Duemila cantieri che si chiudono di Mario Salvatorelli

Duemila cantieri che si chiudono I nostri soldi Duemila cantieri che si chiudono La chiusura di una fabbrica la più notizia di una nuova apertura, un licenziamento più di un'assunzione. E' logico e umano che ciò avvenga in un Paese come il nostro, dove la manodopera maschile è in sovrannumero rispetto alle possibilità di lavoro, quella femminile addirittura nel rapporto di una sola donna occupata su cinque. Ma in questi giorni sta per verificarsi un'eccezione, e non perché i lavoratori e i loro sindacati abbiano compreso che la mobilità della « popolazione attiva », la possibilità di passare da un settore in decadenza ad uno in ascesa, da un'azienda malata ad una sana, è essenziale per uno sviluppo economico e dell'occupazione veramente stabile e duraturo. Qui si tratta di chiusure e licenziamenti, che stanno per avvenire nell'indifferenza quasi generale in uno dei settori che più avrebbero bisogno di aumentare gli occupati e la produzione, cioè l'edilizia. Caso paradossale Con il 31 dicembre, infatti, cesserà di vivere l'Ises (Istituto edilizia sociale) che, oggi come oggi, ha duemila cantieri aperti, occupa sessantamila edili ed ha in corso lavori per 320 miliardi di lire. Se a queste cifre, già più che notevoli, si aggiungono l'occupazione e la produzione indotte da quei cantieri e da quei lavori, non si sbaglia nell'affermare che la chiusura dell'Ises lascerà senza lavoro settanta od ottantamila persone e fermerà attività che valgono almeno 400 miliardi. L'aspetto più paradossale della vicenda — che di aspetti paradossali ne ha molti — è che ad uccidere l'Ises sarà la « legge sulla casa », la 865, quella che, con i relativi decreti di attuazione, riforma tutto il settore dell'edilizia abitativa di origine pubblica. Fedeli al principio che si « riforma » meglio se prima si fa piazza pulita di tutto quanto già esisteva, la legge ha stabilito che, con il 31 dicembre 1973, cessino di esistere tutti gli enti, come la Gescal, l'Incis, l'Ises ed altri minori, che costruiscono case con i finanziamenti, diretti o indiretti, della pubblica amministrazione. Ora, l'Ises si è trovato in questo gruppo di enti da sopprimere per errore o per caso, come un cittadino che si faceva i legittimi affari suoi e viene rastrellalo sul posto di un attentato o di disordini. Infatti, la costruzione di case è solo un'attività marginale dell'Ises, il quale, come dice il suo nome, si occupa di edilizia sociale: scuole, ospedali, infrastrutture, e praticamente è impegnato nell'edilizia abitativa solo nel Belice, perché gli è stata affidata tutta la ricostruzione di quella zona disastrata, o per non lasciare inoperosi, saltuariamente, uffici e maestranze locali. Può darsi che non si tratti di errore o di caso, ma di interessi che io non conosco, ma che comunque mi sembra difficile possano coincidere con l'interesse del Paese. Tanto più che non è passato mollo tempo da quando il ministro dei Lavori Pubblici, Salvatore Lauricella, espresse il parere che l'Ises « può e deve continuare ad operare, anzi intensificare la sua attività». Non risulla che il più diretto interessato — il ministro dei Lavori Pubblici, appunto — abbia mutalo parere, né che abbia dovuto sottostare a quello contrario dei suoi colleglli di governo, nessuno dei quali avrebbe mostrato « pollice verso » per l'Ises. Tuttavia, almeno fino a questo momento, la condanna non è stata revocata. Edilizia scolastica Tra l'altro, l'Ises non rientra nel numero dei tanti, innumerevoli enti pubblici che gravano sul bilancio dello Stato assai più di quanto non diano in cambio al Paese. Salvo un fondo iniziale di 2 miliardi (dieci anni fa, quando nacque, al posto dell'Unra-Casas) e un fondo di rotazione di 6 miliardi per risolvere problemi di cassa e di esercizio (sono sempre miliardi, ma in percentuale trascurabile rispetto ai lavori compiuti e in corso di svolgimento), l'Ises è vissuto fino ad ora con la percentuale sui lavori: tra il 9 c il 10 per cento, secondo che si trattasse di lavori ordinari o di lavori straordinari, come la ricostruzione del Belice. Quella percentuale, ovviamente, non era a fondo perduto, una « gratifica », perché serviva a coprire le spese di progettazione, di direzione, di esecuzione. Praticamente, l'Ises per vivere aveva I -tvepcdstslu bisogno di lavorare, quindi lavorava. Dei duemila cantieri Ises attualmente aperti, il 50 per cento si trovano nell'Italia meridionale, il 30 nell'Italia centrale e il 20 per cento in quella settentrionale. Dei 520 miliardi di lavoro in corso, circa 150 miliardi, per un migliaio di cantieri, sono per l'edilizia scolastica. 100 per il Belice e il resto per ospedali, asili-nido, anche case. L'Ises progetta, appalta, dirige le opere e le consegna, finite, ai committenti: Comuni, Province, Regioni, che si giovano dei finanziamenti dello Stato per pagarle. Tra l'altro, in questi dieci anni, l'Ises si 6 formato un grosso gruppo di tecnici, esperti nei vari settori, in particolare quello scolastico, che non ha confronti nel Paese. Che cosa può succedere, salvo ripensamenti, dopo il 51 dicembre? Nella migliore delle ipotesi, sei mesi e più di blocco dei lavori, quindi di ritardo nel loro compimento, per il passaggio delle consegne, a questo o a quell'istituto, la ristipulazione dei mutui bancari, poi un riesame della situazione, la richiesta di una perizia supplementare da parte delle imprese edili, perché nel frattempo i costi saranno aumentati, in certi casi la riapertura delle gare d'appalto. Nella peggiore delle ipotesi, il fallimento delle imprese che non sono in grado di resistere, inoperose, per tanto tempo. Tra l'altro, in questi giorni si sta discutendo in Parlamento il rifinanziamento dell'edilizia scolastica, anche in base alla nuova situazione sorta con la nascita delle Regioni. In tale quadro, sono previsti necessariamente organismi tecnici. Quale organismo tecnico, meglio dell'Ises, che ha uffici, esperti, progettisti in tutte le Regioni, potrebbe servire allo scopo? Abbiamo bisogno di aggiungere scuole a quelle dove oggi i nostri figli si ammucchiano o sono costretti a turni, che turbano profondamente il normale andamento famigliare. Abbiamo bisogno di nuovi ospedali, affinché i degenti non debbano più affrontare condizioni ambientali spesso peggiori della malattia. Invece ne ritardiamo la costruzione, gettiamo via tempo e denaro, incapaci o noncuranti di trovare la via per uscire da un assurdo pasticcio. Mario Salvatorelli

Persone citate: Casas, Salvatore Lauricella

Luoghi citati: Italia