Montale con distacco e ironia

Montale con distacco e ironia I GRANDI MAESTRI PARLANO DEI PROBLEMI D'OGGI Montale con distacco e ironia "Ho sempre sentito dire che il mondo va malissimo. D'altra parte, è mai esistito chi può dirsi soddisfatto di quel che vive e di quel che vede?" - Con lucidità che incanta divaga su Roma o sulla sua esperienza di senatore: "Gli uomini politici lavorano molto e spesso in buona fede. Ma un uomo senza partito ha con loro un difficile approccio" - "Gli scrittori inglesi e francesi non si conoscono fra loro. E' solo in Italia che esiste una società letteraria" (Dal nostro inviato speciale) Milano, novembre. Il paralume di carta pecora, la luce assorbita nel soffice della moquette, la stanza milanese, vasta e disadorna, si perde agli orli nel buio. Due muse grigie di De Chirico vegliano silenziosissime nella penombra, e dove ancora è più buio, nel brillio di un De Pisis, « si librano piume su uno scrimolo ». Eugenio Montale dice: « Ho sempre sentito dire che il mondo va malissimo. D'altra parte, è mai esistito chi può dirsi soddisfatto di quel che vive e di quel che vede?». E ancora: « Bisognerebbe conoscere il mondo di prima, bene come il mondo di ora, per poter fare confronti. Ma i morti sono morti ». Montale parla con allegria nervosa, e nelle sue parole c'è una frenetica lucidità che incanta Divaga, ed è come se congiungesse fra loro frantumi di discorsi, discorsi che paiono arrivare dall'ininterrotto colloquio che il poeta tiene fra sé e sé. Un odio antico Adesso è Roma la protagonista delle sue parole. Gli è stato chiesto da Moravia di rispondere per iscritto a un questionario sulla funzione di Roma capitale. Lo commenta, dice: « Il passato non è diverso dal presente. Già mio padre riteneva che Roma fosse qualcosa di spaventevole, ma non c'era mai stato. L'odio per Roma ha solide radici in Italia, discende per li lombi ». Ma le ragioni di quest'odio, gli chiedo, appartengono alla storia recente, o salgono più in antico? Roma significa sede del papato; la Chiesa cattolica rappresenta l'unico elemento coagulante di gran parte della storia d'Italia; verso la Chiesa gli italiani provano sentimenti contrastanti, di deferenza e diffidenza. La risposta: « E' spiacevolissimo che a Roma vi sia il Papa. Ma il Papa fa parte dello scenario, dello spettacolo, ed è persona ormai gravata da un peso schiacciante: non può non sentire contemporaneamente la importanza e il ridicolo del suo ruolo. Comunque, non provo alcuna avversione per Roma, non mi è per nulla antipatica, anche se si mangia male, se c'è un cattivo clima e un cattivo riscaldamento, e se mi infastidisce la corruzione romanesca della lingua italiana ». A Roma, Montale andava spesso dal momento in cui venne nominato senatore a vita dal presidente Saragat. Oggi le sue apparizioni in Senato si sono molto diradate. « I senatori, gli uomini politici sono assai meno antipatici di quel che avrei immaginato. Lavorano molto e spesso in buona fede. Ma uno senza partito, come sono io, ha con loro un difficile approccio. Quando misi una volta l'occhio alla commissione per la scuola, e mi accorsi che si trattava di distruggerla questa scuola, che quel poco di buono che c'era in essa veniva disperso, mi resi conto quanto era preferibile tacessi, poiché la mia voce sarebbe stata senza meno sommersa ». Di qui la nostra conversazione scivola sui rapporti fra società e cultura, su quel che possono fare gli scrittori, gli intellettuali per la società. Ma il pensiero di Montale si muove sul versante dell'ironia, angola il tema secondo una prospettiva che potremmo chiamare «a rovescio ». «Gli scrittori inglesi e francesi non si conoscono fra di loro. E' solo in Italia che esiste una società letteraria che si preoccupa con una insistenza talvolta encomiabile, talvolta no, di tener rapporti con quel che c'è di fuori. E' vero che oggi si stampa di più e si vendono più libri; ma il pubblico che li compra è un pubblico speciale: sono scrittori, praticanti o in pectore ». "Troppi libri" «Quelli italiani consumano se stessi. Quando si vendono duemila copie di un volume di poesie, è già un successo; ma è un successo che riguarda solo gli adepti. Gli altri, se quel libro andasse loro tra le mani, non lo capirebbero nemmeno. La buona letteratura credo sia sempre in anticipo sui tempi, e non può trovare ascolto nel più vasto pubblico. Ormai, bisogna dire, neanche post mortem si avrà ascolto... ». Montale ride: « Cosa vuole, si stampano troppi libri. Uno scrittore non può più i | ! sperare nell'immortalità, che non è mai esistita per nessuno e in nessuna forma... ». E Montale ride ancora, e nel ridere le vocali gli si dilatano fra le labbra, e la pronuncia ligure affiora prepotente. Prosegue: « Cosa può voler dire per uno scrittore " sopravvivere "? La salita e la discesa degli interessi culturali è così veloce, che ogni sopravvivenza è ormai in crisi perpetua. Prevalgono, per esempio, gli interessi per il linguaggio, ed ecco metter sugli altari Gadda. Quelli che una volta sarebbero apparsi suoi difetti — l'eccesso di complessità espressiva, l'incompiutezza — diventano pregi. E se ne cercano gli antecedenti: si ritorna a Lucini, a Dossi. Si parla di Lui cini e di Dossi, e poi nessu| no li legge. Questo è il risul! tato ultimo ». Una pausa, e poi: « Per carità, voglio che questo mio discorso appaia spoglio di qualsiasi personalismo: sono tutti scrittori che stimo moltissimo. Quel che intendo dire è che oggi j interessa il pubblico, invece ! che il libro. Ma si ipotizza un'idea di pubblico che non so quanto corrisponda alla realtà. Ho letto un saggio di Enzo Golino recentemente, molto acuto, molto informato sull'argomento. Golino cita Hans Robert Jauss, il quale sembrava avesse scoperto qualcosa di estremamente importante. Jauss dice che quando un libro piace anche a solo dieci persone, questo libro ha risposto ad un orizzonte d'attesa. Il fatto è che, una volta esaudita ed esaurita questa attesa, il libro, svolto il suo ruolo, sparirebbe: secondo quanto dice Jauss non avrebbe ragione d'esistere. « Questo non può non lasciare estremamente perplessi. Mi chiedo: il pubblico attende mai qualcosa che riguardi la creatività spirituale? Non credo. E in più, questa teoria dell'attesa è vecchia come il cucco. L'aveva già tirata fuori Tilgher, per il quale la vita del libro coincideva con l'attualità. La sua tesi non venne presa, a dir la verità, molto sul serio, lui pensò allora di rifugiarsi nella critica teatrale per verificarla, e trovò in Pirandello pane per i suoi denti. Giustificare l'arte dal successo che ottiene, è un modo per legare l'arte alla moda, e questo è, a mio avviso, il grave limite di ogni sociocritica ». Torna Benedetto Croce sullo sfondo, un'eco lontanissima nelle parole di Montale: e io faccio il suo nome. « Croce bisogna difenderlo liberandolo dai crociani, dagli yes-men che ancora girano attorno ai suoi libri. Croce è stato l'ultimo grande positivista che ha avuto la cultura italiana. La sua estetica era già ben definita quando lui la colorò di idealismo. Fece, comunque, comprendere a molta gente cosa significasse " autonomia dell'arte ", e questo è un fatto per niente trascurabile. Trenta, quarant'anni fa eravamo convinti in molti che l'arte fosse un evento autonomo, a prescindere dai suoi contenuti. Oggi con le nuove analisi sulla funzionalità dell'espressione, con le nuove teorie strutturalistiche e linguistiche, condizionando l'arte a tanti fattori transeunti, quella convinzione va a farsi fottere. Questo spiega perché la moda venga consumata così voracemente, di per sé ». Ancora una pausa, e poi, come a riassumere una sequela di considerazioni taciute ma evidenti, e con una punta di arresa malinconia: « L'istruzione obbligatoria esige un tale incremento nella produzione di cultura da ridurre al minimo la durata, la sopravvivenza del prodotto artistico ». E' questo l'indizio d'una sconfitta? Nel formulare la domandi mi vengono a mente alcune frasi, velate d'una tersissima amarezza, che ho letto in v.na raccolta recente di prose montaliane ( Nel nostro tempo, Rizzoli, alla pagina 65): « La sostituzione della parola con altro dalla parola, con differenti mezzi espressivi, è la prova che l'uomo è stanco di essere uomo, e quindi è perfettamente logico che egli espunga dalle sue manifestazioni ogni riferimento alla sventurata condizione umana ». Conversando, però, pare che Montale voglia tenere la sua lente su obiettivi più ravvicinati, e prende a rispondermi con l'occhio alle lettere italiane. « Si può affermare che l'importanza culturale di un Paese è relativa alla sua importanza storica, economica. Il vecchio Missiroli diceva: non si può essere un grande poeta bulgaro. E' vero. Ci sarà anche un grande poeta bulgaro, ma mancano le condizioni perché egli venga riconosciuto tale nel mondo. La lingua italiana è oggi più studiata e conosciuta di ieri: ma ci sarebbe ancora tantissimo da fare. La letteratura italiana è una grande letteratura, e mi pa¬ re più ricca di quello che noi stessi crediamo, ma aveva bisogno di fiorire in un Paese che avesse maggiore identità. Le cose sono cominciate a decadere, presso gli stessi stranieri, con l'unificazione nazionale. Il Paese era più unitario, paradossalmente, prima di diventare uno. Quando all'estero dicevano di cose fatte all'italiana, cioè con estro, con fantasia, parlavano dì un i pregio inimitabile. Quelli | che erano pregi e qualità sono diventati un malanno. Ci vorrà molto tempo perché questo Paese perda i difetti che ha accumulato, se vorrà perderli ». Il mondo com'è Ma infine, con una risoluzione del tutto ellittica, e come dopo una parentesi che ha avuto il sapore d'uno squisito ritardo oratorio, arriva la risposta ultima alla mia domanda, anche stavolta una risposta dall'apparenza indiretta, eppure precisa, tagliente. « In un mondo dove esiste il quarantacinque per cento di analfabeti, a cosa serve la letteratura? Che destino c'è per essa? E ancora: a cosa potrebbe servire la letteratura in un mondo dove tutti leggessero? Quando tutti avessero l'automobile, a cosa potrebbe servire l'automobile? » . Le parole di Montale affondano nel chiaroscuro. « Il mondo è quello che è. E' troppo affollato, e non dà da vivere ai suoi abitanti. Con buona pace dei nostri amici ecologi, bisogna dire che non c'è compatibilità fra progresso e natura. Il progresso non vuole la natura, e la natu! ra non ha mezzi per difendersi dalla violenza del progresso ». Sembra che Montale sia attratto dalla vertigine del disastro, sull'orlo del precipizio, e nulla faccia per tirarsi indietro. Ma troppo complesse sono in lui sensibilità e intelligenza. Ecco due versi dal Diario del '71: « Se qualcosa ci resta, appena un sì / diciamolo, anche se con occhi chiusi ». Enzo Siciliano i | Milano. Eugenio Montale a una cerimonia. « A che serve la letteratura in un mondo dove esiste il 45 per cento di analfabeti? » (Foto Team)