La moglie di Vinci ritratta Si torna nella tragica cava

La moglie di Vinci ritratta Si torna nella tragica cava La moglie di Vinci ritratta Si torna nella tragica cava La donna, che aveva trascorso una notte in carcere, è stata posta in libertà dopo un interrogatorio, voluto dal presidente a porte chiuse - Accolta dalla corte la richiesta del p. m. per un sopralluogo nella cava dove vennero uccise due piccole (Dal nostro inviato speciale) Trapani, 22 novembre. Anna Impiccione se l'è cavata con venti ore di detenzione: la notte trascorsa in carcere l'ha fatta riflettere. Arrestata ieri pomeriggio per testimonianza reticente, la moglie del «mostro di Marsala», pur continuando a sostenere di non avere avuto pressioni da nessuno perché non dicesse nulla e quindi non collaborasse con la giustizia, ha ammesso oggi di essersi consultata con un avvocato che le ha suggerito di astenersi da qualsiasi dichiarazione come parente di un imputato. Poi qualcosa ha detto (ed era quello che in fondo pubblico ministero e guidici volevano) con la conseguenza che la corte d'assise l'ha assolta per aver ritrattato e se n'è così tornata a casa. La parentesi si è chiusa con un bilancio abbastanza positivo, ma questo non significa che l'indagine abbia compiuto molto passi in avanti. Anzi: semmai tutto è rimasto in una posizione di stallo con prospettive per il futuro niente affatto ottimistiche. In un momento di sconforto, il pubblico ministero dottor Sciuto s'è lasciato sfuggire un commento che è certamente più eloquente di un lungo discorso: «In questo processo, tutti i testimoni sono reticenti». E' una constatazione amara di una realtà inquietante: al di là del «mostro» che ha rapito ed ucciso tre bambine per soddisfare un presunto desiderio sessuale, esiste qualcosa, ma nessuno è disposto ad aiutare la giustizia per risolvere il mistero. Non solo: ma mentre l'avvocato Antonio Marrone, che si è costituito parte civile per i genitori di Antonella Valenti, oggi ha parlato esplicitamente di «fallimento della giustizia», criticando le indagini e il sistema con cui sono state compiute perché troppe sono le lacune e troppi i punti oscuri, il difensore di Michele Vinci, avvocato Elio Esposito, ha chiamato bruscamente in causa il padre e la madre di Antonella. «Sono reticenti — ha detto — perché hanno un turpe segreto da difendere». Non ha fatto un'insinuazione, ma un'affermazione categorica e precisa: non ne ha spiegato però il suo vero significato. Forse questa spiegazione sull'esistenza di «un turpe segreto» potrebbe fornirla Michele Vinci: ma il «mostro» continua a disertare il dibattimento ed a rimanersene in carcere. In questa situazione, dove tutto sembra essere insincero e dove tutto sembra essere dominato dal sospetto che davvero Michele Vinci non ha compiuto il delitto perché è un pervertito sessuale, il pub' blico ministero continua a frugare ovunque nella speranza di trovare il bandolo della matassa. Oggi, per esempio, ha insistito perché rimangano a disposizione tutti i testimoni più importanti finora interrogati, tra i quali potrebbe esservi chi sappia davvero qualcosa: i genitori di Anto nella, i parenti di Vinci. Ha chiesto che la corte vada alla cava di tufo, dove furono trovati i cadaveri di Ninfa e Virginia per accertare se sia possibile, come ha raccontato il «mostro», che le bambine da una profondità di oltre 25 metri potessero parlare con chi si affacciava all'imboccatura nella proprietà di Giuseppe Guarrato. La corte alla fine dell'udienza ha deciso di fare un sopralluogo alla cava, ma non di fare l'esperimento chiesto dal p.m. Un maresciallo dei carabi nieri, Pietro Noto, ha insinuato in un rapporto qualcosa nei confronti del fratello di colui che è proprietario della cartiera dove Vinci lavorava: lo definisce un «genialoide, taciturno, di carattere chiuso ed abulico, senza amici ed in buoni rapporti con Michele Vinci». Che ha voluto dire il sottufficiale con questo suo rapporto? Il pubblico ministero ha chiesto che la corte interroghi anche questo maresciallo di Marsala: sarebbe l'ultimo tentativo. Oggi, 40 testimoni: poco più, poco meno. Nessuno però ha detto molto. Qualcuno ha accennato a taluni disturbi neurovegetativi di Vinci, quasi per aiutare il «mostro» ad ottenere una nuova indagine psichiatrica; uno ha ricordato che Giuseppe Guarrato gli vietò di andare a prendere acqua nel suo fondo, dove poi furono trovate le sorelline Marchese; un altro ha rivelato che, nei giorni delle ricerche disperate, Giuseppe Guarrato, oltre a mostrarsi assolutamente indifferente al dramma che sconvolgeva tutta la zona, commentò alzando leggermente il capo e socchiudendo gli occhi come tipico del siciliano: «Nulla saccio, nenti vitti». Roba da poco, comunque, che non serve a nulla. Anna Impiccichè: la sua av- ventura si è conclusa alle due del pomeriggio. Il presidente, con una decisione molto discutibile, perché la garanzia del dibattimento è soprattutto nel fatto che la giustizia sia amministrata pubblicamente salvo talune eccezioni previste dal codice, ha voluto interrogarla in un'aula vuota «perché — ha spiegato — la signora non possa essere turbata dalla presenza del pub¬ blico e dei giornalisti». Se la tesi del presidente della corte d'assise di Trapani dovesse essere una regola valida dovunque, tutti i processi in Italia dovrebbero essere celebrati a porte chiuse. «Signora — l'ha ammonita il presidente quando Anna Impiccichè si è presentata davanti ai giudici come imputata di falsa testimonianza in concorso con ignoti — io spe¬ ro che sia tranquilla e che abbia riflettuto. E' vero che ha avuto pressioni perché non parlasse?». La moglie di Michele Vinci ha resistito, ma anche perché consigliata dall'avvocato Innocenzo Ragusa, difensore d'ufficio, lo ha fatto nell'uni co modo che le consentiva di cavarsela senza altri danni. «Non è vero — è stata la sua versione — nessuno mi ha detto di "non parlare" o perlomeno io non ho sentito. Io mi sono limitata a chiedere consiglio all'avvocato Silvio Forti, il quale mi ha ricordato che se avessi voluto avrei potuto non essere interrogata perché mio marito è imputato. Comunque sono a disposizione dei giudici». Poche domande per il momento e pochi chiarimenti per dire che la sera del 25 ottobre 1971 Michele Vinci rimase con lei e con altri parenti. Se la circostanza è vera, se è vero che Antonella, viva o morta, fu portata nella scuola semidiroccata dove venne trovata l'indomani, chi venne incaricato del trasporto? L'interrogativo è ancora senza risposta. Esiste un altro dettaglio: Vinci scrisse alla moglie dal carcere una lettera nella quale ha detto in modo esplicito che il suo compito si è limitato soltanto a rapire le bambine, mentre un altro, a sua insaputa, le uccise e che ha paura di parlare. Che può dire Anna Impiccichè? Niente: è stata la risposta. Era facilmente prevedibile. La corte si è liberata della donna: l'ha assolta per aver ritrattato e l'ha ovviamente liberata subito. Rimane il problema dell'avvocato che ha suggerito ad Anna Impicciche di astenersi dall'essere interrogata come testimone. Si chiama Silvio Forti, è di Marsala, fu il primo difensore d'ufficio di Michele Vinci. Ieri, quando ha saputo di essere stato chiamato in causa, ha mandato subito un telegramma al presidente per «chiarire consiglio legale da me dato mia assistita». I giudici però non l'hanno interrogato; Io convocherà il pubblico ministero nell'indagine per accertare se, nel comportamento dell'avvocato, vi siano gli estremi di un eventuale reato. Guido Guidi Trapani. Anna Impiccichè durante l'udienza di ieri (Ap)

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