Non è "mica,, sbagliato

Non è "mica,, sbagliato LE QUESTIONI DELLA LINGUA ITALIANA Non è "mica,, sbagliato Dall'errata opinione che tra lingua e dialetti scatti un abisso, muovono le persecuzioni contro l'Idiotismo, ch'è viceversa il nerbo del parlare. Quando il cinema vuol rappresentare un Piemontese, poco ha da stare in dubbio circa quel che deve fare: lo seppellirà sotto i neh (contrazione di « non è », registrata dai lessici), che appunto perché richiamati artificialmente, molto spesso suonano falsi. E all'incirca lo stesso fa coi Lombardi per via del mica. Prende così forza il pregiudizio che quelle due espressioni si debbano evitare. Sia questa scheda a difesa di Mica, la canzonatura del quale (ove non riguardi l'abuso) non ha nessun fondamento, e come quella che nasce da ignoranza di lingua, merita di tornare in capo a chi la fa. E' questo Mica un'assai graziosa paroletta che ci viene dal pretto latino mica, e tanto importa quanto Briciolo, piccola particella di checchessia; corrispondendole l'antico francese mie e l'emiliano brisa. Esso sta dunque, in prima accezione, come nome sostantivo di genere femminile; e così l'usò, con altri antichi, Iacopone: « Non dare come povero, Se se' ricco, una mica ». Oggi questo valore sostantivale si è perduto; e sebbene i Lombardi ne abbiano forse tolto il loro michetta (piccolo pane di for. ma rotonda, rosetta), è assai se ancora si conserva, presso i buongustai dello stile famigliare, nella forma diminuita Micolino: non ha un mie olino di giudizio; che è quanto dire un briciolo, uno zimino, o anche, assolutamente, punto, fiore e simili modi fortemente riduttivi. Il nostro vulgatissimo e contestato Mica non è dunque più il sostantivo (sebbene ne ritenga il senso), ma particella negativa che si pone colla negazione per maggior efficacia di negare. E' insomma un ripieno: ma chi non sa l'importanza dei ripieni? Chi non sente che «io non sto mica bene » dice più che « io non sto bene », e « tu non mi piaci mica » più che « tu non mi piaci »? Sopra l'uno dei due piatti della bilancia è appunto una briciola, un grano di più. Certo, quando l'animo non è in vena di rafforzare, allora il mica non ci sta, decade a vizio, intercalare e peggio: come avviene nei timidi che usano ravvolgere le loro domande in forma negativa col mica, e recandosi, poniamo, dal carbonaio tutto nero, gli domandano « se non avesse mica un po' di carbone ». Ma dalla parapsicologia tornando alla lingua, una cosa è da avvertire: che la particella rafforzativa Mica (come il latino quidem) da per se stessa non nega, anzi non si regge nemmeno, ma ha sempre bisogno di un'altra negazione che l'attragga nella sua orbita. L'uso corretto richie¬ de che sia preceduta da Non, interposto il verbo: non è mica vero; dovendosi avere per dialettali, questi sì, i modi « mica è vero », « mica l'ho fatto apposta » e simili, purtroppo abboccati da scrittori che tiran via. Purché accompagnato da negativa, Mica è tanto lungi dal biasimo che se ne giovò la divinità del Petrarca: « E perché mitigato, non che spento, Né mica trovo il mio ardente desio » (Rime CXIII, 7-8); dopodiché si potrà usarlo a visiera alzata, ridendo degli sprovveduti che ridono di lui. * * E' probabile che alla nuova fortuna del verbo Sfatare, la quale ne ha fatto un'altra parola da quella che era, abbia cooperato non poco l'uso giornalistico, illuso da quella Fata Morgana che è l'etimologia popolare. Dove gli etimologisti di professione furono e sono ancora inarcati e perplessi sopra questa voce, noi non abbiamo dubitato di doverla connettere a Fato-Fatare (con la s- privativa): da che il significato che le diamo di « dimostrare falsa e inattendibile una notizia, una credenza », docendosi pertanto che « il Mommsen ha sfatato la leggenda dei Re di Roma»; significato non troppo dissimile da quelli di Dissacrare, Smitizzare e siffatte voci d'uso corrente fra i contestatori. Ma chi rigetti (come è da rigettare) quella facile deriva¬ zione, chi propenda se mai verso un latino effatum, in senso di Sentenza che decida e rigetti, e così facendo senta in Sfatare l'affinità con Sparlare in senso di Dir troppo e Dir male d'altrui; quegli allora scoprirà facilmente il vero significato del nostro verbo, che sempre intriso di biasimo e disprezzo, è appunto quello di Sparlare, buttar giù biasimando, e anche Dispregiare, farsi beffe. Questo nuovo Sfatare, che farà specie a molti lettori, e che non è affatto nuovo ma classico (ce ne sono due esempi nel Tacito messo in italiano dal Davanzati: « Fu moglie di Tiberio.... e lo sfatava come da meno »; « E Peto.... sfatava le cose fatte senza sangue, senza preda»), è la moneta buona, e l'altra la falsa. Diremo dunque bene: « il Richelieu non poteva patire e sfatava il Cid del Corneille », o più accostandoci alle esigenze moderne: « in molti salotti si sfatano le amiche assenti », « Piero sfata la bellezza di Marcella »; « Già c'è chi sfata tutto, anche della Loren » e così via, senza tema d'invilire la parola che non potrà più essere reintegrata nel suo vero significato, e che se rimane | nella nostra lingua e anzi vi ; prospera (laddove il TommaI seo-Bellini la diceva « ignorai ta dai parlanti »), vi rimane per vaghezza di suono e con I valore di neologismo. Leo Pestelli

Persone citate: Corneille, Davanzati, Leo Pestelli, Loren, Mica, Mommsen, Morgana, Peto, Petrarca

Luoghi citati: Roma