La vita in caserma di Gigi Ghirotti

La vita in caserma Il superiore ha sempre ragione La vita in caserma Emilio Sanna: « Nostro padre l'esercito », Ed. Sugar, pag. 228, lire 2600. Che rapporti esistono tra capigliatura ed etica militare? Debbono esserci, vagamente oscuri, e comunque ben radicati e degni d'essere esplorati con attenzione: potrebbe venirne qualche lume prezioso a rischiarare la ambigua psiche delle istituzioni militari. Poiché è vero: il regolamento di disciplina del regio esercito, datato 1880 e salutato, al suo apparire, come uno di quei capolavori destinati a fare, come allora si diceva, gl'italiani dopo aver fatto l'Italia, stabilisce a chiare lettere zazzere « di moderata lunghezza », con il fine dichiarato di lasciare bene scoperti il collo, la fronte, gli orecchi. Ma, affermata e ribadita la giurisdizione della macchinetta tonsoria di caserma sul cranio e le sue immediate adiacenze, come si spiega la tolleranza, per non dire il tacito consenso, alle barbe? E perché mai, pur nell'edizione repubblicana del 1965 (copia quasi integrale del testo-capolavoro del 1880), il regolamento di disciplina tace sulle basette? E se tace, significa che consente? Sembrerebbe di no. Anzi, nel libro-inchiesta di Enrico Sanna Nostro padre l'esercito, si leggono testimonianze irrequiete, d'incertezza profonda. H sospetto dichiarato, naturalmente, è che l'abbondanza delle chiome favorisce l'insediamento di fastidiosi pa- rassiti. Ma non ci vuol poi molto a scorgere, dietro questo schermo, un sospetto più autentico: che folte chiome possano nascondere pensieri, e magari significati non tutti d'ossequio all'istituzione e di reverenza per gli ordini, ai quali, giusti o sbagliati, l'esercito pretende obbedienza pronta, cieca e assoluta. Il punto curiosamente messo in evidenza dall'inchiesta del Sanna, condotta sul filo d'un vigoroso antimilitarismo, è che dopotutto non è poi nemmeno vero che l'esercito prepari armi e armati in vista di eventi bellici. Gli eventi bellici, ovviamente, ci sono, e forniscono spiegazione e giustificazione agli ingenti esborsi chiesti al cittadino nel nome della difesa dei sacri confini: ma, sconfitte o vittorie, tutto passa sul corpo dell'istituto militare quasi senza lasciare traccia. La verità è che la funzione ha creato l'organo, ma poi l'organo ha camminato per conto suo, ergendosi esso stesso a funzione. Quale? L'esercito rivendica, talvolta con autentica passione, il ruolo di « scuola di vita» per le giovani generazioni. Cioè, è pur vero che sui valori da cui trasse fulgore il regolamento 1880 è caduta molta polvere, ma fermo e saldo è rimasto l'impianto strutturale: lo scheletro organizzativo ed etico dell'istituzione. Vogliamo identificarne alcuni tratti significativi? Il libro di Sanna abbonda in citazioni, che non sono poi tanto remote: si riferiscono a sentenze di tribunali militari dei nostri giorni, e cioè sono testimonianze di un pensiero militare che si autoalimenta, e si perpetua nel tempo, ben sicuro del fatto suo e, si direbbe, certo d'avere attinto a valori eterni e insostituibili. Guardiamo, per esempio, come si risolve in caserma il rapporto tra offensore ed offeso. Nella giurisdizione militare, la certezza oggettiva del diritto è scientemente e filosoficamente sostituita da un'altra certezza: che solo il rapporto gerarchico « ascendente » è tutelato, e non il suo contrario. In altri termini: se un ufficiale ingiuria l'inferiore, il codice prevede una pena massima di sette mesi. Ma se succede il contrario, e cioè è dall'inferiore che parte l'offesa, apriti cielo! Il castigo edittale varierà dai tre ai sette anni; e i giudici, preoccupati di tutelare il « rapporto gerarchico ascendente », scaveranno nell'animus dell'offensore fino a scoprirne ogni possibile aggravante. In conclusione, l'alfa e l'omega della vita militare è la distinzione tra superiori ed inferiori: a quelli, l'ossequio, l'obbedienza; persino una strisciante e servile giocondità nell'abdicare a qualsiasi pensiero e sfumatura di pensiero proprio. Agli inferiori, il piacere di sentirsi annullati dentro i congegni di una disciplina che a volte chiama ad essere marziali, a volte impone atteggiamenti da cicisbeo settecentesco. « Le signore che si conoscono », avverte con zelo pedantesco il regolamento, « si salutano; si avvicinano soltan¬ to se chiamati; e si accompagnano sema fermarsi, con contegno che non attragga la attenzione. Non si lascia sola una signora per parlare con altri. Per le scale si salutano le signore, anche se non si conoscono, fermandosi, se occorre, e traendosi in disparte per cedere il passo. L'appellativo di "signore", oltre che con le donne maritate, si può usare anche con le signorine molto attempate... ». Come si vede, la vita militare non s'esaurisce nel rapporto inferiore-superiore: ci sono, vivaddio, anche le donne, c'è la società borghese. Ma, proprio nei rapporti con il mondo esterno, la « scuola di vita » che l'esercito si propone d'essere sembra far cilecca, e prospettare soluzioni impossibili, antiquate e persino vagamente comiche. La verità è che il mondo della caserma è un « maso chiuso » entro cui sopravvivono convinzioni, usanze, modi di comportamento che non trovano più riscontro ed eco nel secolo in cui viviamo. Gigi Ghirotti L'alpino sull'attenti nel bonario disegno di Novello

Persone citate: Emilio Sanna, Enrico Sanna, Sanna

Luoghi citati: Italia, Novello