Tre condanne d'ergastolo per la guerra tra cosche? di Piero Cerati

Tre condanne d'ergastolo per la guerra tra cosche? Il processo alla mafia siciliana Tre condanne d'ergastolo per la guerra tra cosche? Il rappresentante della pubblica accusa ha sostenuto che Tommaso Buscetta, Salvatore Gnoffo e Angelo La Barbera rapirono due rivali che furono gettati in una fornace di calce - Lunedì le richieste (Dal nostro inviato speciale) Catanzaro, 23 novembre. Si profila la richiesta dell'ergastolo per Tommaso Buscetta, Salvatore Gnoffo e Angelo La Barbera, accusati di aver sequestrato e fatto sparire i presunti mafiosi Giulio Pisciotta e Natale Carollo. Il procuratore generale, stamane, ha infatti sostenuto che la «scomparsa» dei due commercianti (erano soci in un negozio di mobili) deve essere considerata un duplice delitto premeditato. Durante la requisitoria, Salvatore Gnoffo è rimasto impassibile, distratto. Buscetta era assente, indisposto. La Barbera aveva già rinunciato fin dalla prima udienza a presenziare al dibattimento (come l'altro grande imputato, Pietro Torretta). «E' una smobilitazione del processo — ha detto il procuratore generale dottor Florio —. Questi boss della malavita hanno ignorato tutti, creando difficoltà alla pubblica accusa. Inoltre, non è stata citata la parte civile. In primo grado si costituì il fratello del tenente Malausa, morto nella strage di Ciaculli, ma ora è trascorso molto tempo, i fatti sembrano lontani ». Florio è poi stato polemico con l'imputato Gioacchino Pennino, che ieri aveva affermato di non sapere che cosa fosse la mafia. Il p.g. ha detto: «La mafia non è un'invenzione del pubblico ministero, un'accezione retorica, un'astrazione letteraria, ma un fenomeno che impegna le polì- zie di parecchi Paesi, gli Stati Uniti in particolare, e una commissione parlamentare in Italia. E' un'industria che produce ricchezza per mezzo del delitto. I capi di questa delinquenza organizzata stanno in alto: questi — ha detto riferendosi agli imputati — sono gli esecutori». La pubblica accusa ha poi ricordato alla corte quali sono i «sistemi» tipici della mafia: manovrare cifre con molti zeri, decidere di vita o di morte, far scomparire l'uomo condannato, non tollerare errori, soprattutto se compiuti dai capi: «E' un'organizzazione che agisce nel termitaio della delinquenza internazionale». Ora, alla catena di delitti avvenuti dal 1959 al 1963 fa riscontro «il tono sereno, compassato, tranquillo di Masino Buscetta — ha detto il pg. —, indicato come uno dei capi e il cui sbarramento dì "non so", "non ricordo" è stalo inesorabile ». Il dottor Florio ha quindi rievocato l'episodio che ha portato Buscetta, Gnoffo e La Barbera sul banco degli imputati. Le accuse ai tre presunti «boss» si reggono, secondo l'accusa, sulle testimonianze di Francesco Armetta e Giuseppe Ricciardi. La vicenda, desunta dalle deposizioni (poi ritrattate) è questa. Agli inizi degli Anni Cinquanta si doveva nominare un capo-mafia a Palermo. La scelta cadde su Gino Ricciardi padre di Giuseppe, ma il La Barbera lo avrebbe fatto uccidere. Quindi, si sarebbe autonominato capo, impadronito della sua società di trasporti, introdotto nello sfruttamento edilizio, e avrebbe ricattato gli impresari. Giuseppe Ricciardi andò a lavorare come contabile nel negozio di Pisciotta, Manescalco e Carollo: tutti e tre scomparvero. Pisciotta e Carollo sarebbero stati rapiti davanti alla stazione Brancaccio di Palermo da La Barbera, Buscetta e Gnoffo, e gettati in una fornace di calce. Erano due cosche in lotta: vinse quella dei La Barbera (.«Ormai, chi non era con loro era contro di loro», ha detto i! p.g.). Il clan dei Greco, però, si opponeva ai fratelli La Barbera, i quali (nonostante l'avvertimento della «grande mafia» di non uccidere perché tallonati dagli orga ni di polizia) assassinarono il contrabbandiere Calcedonio Di Pisa, che apparteneva alla «famiglia» dei Greco. Nelle tasche della vittima fu trovata un'agenda nuova del 1963 (il delitto avvenne il 26 dicembre del 1962) con nomi e numeri del telefono di moltissime persone, parecchie delle quali sono imputate nell'attuale processo. (.«Questo significava — ha spiegato il procuratore generale — che quelle persone erano in rapporto d'affari con un boss del contrabbando come il Di Pisa»), Giuseppe Ricciardi raccontò: «Ero insieme con Pisciotta e Carollo quando vennero rapiti: io fui minacciato». E denunciò Buscetta, La Barbera, Gnoffo (con qualche esitazione, perché disse: «Gnoffo, credo Salvatore»), In istruttoria ritrattò, sostenendo di essere stato picchiato dagli inquirenti. «Questo è tipico della mafia — ha detto Florio — perché se qualche sventurato parla, subisce minacce, e vuole ritrattare. La mafia vuole ridicolizzare le testimonianze contro di lei». Non ritrattò Serafina Battaglia (le cosche le avevano ucciso marito e figlio). Paolino Bontade (considerato «l'uomo che teneva le pubbliche relazioni per la mafia») perse le staffe di fronte alla vedova, e le urlò: «Siete una donna da trivio». «Da trivio come voi», rispose la Battaglia. E a Torretta, accusato di essere un capo mafia, Serafina, agitando il nero, lugubre velo, disse: «Ora io uscirò da quest'aula, da sola, e nessuno oserà toccarmi». Il p.g. ha ricordato questi episodi per far risaltare come i riferimenti dei testi a luoghi e componenti della mafia siano stati sempre precisi, dettagliati, ricchi di particolari, di concatenazioni; e come sia umano il motivo che spinse a parlare il Ricciardi e la Battaglia: il dolore per il barbaro assassinio dei congiunti, non soltanto l'odio e la vendetta. Ricciardi al giudice istruttore disse di essere stato schiaffeggiato, picchiato, minacciato con un nerbo di bue, bruciato con una sigaretta; in udienza d'assise, ha sottolineato Florio, cambiò versione: era un ammalato, un dissociato, un pazzo, non distingueva tra realtà e fantasia. Francesco Armetta fu accoltellato, e disse di avere fatto le rivelazioni agli inquirenti dopo un'iniezione. Le testimonianze — secondo la pubblica accusa — devono quindi essere tenute per vere, false sono le ritrattazioni. La concatenazione dei delitti e il loro fine proverebbero la premeditazione (il sequestro e la scomparsa di Pisciotta e Carollo sarebbero stati organizzati dai La Barbera, Buscetta e Gnoffo per introdursi nel mercato della gang rivale). «Sono poche le fonti di prove nel processo — ha ammesso il dottor Florio —. Afa esse vanno analizzate a fondo, e allora si scoprirà la premeditazione ». La requisitoria continuerà lunedì. Piero Cerati n ■ Tommaso Buscetta

Luoghi citati: Catanzaro, Italia, Manescalco, Palermo, Pisciotta, Stati Uniti, Torretta