Come il terrore della mafia "arriva,, anche nei tribunali di Guido Guidi

Come il terrore della mafia "arriva,, anche nei tribunali I retroscena del processo alla corte d'assise di Agrigento Come il terrore della mafia "arriva,, anche nei tribunali I testimoni di delitti ricevono avvertimenti da gente che si dice amica - Un avvocato di Palermo aveva suggerito ad Antonina Orlando, moglie di Candido Ciuni, di non rivelare nulla sull'assassinio del marito: "Pensa ai tuoi Agli" - E' stato rinviato a giudizio - Si arriva anche a far passare come pazzi i testi (Dal nostro inviato speciale) Palermo, 17 novembre. Antonina Orlando è rientrata a casa. Non prevede di tornare ad Agrigento: per la vedova di Candido Ciuni, il processo è ormai praticamente finito. Ha detto quello che doveva dire anche se rimane il sospetto che possa avere taciuto qualcosa sulla mafia di Ravanusa e sul traffico di sigarette che dalla costa meridionale della Sicilia passa per Palermo: non le rimane che da attendere la sentenza, forse alla fine di gennaio. Se i giudici riterranno la donna attendibile, sarà la condanna per tutti gli imputati: altrimenti, anche questo processo seguirà la stessa sorte di tanti altri del genere. Una condanna La donna c tranquilla. Dice di avere la coscienza a posto. Oggi poi è anche soddisfatta: l'avvocato che inizialmente la sconsigliò di costituirsi parte civile e le suggerì di sbagliare, quando fu chiamata a riconoscere quelli che, per l'accusa, le uccisero il marito nella stanza dell'ospedale di Palermo, è stato rinviato a giudizio. Il giudice istruttore ha contestato al legale il reato di favoreggiamento perché, non vi è dubbio, quella iniziativa aiutò soltanto ed esclusivamente i mafiosi. E' una brutta storia, questa: abbastanza emblematica però, che può servire ad illuminare l'ambiente e a dare conto dell'atmosfera per cui non è un luogo comune, o un alibi, quando i magistrati dicono che amministrare la giustizia è difficile, se non addirittura impossibile. Il protagonista è un avvocato giovane (circa 40 anni) di Ravanusa, si chiama Giuseppe Di Pasquali, è consigliere comunale di Palermo dove fu eletto con i voti dei repubblicani, ma successivamente venne allontanato dal partito. Ora rappresenta il movimento di Randolfo Pacciardi, «Nuova repubblica». Fu a lui che Antonina Orlando si rivolse subito dopo la morte del marito: era un compaesano, era un amico; Candido Ciuni lo aveva consultato spesso, quando si era trovato in difficoltà. Il giorno in cui a Ravanusa furono fermati alcuni mafiosi e si diffuse la voce che a parlare era stato lui, Candido Ciuni si precipitò dall'avvocato Di Pasquali per scagionarsi, per dirgli che era pronto ad aiutare gli amici in difficoltà: sapeva che la voce equivaleva ad una condanna a morte e la sua era una previsione esatta. Per tre mesi circa, Antonina Orlando seguì i suggerimenti dell'avvocato: «Non ti immischiare in queste faccende»; «Quella è gente pericolosa»; «Pensa ai tuoi figli»; «Non è che Candido torna vivo se tu ti costituisci parte civile»; «E poi: che prove sono le tue, per accusare Giuseppe Di Cristina e gli altri?». E la donna tacque. « In fondo — dice ora — non so se mio marito approverebbe quello che ho frlto parlando: lui era uomo d'onore». L'avvocato — se l'accusa ha un fondamento — non si limitò a «mesto suggerimento: andò oltre. Consigliò alla vedova di sbagliare quando i carabinieri e la polizia mostrarono le fotografìe di quelli che sarebbero entrati nell'ospedale civico per uccidere Candido Ciuni. Confondere le idee di chi sta compiendo le indagini è un'antica tattica mafiosa, destinata sempre al successo: e la Orlando sbagliò di proposito. Ma per poco: poi, la convocò l'allora giudice istruttore Cesare Terranova, ora deputato al Parlamento, che la convinse a mutare atteggiamento. Tra qualche mese, l'avvocato Di Pasquali salirà sul banco degli imputati accusato di favoreggiamento. Antonina Orlando è rientrata a casa. Carabinieri e polizia le hanno suggerito di vivere nell'ombra: hanno disposto un servizio di sorveglianza. E' sola, ha affittato l'albergo di via Maqueda; i figli (Mario e Carmela) studiano a Roma le precauzioni non sono mai troppe. Tradimenti In teoria, però, la donna non dovrebbe correre alcun pericolo. L'esperienza insegna che la mafia non uccide i testimoni che parlano ed accusano: punisce semmai i traditori, i confidenti della polizia e dei carabinieri, i ribelli, gli scorretti. «Chi parla, anzi — dice il maggiore Russo dei carabinieri che di Palermo conosce tutto e tutti — è come se avesse stipulato una assicurazione sulla vita». Il perché è logico: innanzi tutto il teste che viene soppresso perché ha parlato finisce per costituire una prova indiretta della responsabilità di chi è stato accusato; poi: il teste che ha parlato deve in qualche modo ritrattare, modificare, «aggiustare le cose». Non è questo il caso di An tonina Orlando che non ha ritrattato e che, anzi, ha confermato le sue accuse. Ma allora viene utilizzato un altro accorgimento: si insinua il sospetto della follia. Come si può dare credito ad un folle? Si tratta di un espediente che non viene adottato soltanto per svilire l'attendibilità dell'accusatore, ma anche per giustificare una eventuale ritrattazione volontaria, che non è spontanea, ma conseguenza di costanti pressioni se non addirittura minacce. Ad Isidoro Bruno, già della banda Giuliano, non riuscì. Ma per convincere i giudici che non potevano essere ritenute attendibili le accuse che aveva mosso ad alcuni amici e certe spiegazioni sulla organizzazione della banda, l'uomo si finse pazzo, al punto da scaraventare una sedia contro il presidente della corte d'assise, dottor Aiello, che per quanto veloce nello spostarsi, venne colpito ad una spalla. Il caso di Natale Sala è tra tutti il più sintomatico: parlò, confermò le sue accuse ed è scomparso da nove anni. Forse è stato ucciso, forse vive all'estero sotto falso nome. La sua storia è stata raccontata da Luciano Codignola, in uno sceneggiato trasmesso dalla televisione, in tre puntate, con il titolo «Il picciotto». Anche pazzi Il Sala, giovanissimo, frequentava una cosca mafiosa. Fu costretto a fuggire da Palermo perché si era appropriato di un'automobile del boss e andò a Livorno. Fu raggiunto dai suoi ex amici, ma per salvarsi si affidò ai carabinieri perché un brigadiere siciliano fu così abile da convincerlo. Disse tutto quello che sapeva sulla mafia e sulla cosca della quale aveva fatto parte. Inutilmente cercarono di indurlo a ritrattare. Allora i suoi genitori andarono dal giudice istruttore, Ce sare Terranova, a sostenere che il loro figlio era matto e che non poteva essere ritenuto attendibile. Il tentativo ovviamente non riuscì. Antonio Maiuri che aveva fatto i nomi degli assassini di suo cognato, Vincent Collura (il delitto si inserisce nella faida fra Liggio e Navarra), per giustificare la sua successiva ritrattazione si presentò addirittura spontaneamente in manicomio, nella speranza di ottenere dai medici quel certificato di infermità mentale che per lui poteva rappresentare un valido salvacondotto che lo mettesse al sicuro da qualsiasi rappresaglia. Non ottenne nulla: ma quello che conta, in certi casi, è un segno di buona volontà. Contro Antonina Orlando è già cominciata la battaglia, chiaramente orientata verso una direzione obbligata. L'altro giorno uno degli imputati le ha gridato: «Sei bugiarda, sei mitomane, sei pazza». E' una frase che rappresenta un campanello d'allarme: considerandola «irrecuperabile», i mafiosi cercano di distruggerla. La vedova di Candido Ciuni l'aveva già messo in bilancio, quando decise di costituirsi parte civile sostituendo l'avvocato Di Pasquali con il senatore Ludovico Corraci e con l'onorevole Salvo Riela. E' per questo che non se ne preoccupa. Guido Guidi