Imprudente Berlinguer di Indro Montanelli

Imprudente Berlinguer CONTROCORRENTE DI MONTANELLI Imprudente Berlinguer Se la nostra classe politica impegnasse nella soluzione dei problemi la stessa immaginazione che impegna nel conio delle formule, a quest'ora il nostro Paese sarebbe il più efficiente d'Europa. Avevamo appena cominciato a respirare l'aria della libertà, che veniva annunciato il «vento del Nord», i Più che una formula, que| sta era un'indicazione barometrica che si rivelò oltretutto abbastanza inesatta perché il vento si ridusse a un venticello, a uno zèffiro, a una bavetta. Ma sulla sua scia ne vennero a centinaia, tanto che la loro raccolta, curata dal collega Pallotta, costituisce un volume abbastanza corposo. Citiamo a mente e alla rinfusa le più fortunate: la « mano tesa » di Togliatti, lo « sleccato storico » e poi la « benevola attesa » di De Gasperi, la « repubblica conciliare » di anonimo, la « reversibilità delle formule » di Fanfani, gli « equilibri più avanzati » di De Martino. Ma il grande virtuoso, il Paganini dell'epistemologia resta pur sempre Aldo Moro con tre trovate di alta classe: la « cauta sperimentazione », le « convergenze parallele », la « strategia dell'attenzione ». Ora siamo al « compromesso storico » di Berlinguer, ed era tempo perché cominciavamo a sentirci un po' trascurati. In compenso, questa è la ricetta che, seb¬ bene molto meno ingegnosa di quelle di Moro, farà più parlare di sé, come lasciano presagire le polemiche cui ha già dato avvìo. A inaugurarle è stato lo stesso presidente del picei, Longo, che al termine di « compromesso » ha dichiarato di preferire quello di « blocco », e francamente non ci sentiamo di dargli torto, perché in effetti delle due, l'una: o si fa i comunisti, e in tal caso non si può scendere, almeno verbalmente, a compromessi; o si fanno i compromessi, e in tal caso è inutile accordarsi coi democristiani perché lo si è già diventati. Tregua infranta Reazioni non meno vivaci e diatribe sui suoi arcani significati, la sortita di Berlinguer ha provocato nel babelico campo avversario. E questa è materia che lasciamo volentieri agli addetti ai lavori. Una cosa sola ci preme dire: che non ci sembra giusto parlare di una offerta di tregua; ma, al contrario, di una rottura di tregua. Perché una tregua c'era già, che si reggeva proprio sul tacito reciproco impegno di ignorarla. Questa tregua non è documentabile in fatti e patti precisi. Ma la pubblica opinione — meno sprovveduta di quanto credano gli uomini politici e anche parecchi nostri colleghi giornali- sti — già da un pezzo ne ha colto i segni nell'aria. Anche i lettori che non leggono le cronache parlamentari — e credo che siano il novantanove per cento — hanno capito che le aule di Montecitorio e di Palazzo Madama non sono più il Sinai e il Golan e che, anche se dicono le cose di sempre, governo e opposizione comunista le dicono in maniera e soprattutto su un tono diverso. Pochi forse hanno saputo che l'on. Nilde Jotti, vedova di Togliatti, sta studiando coi democristiani qualche modifica della legge Fortuna-Baslini, ma tutti ormai si son resi conto che, nei confronti del referendum sul divorzio, dicci e picei sono assolutamente concordi nel non volerlo. Magari non sarà vero che il ministro delle Finanze, Colombo, prima di varare certi provvedimenti, come quello sul condono fiscale, li sottopone al preventivo assenso di qualche specialista delle Botteghe Oscure, ma tutti lo credono, o quanto meno lo trovano credibile. E altrettanto credito riscuote la voce secondo cui, prima che in aula, i punti fondamentali della programmazione vengono discussi e dibattuti fra i due partiti e che quello di governo tiene in gran conto le contestazioni di quello d'opposizione. Insomma la sensazione che il centro-sinistra di Rumor sta in piedi perché i comunisti vogliono che ci resti si diffonde e approfondisce sempre di più. Naturalmente le smentite non mancano. Anzi, quando parlano ex cathedra, gli esponenti sia dell'uno che dell'altro partito sono molto recisi nell'escludere qualsiasi possibilità d'intesa. E credo che questo fosse quanto gl'italiani chiedevano e sotto sotto vorrebbero che continuasse. Che cosa di più congeniale alla nostra vera vocazione, la vocazione alla « doppia vita », che un bell'anticomunismo praticato d'accordo coi comunisti, quale da qualche anno a questa parte si stava sempre meglio delineando? Nemici di giorno, amici di notte: ecco il rapporto di cui noi accarezzavamo e di cui speravamo che anche i comunisti accarezzassero l'ideale. A chi dei due avrebbe finito per giovare di più, era una domanda che cercavamo di evitare e che in realtà ha poco fondamento, la nostra vera paura non essendo tanto di diventare comunisti quanto di dover confessare a noi stessi e agli altri che lo stiamo diventando. La questione che l'Italia fa non è di regime, ma solo di atterraggio: quale che ne sia la pista, lo vogliamo morbido, indolore e senza traumi. La nostra storia Ebbene, è stata proprio questa operazione che Berlinguer ha turbato con la sua proposta di « compromesso » (lo « storico » è una superflua aggiunta, visto che tutta la nostra storia non è che un rosario di compromessi). E quindi molti si chiedono perché l'abbia avanzata svegliando il paziente dalla sua narcosi e scompigliando un « giuoco delle parti » che fin qui aveva dato i più brillanti risultati. C'è chi dice: per uscire dall'equivoco. Ma uscire dall'equivoco significa uscire dalla politica italiana. C'è chi dice: per sabotare, smascherandola, la tregua. Ma questo non ci sembra in linea con la sua « linea », ch'è sempre stata quella dell'incontro coi cattolici. C'è chi dice: per saggiare gli umori della « base » e le reazioni della controparte. Ma nem¬ meno questo ci sembra molto credibile: Berlinguer non è uomo da rischiare una spaccatura su un semplice sondaggio. Comunque, lasciamo le illazioni e le ipotesi agli esperti con cui non vogliamo entrare in gara. Una cosa sola ci preme rilevare, almeno per il momento: i curiosi criteri a cui la nostra democrazia ispira la sua strategia difensiva. Essa ha due tipi di sentinelle: quelle che guardano a destra perché sono convinte che il vero pericolo sia il «golpe» militar-fascista, e quelle che guardano a sinistra perché sono persuase che l'insidia sia quella comunista. I primi ci richiamano continuamente, per mettercene in guardia, all'esempio dei colonnelli greci e dei generali cileni, di cui hanno ricostruito o cercano di ricostruire tutte le malizie. Così abbiamo saputo per esempio che i corpi armati di cui i golpisti si servono per attuare i loro piani eversivi sono quelli speciali — paracadutisti, genieri, reparti corazzati — che possono garantire i pubblici servizi in caso di sciopero generale, che le ore critiche sono dalle due alle cinque del mattino, e che gli obbiettivi non sono più i Ministeri, salvo quello dell'Interno, ma le centrali della radiotelevisione e dei sindacati, nonché le redazioni dei giornali. I secondi ricorrono a segnali di allarme molto meno drammatici e melodrammatici, ma in compenso più sofisticati. Essi sanno benissimo che la minaccia del comunismo non è esplosiva ma strisciante, e quindi i loro avvistamenti sono di tutt'altra specie, ideologica e tattica. E' una guerra soprattutto di cifrari. Per sventarne i piani, bisogna decriptare i messaggi del nemico. Ed ecco perché una formula come quella di Berlinguer getta tanto scompiglio e inquietudine. A cosa egli miri si sa, anche perché è cosa vecchia: prima che di Berlinguer, l'incontro coi cattolici è stato l'obbiettivo di Togliatti; e prima che di Togliatti, lo è stato di Labriola e di Gramsci. Di nuovo, c'è soltanto la formula. Ma i comunisti, a differenza dei loro avversari, una formula non la inventano mai per il piacere d'inventarla. Sotto, c'è sempre qualcosa. Ed è su questo qualcosa che ci si affanna a strologare. Benissimo. Anche questo serve. Ma se, per difendere la democrazia, invece di concentrarci così a fondo ed esclusivamente nello studio del nemico, del suo armamento e delle sue mosse, impegnassimo qualche sforzo a far sì che questa democrazia di nemici non ne avesse più, o ne avesse di meno, rendendola un po' più efficiente e pulita, non sarebbe meglio? Perché, come già mi è capitato di dire altra volta, nella mia lunga vita di giramondo, ho sempre visto questo: che le democrazie rispettabili sono rispettate da tutti, sia di destra che di sinistra. E' quando marciscono che i « compromessi storici » diventano inquietanti e le loro ore notturne piene di suspense. So di dire un'eresia. Ma il giorno in cui si dovesse celebrare il processo contro Papadòpulos e Pinochet, vorremmo vedere sul banco degl'imputati, sia pure discriminati dall'attenuante della preterintenzionalità, anche Papandreu e Allende. Altrimenti, faremmo solo vendetta, non giustizia. E soprattutto non impareremmo mai nulla. Indro Montanelli

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