Anche cinema selvaggio alla rassegna degli essais di Stefano Reggiani

Anche cinema selvaggio alla rassegna degli essais Presentato il film d'arte a Ravenna Anche cinema selvaggio alla rassegna degli essais Dalle esperienze nelle scuole alle pellicole registrate sui videonastri, un ampio dibattito patrocinato dalì'Aiace - Tanti film che non verranno mai proiettati nelle sale pubbliche - "Agnus Dei" di Miklos Jancsó (Dal nostro inviato speciale) Ravenna, 8 novembre. C'è un privilegio odioso dei critici che tuttavia si esercita spesso con profitto e soddisfazione: quello di incontrare nei luoghi deputati (festival, rassegne) il cinema più vivo e schietto, «l'altro cinema», e di farne scorta intellettuale. E' un rapporto necessario amareggiato dall'ingiustizia, poiché il recensore sa che una grande parte della produzione internazionale non raggiunge i circuiti delle sale pubbliche. Che fare? Segnalare ai lettori i bei film che non vedranno? Qui a Ravenna i privilegiati si sentono meno colpevoli; il «challenge del film d'arte e d'essai», iniziato martedì sera, sembra la premessa all'uscita pubblica di opere poco gradite alla logica della distribuzione in Italia. La rassegna internazionale è promossa dalì'Aiace, l'associazione italiana che cura i programmi dei cinema d'essai e vuol essere un primo assaggio dei gusti e delle preferenze degli spettatori. Nobile proposito, utile festival; anche se non bisogna farsi troppe illusioni sulla forza reale del cinema «d'arte e d'essai». In Italia sono una dozzina le sale specializzate, divise tra Roma, Milano e Torino (che da sola ne ha quattro); in tutto il mondo sono novecento raggruppate in una confederazione di diciotto Paesi. Non si può affermare che si sia creato un circuito alternativo, ma si sa che anche la forza dei buoni esempi può essere contagiosa e si dà il caso di film respinti dal normale esercizio e trionfanti nelle sale d'essai. L'Aiace in Italia è una società di spettatori esigenti che concede il suo patrocinio solo dopo aver controllato il programma delle singole sale. I responsabili aion si nascondono l'opportunità di coinvolgere nel gruppo direttamente gli esercenti, come da qualche parte è accaduto, e di promuovere in modo autonomo la distribuzione. Bisogna preparare a scuola il pubblico di domani, dicono gli esperti riuniti a Ravenna; occorre formare nei ragazzi una «coscienza critica», una corazza che li protegga dal cattivo gusto anche nei frangenti peggiori. E' un compito difficile non solo dal punto di vista organizzativo (per le resistenze opposte dalla scuola alle innovazioni audiovisive), ma anche nei suoi presupposti teorici e didattici. Lo si è visto oggi al dibattito indetto dalì'Aiace accanto alle proiezioni. Fra i critici e gli studiosi si scontrano due modelli culturali. Il primo, fortemente ottimistico e ideologizzato, pensa che si possa insegnare a «leggere» un film, tenendo soprattutto presente la moralità dei suoi contenuti e il carattere politico dei suoi tempi. II secondo non intende il cinema come linguaggio e comunicazione, non ama i contenuti e diffida giustamente delle morali esplicite; agguerrito sugli sviluppi più recenti della linguistica parla del cinema come modo di essere, che non si può inseguare secondo una struttura fissa ma in cui si può entrare con ur ' aerazione di contrasto verso In cultura ufficiale. Queste due posizioni si sono esemplificate nel convegno attraverso gli interventi di Enzo Natta e Gianni Toti. Alcuni insegnanti, specializza ti in animazione cinematografi ca, hanno ammorbidito il problema parlando delle lo1" esperienze e della facilità lieta con cui i ragazzi si impadroniscono del mezzo cinematografico e costruiscono piccoli film indipendenti. Le maggiori discussioni alle Giornate di Venezia, ha ricordato Toti, sono state suscitate dalla pellicola di un gruppo di allievi di una scuola bresciana. L'Aiace è stata invitata a tenere un festival di questi film registrati su videonastri, genere di espressione che ha meritato 1 appellativo di Terzo Cinema o, più acutamente, di Cinema selvaggio. Lasciato il dibattito e il nascente cinema selvaggio, il recensore s'addentra nei film d'essai presentati al festival ravennate. Tra i personaggi che riempiono nell'ombra la sala di proiezione c'è chi non è vergine del tutto, perché è stato delibato in altri incontri (a Cannes, soprattutto). Alcuni sono già stati al centro di un dibattito estetico-ideologico e ora attendono impazienti la prova del pubblico. Come reagiranno gli spettatori ad Agnus Dei di Miklos Jancsó? Presentata a Cannes nel '71, l'opera è già un piccolo classico ricco di lacerazioni con¬ cLlmicuvibvrpdfzpcdcc cettuali e di sontuosità formale. La pattuglia degli ammiratori di Jancsó (di cui si vide alla tv italiana La tecnica e il rito) è armatissima di buoni argomenti: il regista ungherese è di quelli che continuano di film in film un loro crudo e abbagliante rovello. Agnus Dei si svolge nel 1919 in Ungheria quando la Repubblica dei Consigli di Bela Khun veniva contrastata dalla controrivoluzione. Su un grande campo di battaglia, che conosce le dolcezze del paesaggio, si affrontano le due parti. E in mezzo sta un piccolo prete rissoso e predicante nel quale si identifica una visione rituale e alienata del potere. Le immagini di Jancsó, continuamente traversate da cavalli ed armati, da donne nude e zingari, non sono che l'a¬ nalisi di un rituale sopraffalore. Tra gli altri film delle prime giornate, vogliamo segnalare gli intensi sbagli di due giovani autori, il canadese Denys Arcand e il francese Dominique Benicheti. Trattandosi di sbagli è probabile che dopo Ravenna ci saranno sottratti completamente. In Rejanne Padovani di Arcand si assiste al tentativo di scrivere un apologo sull'arroganza del potere attraverso la figura di una moglie borghese che viene respinta e uccisa dal marito imprenditore, più sensibile all'orgia e all'intrigo che ai richiami coniugali. La Padovani sarà sepolta nel cemento, in modo ma fioso. e su di lei passerà un'autostrada, complici sindaci politici e mezze calzette. Per questa parabola ci voleva forse Bunuel ma Arcand ha del temperamen¬ to, visto che dichiara di essersi rifatto ai libri di Tacito e alle suggestioni della corruzione romana. // cugino Giulio di Benicheti è di quelle prove che toccano fin nel profondo il nostro spirito agreste e meditativo. Il film è nient'altro che la documentazione dell'esistenza campestre di Giulio, contadino quasi ottantenne, dapprima con la moglie, poi solo, alle prese con le faccende di casa e con la serena tristezza d'una naturale decadenza. E' un grande tema, che il regista ha cercato di rapprendere nei paesaggi, negli interni, nella quotidianità; ma occorreva una mediazione più partecipe e stravolta. Nei larghi silenzi della campagna solo i poeti sanno leggere. Stefano Reggiani

Persone citate: Arcand, Bela Khun, Bunuel, Denys Arcand, Dominique Benicheti, Enzo Natta, Gianni Toti, Tacito