esecuzione - Non accusa il presunto amante (Dal nostro inviato speciale) Agrigento, 26 novembre. La mafia uccide quasi sempre per vendetta, ma talvolta, seppure molto raramente, per amore: nella storia di Stefano Vangelista e di sua moglie Vita Tasca, tutto lascia supporre addirittura che il rancore per uno «sgarbo» ricevuto si sia unito alla passione di un amante sul punto d'essere abbandonato. La lotta fra le cosche di Ravanusa, conclusa con la morte di Candido Ciuni, raggiunto dai killer nella stanza dell'ospedale civile di Palermo, è una storia che ha, senza dubbio, alla base un contrabbando di sigarette con interessi per alcune centinaia di milioni, ma è anche una storia di «corna». Le «vedove della mafia», in questo processo, che va avanti abbastanza stancamente, per cui la sentenza è prevista soltanto fra un paio di mesi, hanno, tutto sommato, mantenuto l'impegno assunto di violare la legge dell'omertà e di confermare le loro accuse contro gli assassini, veri o presunti che siano: Antonina Orlando alla quale hanno ucciso il marito, Candido Ciuni, Calogera Pitrola e Crocefissa Cimino che lamentano la morte del loro rispettivo marito e figlio, Vito Gattuso, raggiunto da una raffica di mitra nella piazza più importante di Eavanusa. L'unica, invece, a tradire questa coalizione femminile che nella storia della mafia costituisce una rara eccezione, rimanendo ancorata a rigidi principi mafiosi, è stata la più giovane, la più graziosa, la più evoluta per essere uscita dall'ambiente in cui è vissuta con il proposito di non farvi più ritorno: Vita Tasca. Si è costituita parte civile, è vero: ma quando si è trovata davanti ai giudici non ha detto nulla e non ha voluto accusare nessuno. Vita Tasca ha 35 anni, sposò Stefano Vangelista quando ne aveva appena 17, è madre di tre figli, si è trasferita in Germania a Saarbrucken dove lavora in una fabbrica di ceramiche, ha perduto il marito nel modo più crudele: attirato in un agguato, stordito con una bastonata, bruciato in un cascinale quando era ancora vivo. E' alta, snella, elegante, occhi neri, belle gambe messe in mostra con civetteria senza darne l'impressione quando s'è seduta per essere interrogata dalla corte d'assise: a Ravanusa, dove è nata e dove ha vissuto fino allo scorso anno, è una donna, come si dice, molto «chiacchierata». S'è costituita parte civile più per difendere se stessa che per accusare i veri o presunti assassini del marito. D'altro canto, fra costoro, ci sarebbe quello che tutti indicano come uno dei suoi amanti: pretendere da lei un atteggiamento diverso forse sarebbe eccessivo. Intendiamoci bene: Vita Tasca respinge ogni insinuazione sul suo conto. « Io la madre di famiglia ho sempre fatto e faccio — è la sua tesi che ha ripetuto puntualmente ai giudici —. Non ho mai tradito mio marito ed in quindici anni di matrimonio non ho avuto con lui mai una questione ». Per fugare ogni eventuale dubbio sull'attendibilità della sua versione, continua a portare ancora il lutto più stretto: forse — dicono invece i maligni — perché sa che le calze nere velate mettono meglio in risalto le sue belle gambe. La storia recente della guerra fra le cosche mafiose di Ravanusa nasce una sera d'aprile di tre anni orsono, quando Angelo Mancino fu ferito da due colpi di pistola mentre dalla strada stava parlando con la moglie affacciata al balcone. « A sparare — disse subito Mancino — deve essere stato Vito D'Angelo perché l'ho rimproverato per avere rotto le lampade che illuminano la strada dove io abito». Ma per quale motivo Vito D'Angelo, allora ventiduenne, aria spavalda e grande cipiglio, si divertiva a rendere buia la zona? Molto semplice, dicono gli accusatori, perché approfittando dell'oscurità gli era più facile raggiungere Vita Tasca il cui marito era in Germania a lavorare. Non solo: ma gli accusatori aggiungono anche che Vito D'Angelo ha cercato di uccidere Angelo Mancino (nove colpi di pistola dei quali due raggiunsero il bersaglio) non per essere stato rimproverato, ma per eliminare un rivale che divideva con lui le grazie di Vita Tasca. Dopo qualche settimana, Stefano Vangelista rientrò a Ravanusa e naturalmente tornò nel giro mafioso del contrabbando: un suo magazzino veniva utilizzato come deposito di sigarette. Non sapeva che la moglie lo avesse tradito durante la sua assenza ed ignorava anche quello che si diceva in paese. Tutta la realtà gli si prospettò dinanzi agli occhi all'improvviso quando i carabinieri interrogarono Vita Tasca per trovare chi avesse sparato ad Angelo Mancino. E la donna fu costretta a spiegargli il motivo di questo interrogatorio. Stefano Vangelista (39 anni quando morì) reagi in due modi: negò l'uso del suo magazzino ai contrabbandieri di sigarette e decise di tornare in Germania portando con sé la bella moglie. Involontariamente, firmò la propria condanna a morte: la sera del 27 luglio 1970 fu stordito e bruciato. Per l'accusa, infatti, due sarebbero i motivi all'origine dell'omicidio: la vendetta dei mafiosi perché Vangelista aveva voluto rompere con la cosca privandola d'un punto d'appoggio per il deposito delle sigarette; la passione di Vito D'Angelo che, sopprimendo il marito dell'amante, praticamente consentiva a Vita Tasca di rimanere a Ravanusa. La beila vedova, ovviamente, nega tutto. Dice di essere calunniata, di conoscere appena Vito D'Angelo. « Come avrei, d'altro canto, potuto riceverlo — si è difesa in udienza — se abitavo in una casa composta da una stanza dove vivevano anche i miei tre figli, il cui più grande, allora, aveva 14 anni? ». Ma se si tiene conto che la casa di Stefano Vangelista è vicina ad una stalla, tutto, forse, è abbastanza comprensibile. D'altra parte a smentire, in un certo senso Vita Tasca, esiste un biglietto: « Tu mi hai sottovalutato. Non mi conosci. Amore ». E' un biglietto che qualcuno attribuisce a Vito D'Angelo. A dare un'idea abbastanza chiara della situazione è intervenuto un giovane, Antonino Cascina, che peraltro, dopo avere fatto queste dichiarazioni in istruttoria, è andato a lavorare in Germania, e non sembra avere alcuna intenzione di tornare. Antonino Cascina ha raccontato che fu Vangelista a confidargli, disperato, le sue pene per la infedeltà della moglie e la sua decisione di portarsela all'estero. E con questo? In Sicilia le « corna » si pagano con la morte e non con la fuga. E' vero, ma sino ad un certo punto. Leonardo Sciascia, che è un attento studioso dei suoi compaesani e della loro psicologia, attribuisce ad un personaggio di « A ciascuno il suo » un giudizio molto severo seppure paradossale: « Qui in questa terra della gelosia e dell'onore si trovano i più perfetti esemplari di cornuti ». Comunque, Stefano Vangelista, mafioso da quattro soldi, non volle vendicarsi della moglie seguendo le regole tradizionali e ci ha rimesso la vita. Guido Guidi