Decisione scontata di Renato Cantoni

Decisione scontata Decisione scontata I mercati monetari internazionali sono nuovamente a rumore: la crisi del Medio Oriente è stata un fatto occasionale che ha fatto esplodere una situazione già precaria da qualche settimana. Il dollaro si è notevolmente rafforzato nei confronti di tutte le altre valute forti il che ha permesso a Arthur Burns, presidente della Riserva federale degli Stati Uniti (equivalente al governatore di una banca centrale) di dichiarare che nell'ultimo «line settimana» a Basilea, in occasione della riunione mensile dei governatori dei più importanti Istituti di emissione, è stato deciso dagli Usa e da sei Paesi europei, Gran Bretagna, Svizzera, Germania, Olanda, Belgio e Italia di abolire il doppio mercato dell'oro creato nel marzo del 1968 sotto l'incalzante pressione della speculazione sul prezioso metallo. Tecnicamente non vi è nulla di nuovo. In pratica il doppio mercato era già defunto il 15 agosto 1971 quando gli Stati Uniti, con decisione unilaterale, avevano dichiarato l'inconvertibilità del dollaro. Già in quell'occasione la Francia si era considerata libera da qualsiasi impegno collettivo pur non utilizzando mai la possibilità di comprare o vendere oro sul mercato libero. Ora la decisione dei sette Paesi sopraelencati non fa che ufficializzare quanto era già tacitamente avvenuto. Le cose però non sono andate così lisce. Da giorni ii recupero del dollaro sulle valute europee e sullo yen aveva indebolito l'oro. Le rariazioni erano minime ma era chiaro che bastava un nonnulla per far ribassare in modo sensibile la quotazione del metallo a Londra e Zurigo. I petrolieri arabi avevano mostrato nelle ultime settimane di preferire il dollaro ad altri mezzi monetari e l'industria orafa non era sufficiente a sostenere il mercato. Oggi, conosciuta la dichiarazione di Burns, l'oro ha ceduto nettamente. La prima quotazione è stata a Zurigo di 88,92 dollari per oncia contro il 96-97 del giorno precedente. In seguito vi sono state ripetute oscillazioni e l'oro è salito fino a 94 dollari per scendere al primo fixing a Londra a 90,85 per poi ritornare a 92. L'ultima quotazione è stata di 91 dollari. E' ancora presto per sapere a quale livello si attesterà il metallo, ma non è pensabile un crollo spettacolare. Dal 1968 ad oggi molte cose sono cambiate, il potere d'acquisto delle monete si è decisamente ridotto e il mondo soffre di una crisi inflazionistica che è ben lungi dall'essere controllata e domata. L'oro, perciò, manterrà inalterata la sua caratteristica di bene-rifugio principe e, qualora il suo prezzo dovesse scendere considerevolmente, troverà sempre degli estimatori. Non e chiaro però quale sarà la sua posizione come importante componente delle riserve valutarie ufficiali. Gli Stati Uniti preconizzano una demonetizzazione a breve scadenza ma gii altri Paesi valutariamente forti non sono dello stesso avviso. Le tesi in contrasto non sono mutate dopo la recentissima dichiarazione di Arthur Burns. Gli Usa dicono che sono disposti a vendere sul mercato libero oro delle loro riserve ufficiali mentre gli altri sarebbero d'accordo di vendere oro a patto che sia loro concesso di comperarne. Gli esperti più quotati osservano che il prezzo di 42,22 dollari per oncia, fissato in febbraio dagli Stati Uniti non ha alcun valore pratico finché il dollaro è inconvertibile e non basta l'artificio di usare come termine di riferimento i diritti speciali di prelievo presso il Fondo monetario internazionale. Occorre che i diritti speciali di prelievo siano ancorati a qualcosa di concreto quale potrebbe essere una media ponderata delle principali materie prime e altri beni di generale interesse. E' assai improbabile che qualche banca centrale venda oro sul mercato libero. Sarebbe un atto furbesco che servirebbe a ben poco perché subito altre banche centrali farebbero altrettanto col bel risultato di veder precipitare la quotazione senza costrutto. Prima di operare direttamente, i maggiori possessori di oro dovranno riunirsi e prendere precisi accordi quali la formazione di un nuovo «pool» e l'impegno di non usare altri canali per vendere o comprare metallo. Le iniziative dei Paesi secondari non interessano molto perché sarebbero di proporzioni trascurabili, fatta eccezione dei produttori arabi di petrolio, ma questi hanno già mostrato nei tempi passati di infischiarsene delle decisioni e degli impegni presso il Fondo monetario. E' comunque da prevedere, dopo quanto detto da Burns, che ritornerà d'attualità il problema della riforma del sistema monetario e i pareri saranno discordanti circa il ruolo da assegnare all'oro quale elemento di riserva. Se il dollaro continuerà a rafforzarsi migliorerà la posizione degli Stati Uniti, anche se è ben difficile che ritorni egemonica come nel 1944. In quanto all'Italia nulla, a quanto pare, vi è di cambiato dal 30 maggio quando, in occasione dell'annuale assemblea dell'Istituto di emissione, il governatore spiegò chiaramente nelle sue «considerazioni finali» la opinione delle autorità centrali. Carli non esclude la possibilità di smobilitare le riserve auree, ma solo se vi è un accordo preventivo fra i Paesi più importanti e venga sancito il principio che vi sia libertà di comprare e vendere metallo ai prezzi del mercato libero, il che, per ora, è solo nel campo delle ipotesi. E' in ogni caso sempre più urgente arrivare a un accordo generale, tenendo conto della situazione di fatto e lasciando in disparte concezioni superate o questioni di prestigio anacronistiche. Gli avvenimenti incalzano e occorre risolvere il più presto possibile la crisi del sistema monterio internazionale altrimenti la confusione e il danno aumenteranno. Renato Cantoni

Persone citate: Arthur Burns, Burns, Carli