Dietro la crisi del petrolio di Vittorio Zucconi

Dietro la crisi del petrolio Anche VAmerica teme di restare al freddo Dietro la crisi del petrolio La guerra mediorientale ha messo in evidenza una grave situazione già esistente nel settore dell'energia Un rapporto parlamentare dimostra che agli Stati Uniti non mancherebbe il petrolio necessario ai consumi Ma le società petrolifere non hanno voluto spendere per sfruttare i giacimenti americani ancora intatti (Dal iiostro corrispondente) Washington, 16 novembre. Gli sceicchi come alibi, come cartina di tornasole degli errori di un governo e del miope interesse delle grandi compagnie petrolifere: la « più grave crisi energetica dalla fine della guerra » (Nixon) non è nata con l'embargo dei produttori arabi, ma affonda le sue radici in tre anni di scelte e di calcoli sbagliati, drammaticamente esasperati dalle decisioni di Peisal e dei suoi colleghi. L'« allarme energetico » ha un grave retroscena politico-economico, qui negli Stati Uniti, di compromessi fra i petrolieri e il governo, sulla pelle dei consumatori. Un retroscena che l'America diffidente e inquieta dello scandalo Watergate sta fatalmente portando a galla, e non per pura coincidenza: le compagnie petrolifere americane (due sono già ree confesse) sono state tra le maggiori contribuenti dei fondi elettorali segreti repubblicani, e non certo per disinteressata generosità. Da tre anni gli esperti indipendenti sapevano che, senza un mutamento radicale nella politica di approvvigionamento e di raffinazione del greggio, gli Stati Uniti correvano verso la crisi, indipendentemente dai problemi internazionali. Un rapporto parlamentare, concluso la settimana scorsa, rivela che dal 1969 le dieci maggiori compagnie petrolifere americane fornivano dati fasulli al governo, che la Casa Bianca sapeva benissimo che la realtà era diversa, che nonostante tutto le autorità non hanno modificato la loro politica commerciale di limitazioni sull'import e di « laissez-faire » per l'esportazione. Nel mese di settembre (1973) gli Stati Uniti hanno esportato carburanti 4 volte e mezzo più che nel corrispondente periodo dell'anno precedente. La guerra arabo-israeliana ha accelerato i tempi di una crisi latente, ha rivelato l'esistenza di un « problema petrolio » che gli americani neppure sospettavano. Gli sceicchi ci tagliano i rifornimenti — dicono le fonti pubbliche su fino al Presidente — dunque dobbiamo ridurre i consumi, perché la produzione locale non basta. E' falso: dal 1969, un rapporto di geologi e ricercatori finanziati dal Comitato ministeriale per il petrolio dimostra che nelle Montagne Rocciose, in Colorado e Wyoming, esistono giacimenti capaci di produrre due volte e mezzo più petrolio di quanto diano attualmente i campi del Texas e della Louisiana, i due Stati principi dell'« oro nero ». Ma il rapporto è in un cassetto: k compagnie non avevano interesse a intraprendere le operazioni di ricerca e di perforazione finché il petrolio arabo costava meno e quindi permetteva profitti più alti. Dunque, proprio come disse Nixon (ma se lo sapeva, perché non fece nulla?), nel sottosuolo americano esistono « molte Arabie ». E' un fatto accertato. « Molte Arabie » ancora vergini. Perché? Nel 1969, 1970, 1971 e 1972, le dieci maggiori compagnie petrolifere hanno fornito dati falsi al governo: tutte affermavano che le riserve americane erano largamente superiori al fabbisogno e in grado di far fronte ad ogni calcolabile aumento dei consumi. I rapporti delle compagnie alle autorità indicavano aumenti costanti delle scorte ed ora l'inchiesta parlamentare scopre che da quattro anni, ogni anno, le riserve diminuivano costantemente. Sembra una politica suicida, ma non è cosi, non 1 • è stata a breve termine. Le compagnie fornivano dati manipolati per evitare che il governo liberalizzasse le importazioni di greggio, finora limitate da quote fisse (un altro esempio di come gli americani predichino il liberismo con gli europei a Bruxelles e pratichino il protezionismo a casa loro). Una apertura alle importazioni, sostenevano i petrolieri americani, avrebbe accresciuto la dipendenza degli Usa dai fornitori esteri minando la « sicurezza » statunitense senza reale necessità, poiché le scorte erano abbondanti (falso, come abbiamo visto) e avrebbe tolto stimoli alla ricerca di nuovi giacimenti nel sottosuolo americano. Altrettanto falso, visto che i giacimenti intatti sono ben noti. In realtà, le « dieci sorelle » Usa del petrolio volevano mantenere le quote sull'importazione per controllare il mercato interno: qualche prevedibile tensione non era mal vista. Sarebbe servita ad ottenere aumenti di prezzi al consumo, come è avvenuto. Ma il calcolo era miope: per reggere il gioco della maggiore domanda senza dispor¬ re di una maggiore produzione si è dovuto saccheggiare le riserve raggiungendo il livello di guardia proprio nel momento in cui i Paesi arabi cominciavano la loro operazione ricattatoria, legata al conflitto con Israele. L'« allarme energetico » era inevitabile. Ma la crisi non è scoppiata improvvisa: da almeno un anno indizi chiarissimi delle attuali difficoltà esistono e la Casa Bianca non può non averli visti. Lo scorso inverno, per la prima volta nella storia americana (in tempo di pace) i combustibili domestici scarseggiarono mentre in primavera e all'inizio dell'estate scoppiò la crisi della benzina, con molti distributori chiusi e vendite limitate. Le spiegazioni ufficiali fu- jrono la difficoltà di approvvigionarsi sui mercati esteri : (ma nessuno disse che le imIportazioni erano limitate di | autorità), il blocco dei prezzi, problemi di raffinazione che ritardavano la immissione sul mercato del gasolio e della benzina. La verità dietro le quinte era un'altra: durante l'inver>no le compagnie, alle prese | con quantitativi limitati di : greggio e impegnate nel loro gioco scorretto di vendere ipiii carburanti senza avere ] più greggio, avevano intensificato la produzione di benI zina limitando per forza quel■ la di combustibili domestici ' ( si ricordi che la disponibij lità di greggio era immutajta, dunque quello che veniva ! aggiunto da una parte doveiva essere sottratto dall'altra) perché la benzina consentiva utili maggiori. In primavera, quando finalmente la Casa Bianca si accorse delle manovre dei petrolieri e fece pressioni per ricostituire le scorte di gasolio, nel timore di un altro, più grave inverno di penuria, le raffinerie dovettero intensificare la produzione di gasolio, riducendo evidentemente quella di benzina. A questo punto è difficile credere che il governo non avesse finalmente compreso che la situazione delle scorte non era così rosea come la dipingevano i petrolieri e che qualche provvedimento andava preso, sia pur sicuramente impopolare in un Paese avvezzo a scialacquare, più che a risparmiare risorse. Lo scandalo Watergate e l'on- I data di fastidio per l'animij nistrazione Nixon che esso ha svegliato, trattenevano la ICasa Bianca dall'adottare misure restrittive, fino a che gli sceicchi d'oro sono arrivati ad offrirsi come splendido alibi per chiedere sacrifici in nome della dignità nazionale di fronte al ricatto arabo. Ora, dicono le fonti governative, occorreranno almeno cinque anni e 6000 miliardi di lire per risollevarsi dalla crisi energetica e ritrovare l'autonomia degli approvvigionamenti. Milleduecento miliardi di lire andranno a finanziare la ricerca e lo scavo dei pozzi nelle Montagne Rocciose, il resto per pagare il « progetto indipendenza », come lo ha battezzato Nixon, cioè lo studio e l'applicazione di altre risorse come il carbone, che basterebbe per 500 anni, l'atomo, l'energia solare. E' un programma di emergenza, e come tutte le misure critiche è più costoso e affannoso di un programma varato in tempi normali. I petrolieri sono soddisfatti: i colpevoli sono gli sceicchi, mentre essi hanno ottenuto che le ricerche di nuovi pozzi siano finanziate dal danaro pubblico. Il contribuente pagherà così due volte gli errori e le speculazioni degli ultimi tre anni, in termini di prezzi più alti (penuria è sempre sinonimo di incremento di prezzo) e di tasse, mentre il governo ha un alibi straordinario per giustificare nuove scelte di politica estera, come l'inconsueta benevolenza verso gli arabi altrimenti difficile da digerire ad una nazione nettamente filoisraeliana, e per chiedere la l «concordia generale» di fronte allo spettro delle città I fredde e buie. Vittorio Zucconi

Persone citate: Arabie, Nixon