La difficile " ripresa,, a Palermo del porto devastato dal ciclone di Francesco Fornari

La difficile " ripresa,, a Palermo del porto devastato dal ciclone Si lavora molto, ma a volte in modo disordinato La difficile " ripresa,, a Palermo del porto devastato dal ciclone L'importanza dello scalo per l'economia dell'isola - Entro un anno, se interverranno aiuti, il porto potrà tornare alla piena efficienza - Più grave ancora la situazione del cantiere navale (Dal nostro inviato speciale! Palermo, 10 novembre. Gocciolante d'acqua, il palombaro viene issato sulla barca. I marinai gli si affollano intorno, svitano il casco dello scafandro, glielo sfilano dalla testa. L'ingegnere lo interroga, ansioso. «Allora?». Scuotendo la testa ricciuta, il sommozzatore fa il suo rapporto. «Là sotto c'è di tutto. Barche, tralicci di ferro, rottami. C'è un relitto lungo una decina di metri, forse un pontone. Non ho potuto vedere bene, la visibilità è ridotta a I zero». L'ingegnere insiste: «Ma la banchina? Si può attraccare alla banchina o è pericoloso?». Il palombaro risponde senza esitare: «Non si può attraccare. Proprio non si può». Siamo nel bacino del porto di Palermo, diciotto giorni dopo il fortunale che ha distrutto la diga foranea, sconquassato i bacini di carenaggio del cantiere navale, demolito decine di tettoie metalliche, affondato navi e battelli alla fonda. Da due settimane si lavora con ritmo febbrile per rendere agibile lo scalo: già nei primi giorni dopo il disastro le navi traghetto ed alcuni mercantili sono riusciti ad entrare nel porto devastato. Ma si lavora con affanno, in maniera disordinata. Si commettono degli errori che provocano nuovi intoppi, ritardi, altri danni. Com'è accaduto mentre si posava la diga di emergenza in sostituzione di quella distrutta: cassoni lunghi 50 metri, larghi 17, che vengono adagiati sul fondo del mare. L'altro ieri è stato calato il primo, ma nessuno si è accorto che la base , lo «scanno» com'è detto in termine tecnico, non era a posto, il cassone è rimasto inclinato, sono dovuti intervenire palombari e rimorchiatori per rimuoverlo, si è perso del tempo prezioso. Intanto si sta ancora discutendo per stabilire chi deve provvedere al recupero della motonave bulgara affondata al centro del bacino, che col suo carico di carburo rappresenta un pericolo costante («come una bomba innescata», mi ha detto un marinaio), delle molte imbarcazioni che giacciono sul fondo e che costituiscono un intralcio. Ugualmente sconfortante la situazione nel cantiere navale. Il piccolo bacino, che ha subito danni notevoli, dovrebbe essere trasferito a Napoli con i rimorchiatori nei prossimi giorni per le riparazioni. In questo modo, rimosso l'ostacolo, dovrebbe essere facilitato l'ingresso nel porto alle navi di grosso tonnellaggio. Per quanto riguarda il grande bacino, dov'è tuttora prigioniera la nave della Texaco, i guai invece sono ancora tutti da risolvere. Per poter far scendere la nave in mare i sommozzatori devono prima chiudere le falle aperte dal fortunale nel bacino, costretti a lavorare in condizioni di disagio e pericolo. «Il 24 ottobre Palermo aveva un porto che vantava una posizione di primo piano, ben inserito in un contesto internazionale. Oggi questo porto non esiste più». E' l'amaro commento del dottor Paolo Cimino, direttore generale dell'Ente autonomo del porto di Palermo. Il porto di Palermo svolge una funzione di primaria importanza per l'economia siciliana sotto il profilo commercili le, industriale e turistico. Dà lavoro a circa seimila per¬ sone, con un movimento di merci che l'anno scorso ha superato i tre milioni e mezzo di tonnellate. Inoltre, nel '72 i passeggeri sono stati circa mezzo milione, le navi arrivate e partite più di cinquemila (in tre mesi quest'estate, sono arrivate cento navi passeggeri). «Sinora — dice il dottor Cimino — il porto di Palermo ha assicurato a quest'isola, oppressa dai problemi dei collegamenti col continente e gli altri Paesi, la sicurezza e la continuità del trasporto marittimo». Con l'entrata in funzione del «terminal container» e di due collegamenti regolari con Lisbona e Rotterdam, lo scalo palermitano si s inserito nella ristretta rosa I dei porti europei, all'estremii tà dell'arco meridionale della Comunità europea, in una posizione di grande importanza strategica perché è il più vicino ai Paesi del Terzo Mondo in costante fase di sviluppo e j perciò di grande interesse economico e commerciale per l'Italia e l'Europa. «Il problema dei trasporti è forse quello che maggiormente condi! ziona il processo di sviluppo socioeconomico del nostro Paese. Per questo noi invitiamo il governo responsabile a meditare sulla funzione e sull'importanza di questo scalo, del suo ruolo in seno alla nostra economia. Bisogna affrontare in senso realistico il problema della sua ricostruzione». Secondo il dottor Cimino, i 39 miliardi stanziati per le riparazioni non sono sufficienti. «Ne occorreranno molti di più. Ci auguriamo che, scomparsa l'emozione dei primi giorni, a Roma non si dimentichino delle nostre esigenze». Entro un anno, se tutto procederà senza intoppi, il porto di Palermo dovrebbe tornare in piena efficienza. Più grave, invece, la situazione del cantiere navale, che occupa 3500 operai. I due bacini galleggianti sono stati danneggiati dalla violenza dei marosi e i lavori di riparazione saranno lunghi e complessi. Nell'attesa, che cosa sarà degli operai? Si calcola che circa duemila potranno essere occupati in questi lavori. Ne restano 1500 sui quali si profila lo spettro di un lungo periodo di disoccupazione. Francesco Fornari I i j! Palermo. Un rimorchiatore traina un cassone per la costruenda diga nel porto (Ap)

Persone citate: Paolo Cimino