L'altro comunismo di Ennio Caretto

L'altro comunismo VIAGGIO NELL'EST EUROPEO L'altro comunismo (Dal nostro invialo speciale) Budapest, novembre. Da qualche anno, l'Europa orientale non fa quasi più gallare di sé. Si direbbe che l'invasione di Praga nel '68 l'abbia gettata nell'abulia. Dal di fuori, essa presenta a volte un quadro di uniformità e immobilismo. A parere di molti, il suo ultimo sussulto — la <.ncciata di Gomulka in Polonia nel 1970 — è destinato a n.>n avere seguito. Qualche Passe dà l'impressione di accentuare l'ortodossia interna (Cecoslovacchia), qualcun altro l'allineamento al Cremlino in politica estera (Germania). Mentre l'Europa occidentale conosce i travagli più profondi e recepisce da tutto il mondo i fermenti più vivi, gran parte di quest'altra Europa appare chiusa in uno sterile isolamento. Sono sensazioni esatte? Probabilmente no. In verità, negli ultimi anni, molte cose sono successe nell'Est europeo. La scoperta del benessere ha scosso alcune nazioni dalla narcosi del dogma, e la rivoluzione tecnologica, sia pure tardiva, ha esasperato le deficienze del sistema. In altri Stati, la fine della ricostruzione postbellica e l'inizio dei tenutivi d'unione regionale causano una crisi di rigetto delle superpotenze, cambiando l'impostazione dei rapporti con l'Occidente. Se nel 1968, nell'angoscia della tragedia cecoslovacca, si poteva temere che la Jugoslavia restasse un caso abnorme, oggi si deve constatare che altri Paesi si sono messi su una strada analoga, o economica (Ungheria) o politica (Romania), o aspirano a farlo (Polonia). Dietro la facciata grigia del blocco, un fenomeno di rottura caratterizza così l'attuale periodo: ed è l'antitesi tra le condizioni reali e i nuovi orientamenti. Anziché diminuire, le diversità fra i Paesi comunisti dell'Europa orientale aumentano, e si acuiscono le loro contraddizioni interne. La curiosità e il prammatismo coesistono oggi con il massimalismo e la conservazione. Ci sono i nuovi ricchi e i tradizionalmente poveri, ed è difficile ai regimi spiegare che non ne scaturiscono distinzioni e odi di classe. Si studia l'inflazione e si fanno esperimenti coi s-rvizi, si rivendicano i valori nazionali delle rivolte ottocentesche, si discute con gli scrittori e si auspica il consenso sociale; ma la pianificazione produttiva, il contenimento degli irredentismi, il controllo della Chiesa e delle avanguardie intellettuali rimangono i problemi dominanti. La dialettica dei partiti è meno misteriosa e segreta, ma colpisce sempre, con scomunica solenne, i filosofi della nuova sinistra, si tratti di Djilas, Kolakowski o Hegedus. Contrariamente alle apparenze, parte dell'Est europeo non è neppure più insensibile alle pressioni esterne. Essa ammette l'esistenza di questioni transideologiche, come le ha chiamate il New York Times — l'ecologia, il sistema monetario — e ne anticipa soluzioni non dottrinarie ma realistiche. Al tempo stesso, però, paventa lo scambio delle idee con l'Occidente, e la sanzione di fatto dei diritti civili al proprio interno. Ha scritto Samuel Pizar che « sarà la collaborazione economica con l'America e la Cee ad aprire le porte dell'Oriente. Le libertà umane dovranno farle scorta ». Ma regge questa affermazione alla verifica delle cose? Se l'Europa orientale sembra talora in procinto di trasformarsi in una autentica cinghia di trasmissione tra la civiltà occidentale e il monolito moscovita, talaltra sembra invece in procinto di cedere alle tensioni, quasi fosse in una situazione prerivoluzionaria. * * Questo particolare momento del blocco è la ragione principale dell'inchiesta che svolgerò partendo dai suoi Paesi più significativi, l'Ungheria e la Polonia. I nuovi orientamenti possono separarlo e distinguerlo, almeno teoricamente, dall'Urss. A Budapest e a Varsavia si compiono cauti tentativi di recupero delle norme imprenditoriali e di mercato, e si fanno ancora più cauti richiami ai principi delle sfortunate democrazie popolari dell'immediato dopoguerra. E' palese altresì lo sforzo di giustificare una qualche autonomia col pensiero politico di Georg Lukacs e quello economico di Oscar Lange. Mi ha detto il segretario della federazione di Budapest del partito comunista ungherese, Richard Nagy: « Abbiamo capito che non si può realizzare il socia- lismo contro la volontà della j gente ». j Senza dubbio, i recenti fat-1 ti internazionali favoriscono la ! diffusione delle nuove tenden- ze. Con il congelamento del S problema tedesco a carta geopolitica del continente s'è assestata, ed è scomparso un grave motivo di tensione. Il riavvicinamento tra gli Usa e l'Urss ha insieme chiuso la fase della guerra fredda e allontanato lo spettro di un olocausto nucleare. Nelle trattative della Nato e del Patto di Varsavia si intravedono prospettive non solo di una maggiore sicurezza, ma anche di lontani movimenti integrativi. * * Da Berlino Est a Sofia s'incomincia a ipotizzare una rete energetica paneuropea o di trasporti. I polacchi ammoniscono gli alleati:, « Qualsiasi riti no gli alleati:, « k^iiuiìwii uu-, rata dalla coesistenza avrebbe oggi, per noi, conseguenze assai più negative che in passalo ». Ancora più vigorose sono le spinte endogene al revisionismo. Trent'anni di pace, i primi nella vicenda secolare dell'Est europeo, hanno stabilizzato i regimi, creando un'altra generazione di leaders, meno legati a Mosca e più al proprio Paese. L'ossequio dell'efficienza promette una miglior gestione del sistema, con l'esautoramento di molti apparateiki a vantaggio dei tecnocrati. Lo sviluppo industriale e consumistico ha consentito la crescita d'una vera classe operaia, che ha mostrato la sua forza, ad esempio, negli avvenimenti del dicembre del 1970 in Polonia. E' diventato lecito, nell'ansia di legittimazione in una maggioranza, il rifiuto delle forme più totalitarie di governo. Mi ha detto uno dei più interessanti e giovani sociologi di Varsavia, Jerzy Wiatr: « Questo processo ci ha reso meno vulnerabili e perciò più aperti alla liberalizzazione ». Si può pensare allora alla prossima nascita di un nuovo comunismo, con una sua specifica ideologia, una diversa tecnica del potere, e un'originale concezione economica? Forse. Ma la revisione del sistema ha precisi limiti soggettivi e oggettivi, e potrebbe accendere la sua esplosiva miscela di rivalità e di contrasti. Per quasi tutte le strade dell'Europa orientale corrono le automobili Fiat e in ogni caffè si beve Coca-Cola; eppure si continuano a celebrare processi per reati politici e « l'antisovietismo » è punito con il carcere. Al vertice, i cambi della guardia sono ormai incruenti; eppure alla base non è permesso dissentire e organizzarsi liberamente. Mi ha precisato il prof. Wiatr: « E' concepibile soltanto una pluralizzazione nell'ambito del partito ». Il segretario Nagy ha aggiunto: « II dialogo non è un tradimento finché avviene senza il sacrificio dei principi e delle conquiste comuniste ». Rimane inoltre e soprattut- to, l'incognita russa. Dalla mor te di Stalin, l'Urss ha subito profondi mutamenti, superan d° meglio del previsto i traumi <fl XXII Congresso e della deposizione di Kruscev. Talvolta, ha favorito essa stessa le riforme economiche nei Paesi amici (si pensi alle scuole di Lieberman e degli econometristi) e ha persino tollerato la desatellizzazione (come nei casi della Iugoslavia e della Romania). Ma fino a che punto accetterebbe le « nuove frontiere » di un altro comunismo? E' davvero persuasa che un'eventuale scelta tecnico-culturale dell'Est europeo a occidente non minaccerebbe la sua sovranità? E' arduo credere che l'Urss possa concedere in futuro a Isaders ideologicamente sospetti margini di manovra superiori a quelli goduti da un uomo abile come Kadar> e Pa8atl sempre a caro prezzo. Ennio Caretto udapest. Alla parata per nazionale (Team)