Cinema tedesco prima di Hitler di Gianni Rondolino

Cinema tedesco prima di Hitler Cinema tedesco prima di Hitler Umberto Barbaro: « Il cinema tedesco », Ed. Riuniti, lire 1200. Non c'è storia del cinema che non dedichi al cinema tedesco muto un ampio capitolo all'insegna dell'espressionismo, iniziando il più delle volte la trattazione storica dal famoso film di Robert Wiene II gabinetto del dottor Caligari, assunto come modello contenutistico e formale d'una intera stagione feconda di opere e di autori che si concluderà tragicamente con l'avvento di Hitler nel 1933. Anzi, per certi storici, il passaggio dall'atmosfera allucinante della clinica del dott. Caligari alla cupa follia del nazismo è il naturale svolgimento d'una crisi ideologica politica e morale che travolse la Repubblica di Weimar in poco più d'un decennio, tanto che il Krakauer non esitò a intitolare la sua storia del cinema tedesco Da Caligari a Hitler. E' vero che in quegli anni ci furono registi come Fritz Lang, Friedrich W. Murnau, Ewald A. Dupont, Georg W. Pabst — tra i massimi del cinema mondiale — che operarono al di fuori dell'espressionismo, ma non è men vero che per talune loro opere ersi furono fatti rientrare sotto l'onnicomprensiva etichetta del «cinema espressionistico ». E persino l'austriaco Josef von Sternberg, che lavorò per lo più negli Stati Uniti, quando girò nel 1930 in Germania L'angelo azzurzo fu giudicato, e in parte lo è ancora, come l'epigono dell'espressionismo cinematografico. Contro questa interpretazione unilaterale e indubbiamente forzata si pose il nostro Umberto Barbaro, uno dei più acuti teorici dell'arte cinematografica, in questo aureo libretto, dedicato appunto al cinema tedesco, che vede ora la luce per le cure di Mino Argentieri a quattordici anni dalla scomparsa dell'autore. Il libro doveva costituire un ampio capitolo d'una storia universale del cinema affidata a un gruppo di studiosi, che rimase allo stadio di progetto; ma anche isolatamente non è privo di una sua compiutezza ed autonomia. Per Barbaro non si può parlare d'un vero cinema espressionista. Sia il Caligari di Wiene, sia gli altri film realizzati in quegli anni sui temi dell'orrore, della follia, dell'incubo fantastico non sono altro che la volgarizzazione, a distanza di anni, di alcuni elementi, più formali che contenutistici, dell'espressionismo pittorico e letterario. Non solo, ma il voler vedere in essi il riflesso d'una situazione generale in cui il popolo tedesco si poteva i-dentificare significa prender lucciole per lanterne. Il cinema tedesco degli Anni Venti e dei primi Anni Trenta era in effetti un altro: era il cinema avventuroso e romantico, e quello comico e leggero, il film storico e quello d'ambiente contemporaneo. Il dottor Caligari, come il Nosferatu di Murnau o il dottor Mabuse di Lang erano delle eccezioni e, in ogni caso, si rifacevano al romanzo gotico inglese, o ad Hoffman e Poe, ma non alla poetica dell'espressionismo. Piuttosto si andavano accentuando in quel periodo i film che trattavano problemi d'attualità, di critica sociale, di denuncia, quelli che si richiamavano alla cosiddetta Neue Sachlichkeit ( Nuova oggettività) o al Kammerspiel (Teatro da camera), in cui i personaggi e gli ambienti avevano una diretta corrispondenza con la realtà quotidiana e con i piccoli drammi d'ogni giorno. Era, in altre parole, uno spaccato realistico che rifletteva, questo sì, la condizione di un popolo tra le miserie del dopoguerra, i dubbi e le angosce della sconfitta, e le illusorie certezze del nazismo. Ma il libro di Barbaro non 1 vuole essere una storia so eie-logica del cinema tedesco Egli sapeva benissimo che ad usare il cinema come spec¬ chio della società si corrono gravi rischi, e poi bisognerebbe disporre di una serie di dati (i film di consumo, gli incassi ecc.) che purtroppo sono difficilissimi da raccogliere o addirittura mancano del tutto. Egli preferì soffermarsi sulle opere e sugli autori più importanti e rappresentativi, o sui generi cinematografici di maggiore diffusione, attento sempre a chiarire gli equivoci e a raddrizzare il giudizio critico con quella lucidità e intransigenza che gli erano proprie. Cosi gli si possono perdonare certe incomprensioni, come per Murnau o Lang, certe sopravvalutazioni, come per Dupont o Pabst, perché tutte derivanti da una rigorosa, seppur parziale, analisi critica che non si fermava alla superficie dei problemi, né accettava i giudizi consueti, ma tentava di risalire alle ragioni d'un'opera nei suoi rapporti con l'autore e con la società. Gianni Rondolino

Luoghi citati: Germania, Stati Uniti, Weimar