Sta rintanato nella sua cella a leggere "I tre moschettieri,,

Sta rintanato nella sua cella a leggere "I tre moschettieri,, Vinci: criminale pazzo o plagiato? Sta rintanato nella sua cella a leggere "I tre moschettieri,, Il pubblico volge gli occhi verso la gabbia che è vuota - La gente cerca il "fantasma" (di cui si avverte la presenza) che l'imputato protegge con le sue bugie (Dal nostro inviato speciale) Trapani, 20 novembre. Vinci non ha voluto uscire dalla cella del carcere di San Giuliano e venire al processo. E' un suo diritto e né con la persuasione, né con una coppia di buoi, si riesce a portarlo in aula. «Ha paura della folla e non ha niente da dire», spiega il difensore. Come non ha niente da dire? «Oh, se Vinci si decidesse a svuotare fi sacco...», sento ripetere da una settimana. Certo, è stato interrogato più volte, ma ha risposto facendo una confusione enorme, imbrogliando il gioco, sicché il rinvio a giudizio è pieno di considerazioni come queste: «...Non forniva alcuna logica spiegazione né sul movente né sulle modalità dei fatti». «Nel dir questo, Vinci ha mentito, o quanto meno non ha detto tutta la verità». «Conscio delle ingenue contraddizioni, ha ritrattato tutto...».-«...In un caso come questo, per la sconcertante reticenza del Vinci e forse anche di molti testimoni ben poco appare spiegabile». Menzogne, menzogne, menzogne: ripete il giudice istruttore. Ma Vinci fa sapere che non ha nulla da dire e se ne resta in cella a leggere «I tre moschettieri», mentre qui si decide la sua sorte, che può essere l'ergastolo. C'è dunque, una panca vuòta nella gabbia degli imputati. Una vera gabbia con solide sbarre, che può contenere una cinquantina d'imputati e ricorda lo spettacolare ed affollato processo ai mafiosi. Una grandissima gabbia per nessuno, oggi. Una grande panca vuota, e si pensa: il processo a un fantasma. "U mostro" L'aula della Corte d'Assise è disadorna, uno stanzone in un vecchio collegio di Gesuiti. C'è la folla dei curiosi delusi. Gente arrivata di buon'ora per entrare a tempo e vedere « u mostro ». Studenti e studentesse che hanno saltato la scuola e hanno sotto braccio quaderni, «Ragioneria applicata» e il Corriere dello Sport, fissano la gabbia vuota con ancora qualche speranza, non a a o a a e n . . a e a o , n n del tutto convinti che Vinci non venga. Per l'assenza dell'imputato, l'udienza di stamane ha qualcosa d'irreale. Il presidente rievoca uno dei più feroci delitti della storia criminale, ma senza il protagonista lì, sulla panca dietro le sbarre,, la vicenda appare una storia orrenda, ma inverosimile. Nei momenti più atroci del racconto, istintivamente tutti guardiamo verso la gabbia. La pirrera Poi, il giudicie togato legge i verbali degli interrogatori del Vinci. Lo stile è quello burocratico dei verbali e il giudice legge con voce impersonale, senza pause'né effetti. «...Quindi afferrai, una dopo l'altra, le sorelle Marchese e le scagliai nella pirrèra, nella cava di tufo», legge il magistrato. E poi: «Feci passare il nastro adesivo sugli occhi di Antonella, può darsi perché non sopportavo lo sguardo atterrito della bambina». E noi cerchiamo Michele Vinci, perché soltanto vedendolo in questo momento crederemmo che tali mostruosità siano state possibili. Ma Vinci non c'è. Il giudice va avanti nella lettura monotona e affrettata. «Ero affezionato alla piccola Antonella e non avrei voluto farle del male, però ormai non potevo più lasciarla libera perché Antonella sapeva quale fine avevano fatto le sorelle Marchese». E poi: «La sera ritornai. Mi accorsi che le sorelle Marchese, dal fondo della pirrèra gridavano ancora...». E più avanti: «Ammetto di aver cosparso il corpo di Antonella di benzina e di avergli dato fuoco per essere certo che fosse morta e non potesse cosi raccontare ciò che era accaduto». Lo stile freddo e distaccato dei verbali degli interrogatori rende allucinante questa confessione e mi accorgo ormai che tutti fissiamo, senza riuscire a staccare gli occhi, la panca vuota nella grande gabbia. C'è un silenzio pesante, assoluto, quale non si è mai sentito in un'aula affollata. Soltanto la voce del giudice che continua la lettura, e ora s'interrompe per bere un sor¬ , , i i e i . o e so d'acqua, poi riprende: «Non posso dire tutta la verità perché mi vergono nei confronti di mia moglie». Fissiamo la gabbia vuota. E' il processo a un fantasma. Non da oggi, lascia intendere il giudice istruttore, questo è il processo a un fantasma. Oggi manca in aula Vinci, l'autore del crimine, ma egli è soltanto una pedina. «Vinci è sempre stato un uomo di modeste risorse individuali e di relazione», dice il giudice, ed è soltanto una pedina, il «braccio» di questo delitto. Il vero «mostro dì Marsala», secondo l'accusa, è ancora sconosciuto, è lui il fantasma che da due anni sfugge e che Vinci protegge con le bugie, i silenzi, le contraddizioni, forse per terrore, forse perché plagiato,

Persone citate: Michele Vinci

Luoghi citati: Trapani