Terra d'Amleto

Terra d'Amleto TACCUINO DI SCIASCIA Terra d'Amleto La natura sembra essersi arresa alla convenzione. Non ho mai visto un autunno più autunno di questo, più indefettibile: nei colori delle acque, del cielo, delle rade nuvole, degli alberi; nella dolcezza dell'aria; negli odori. Se non in qualche quadro. Ecco: ci si sente come dentro un quadro. O meglio: come in un luogo, una stagione, un'ora che sono state fermate in quadro famoso; irripetibilmente, come si usa dire: e invece si ridiscioglie e si ripete per noi, intorno a noi. Un quadro di Camille Pissarro? Ma no, di Anders Zorn. E così finalmente, nella sua terra, in quest'aria trasparente e dolcissima, tutte le donne nude delle sue acqueforti e dei suoi quadri — tra gli alberi, sulle rive scoscese, immerse nelle acque limpide o che ne escono madide — trovano, per così dire, un'anagrafe. Zorn ha risolto la sua vita in una specie di ubiquità. Parigi e la Svezia. Molto parigino e al tempo stesso molto svedese. Se si guarda il grande catalogo della sua opera grafica, si ha l'impressione che abbia vissuto due vite: una a Parigi, ritraendo donne di piccola virtù o di grande rango, artisti e scrittori celebri, uomini d'affari; un'altra in Svezia, nella provincia svedese, a incidere donne nude in piena aria e interni di case contadine. Unico caso, credo, di artista o scrittore svedese infrancesato, nonostante il trapianto, tuttora considerato dagli svedesi felice, di una dinastia francese sul trono di Svezia. ★ ★ In molte vetrine di negozi ci sono ritratti del vecchio re morto e del giovane che gli è successo. Ma quando se ne parla — del vecchio re, del nuovo, della monarchia — tutti hanno l'aria di rimpiangere il vecchio e di compiangere il nuovo. Il vecchio, appunto perché vecchio, poteva senza sacrificio vivere nell'austerità e nel rigore che si addicono a un re, r entre il giovane « ha finito, poveretto, di divertirsi » (frase che ho sentito da un giovane). E questo concepire l'istituto della monarchia legato a virtù che noi diremmo repubblicane e comunque al sacrificio personale, alla rinuncia, all'osservanza puritana (un professore, a tavola, mi dice che il vecchio re aveva anche rinunciato al vino, a un certo punto dell:i sua vita: e lo dice con contenuta ammirazione, e seguendone l'esempio), è giusto il contrario di quello dei popoli mediterranei, per i quali il re poteva tutto permettersi, aldisopra di ogni regola e di ogni legge; e anzi l'immagine della regalità riceveva concretezza, si rendeva familiare ed amata, nella misura in cui la condotta di un re si sregolava in estravaganze e capricci, se non addirittura nell'assiduo esercizio dell'arbitrio. ★ ★ La presenza dei re in questi due Paesi divisi da un braccio di mare, la Svezia e la Danimarca, aggiunge come un elemento risolutivo alla facile connaturazione e connotazione locale di quella che è la tragedia per eccellenza: l'Amleto di Shakespeare. Ancora sulla cost i svedese, l'apparizione del castello di Elsinore sembra assolutamente predisposta al fatto teatrale, alla rappresentazione della tragedia del regnare. L'avrà sentita così Shakespeare, nel racconto dei comici suoi amici che arrivarono al castello e fecero delle rappresentazioni per quella corte? (Pare sia da escludere si trovasse anche lui con quei teatranti). Che thrilling straordinario è l'Amleto] Guardando da una finestra del castello gli spalti deserti, su cui lievemente ondeggiano sfilacce di nebbia, mi assale il brivido di quando, quarantanni fa, nel teatro del mio paese, il sipario si alzò su questi stessi spalti: e dico gli stessi perché mi pare fossero proprio uguali, verso il fondo tagliati ad angolo, i cannoni puntati verso un orizzonte di nebbie marine. Era la prima volta che andavo a teatro: l'improvviso buio che si era fatto nella platea e nei palchi, l'improvviso silenzio, il risalto quasi plastico che le sole luci del proscenio conferivano al Vespro Siciliano dipinto sul sipario che lentissimamente si alzava. E poi la scena, l'illusione di un vasto, profondo spazio. Come i persiani di Montesquieu, avevo dapprima creduto (ho detto quarantanni fa, ma son-j quarantacinque) che il teatro consistesse in quel che avveniva nei palchi, nella platea, nel fitto e vociante log¬ gione: il guardarsi, salutarsi e sorridersi da un palco all'altro, dai palchi alla platea, nello splendore delle luci, delle dorature, degli specchi, dei gioielli e dei colletti inamidati; la conversazione e gli « a parte » maliziosamente sussurrati; quel tantj di diverso e di libero che veniva a stabilirsi, come per concordata finzione, tra persone che quotidianamente e angustamente si vedevano e che invece in quel luogo si comportavano come se da tanto non si vedessero (ma forse la finzione era nel vedersi ogni giorno, mentre nel raro e desiderato avvenimento dell'andare a teatro ci si liberava delle allora pesantissime inibizioni e si intravedeva lo stato di grazia, sotto specie erotica, cui aspirava quel mondo sgraziato). Ma alla prima battuta dell'uomo loricato e alabardato che stava sulla scena, l'equivoco si dissipò: il teatro era sul palcoscenico, oltre il sipario. Il « Chi è là? » di Bernardo mi trapassò come una freccia, mi inchiodò alla poltrona. « Chi è là? ». Il teatro, la tragedia, il personaggio. La vita e la morte. La follia del potere e il potere della follia. Come i Saggi di Montaigne, l'Amleto è un'opera che basta a tutta una vita. Ho conosciuto uno, per niente stupido, che oltre i libri di scuola aveva letto soltanto l'Amleto e rifiutava di leggere qualsiasi altro libro. Nell'Amleto per lui c'era « tutto ». Ogni suo sentimento o giudizio sulla vita, e su ogni cosa della vita, trovava fonte o riscontro nell'Amleto. Né c'era ombra di ridicolo nelle sue continue citazioni. Quando l'ho conosciuto, negli Anni Trenta, la più frequente citazione, quasi un intercalare, che gli sentivo fare, cadeva anzi con una solennità che seminava disagio: « C'è qualcosa di marcio, nello Stato di Danimarca ». Lo faceva così, all'improvviso e come trasognato. Tutti ..zst'i ricordi mi riaffiorano nel castello di Elsinore. E mi insorge poi una fantasia alla Borges, che però poggia su elementi da controllare (e li ho controllati prima di scrivere questa nota). NelVAmleto c'è un personaggio che si chiama Rosencrantz. Un colonnello Nels Rosenkrantz appare nelle Memorie della Torre Blu di Leonora Cristina Ulfeldt, la figlia del re Cristiano IV di Danimarca, che per ventidue anni fu prigioniera nella Torre Blu del Castello di Copenaghen. Questi due Rosencrantz (Shakespeare mise la c al posto della k) assolvono una funzione uguale nel trasferimento, nei due casi deciso dal re, di Amleto dalla Danimarca all'Inghilterra (dove sarebbe stato ucciso, secondo « lettere che s'accordano a tale effetto ») e di Leonora Cristina dall'Inghilterra alla Danimarca (dove sarà imprigionata). Né il principe Amleto né la principessa Leonora Cristina sanno quale sarà la loro sorte, una volta arrivati in Inghilterra e in Danimarca, rispetti vamente: hanno dei sospetti, dei timori; ma entrambi accettano, fingendo totale obbedienza, la decisione del re. E in tutti e due i casi, l'Inghilterra è luogo dove sarebbe stato consumato un tradimento o si consuma. « Inghilterra », dice il re nella tragedia di Shakespeare, « tu non puoi prendere alla leggera il nostro sovrano mandato »: che era di uccidere Amleto. « Sapete con quali insidie », dice Leonora Cristina, « il re d'Inghilterra, su richiesta del re di Danimarca, mi fece arrestare ». E in quanto a Rosencrantz: nella tragedia non sa di dover accompagnare Amleto alla morte; e nella storia sa a quale sorte sta per essere avviata la principessa. « Il colonnello Rosenkrantz non mi salutò neppure »: e perché mentre tutti gli altri fingono, costui si mostra così rigido? Forse perché era amico di Leonora Cristina come l'altro di Amleto. Tant'è che la principessa non ha per lui parole di biasimo né poi lo mette tra coloro che l'hanno maltrattata e che, per divina giustizia, hanno avuto sventure o sono morti male. Comunque, questo Rosencrantz che nella tragedia di Leonora Cristina non parla, forse perché ha già parlato in quella di Amleto, opera una specie di collegamento — ripeto: borgesiano — tra l'Amleto di Shakespeare e le Memorie della Torre Blu: al principio del secolo XVII un poeta, servendosi di improbabili elementi di cronaca, crea una tragedia nello Stato di Danimarca; prima che il secolo finisca, la realtà, servendosi di quella tragedia, ne produce altra. E benché diverso è il ca¬ rattere dei protagonisti, Amleto e Leonora Cristina, l'atmosfera delle Memorie ripete quella della tragedia di Shakespeare. E, a pensarci bene, c'è un punto che unisce anche i due protagonisti: la loro fedeltà a un fantasma (che è, per Leonora Cristina, l'imbelle marito). * * L'Amleto, in definitiva, è la tragedia di un uomo che non vuole regnare e che si serve, per dirla approssimativamente, di una idea giuridica, la legittimità, per disgregare, col regno, la propria destinazione a regnare. E' la tragedia di un rifiuto; che non può fermarsi al rifiuto del regno, ma deve andare oltre, per la legittimità che noi consente: al rifiuto della vita. Penso ancora ad Amleto mentre vado per i vialetti di Christiania: un luogo che rappresenta altro rifiuto, e questa volta in commedia. Christiania era un quartiere militare fatto costruire da un re Cristiano (forse il padre di Leonora Cristina). Sgombrato dalle truppe, è stato occupato dai capelloni: e l'amministrazione municipale non solo non li sfratta, ma li fornisce di acqua e corrente elettrica, con scandalo e proteste dei conservatori. Ma, nel senso della conservazione, della reazione, hanno ragione gli amministratori progressisti che li lasciano tranquilli e li forniscono di acqua e luce: una visita a Christiania fa venir voglia di gridare « viva la borghesia ». E non solo per il lezzo dei cibi mal cotti, del pollame, delle conigliere, dei vecchi legni e cartacce che bruciano, dei pagliericci che esalano quegli odori che Concetto Marchesi sentiva (e anche noi) in certe pagine di Petronio, ma anche per i tipi che vi si incontrano: stralunati, maldritti, convulsi. Sono giovani, giovanissimi. I soli di una certa vitalità in cui ci imbattiamo sono due italiani, di Lecco, che hanno l'aria tutta italiana, soddisfatta, di aver fregato la Danimarca e la comunità di Christiania per aver lavorato solo tre giorni ed essere stati nutriti per due mesi; e un architetto svedese o danese, che a Christiania vive da un pezzo e si è persino fatto uno studio abbastanza netto, con mobili nuovi. La persona che ci accompagna, che lo conosce bene, con scherzoso rimprovero gli dice: « Ma questo è borghese ». « Oh sì, molto borghese », ammette sorridendo l'architetto. C'è anche un bar, a Christiania. Ne viene musica furiosa. « Questa musica li fa andare », dicono i due capelloni italiani con molto distacco e con una punta di disprezzo. E indicandoci uno che viene verso il bar, parlando da solo e dondolando la testa, dicono: « Questo qui è già andato ». Leonardo Sciascia