La crisi dei giornali Vendono in perdita di Gianni Granzotto

La crisi dei giornali Vendono in perdita Inchiesta sulla stampa quotidiana La crisi dei giornali Vendono in perdita Da due anni e mezzo gli editori attendono l'aumento di 10 lire "Ma oggi non bastano più", dice Gianni Granzotto - Una copia costa 132 lire - Nel 1972 deficit complessivo di 36-38 miliardi (Dal nostro inviato speciale) Roma, 7 novembre. Lunedi 19 novembre i giornali usciranno in Belgio con un aumento del prezzo di vendita. La decisione è di qualche settimana fa e avrebbe dovuto andare in vigore l'I novembre, ma il governo, al quale gli editori l'avevano comunicata — per correttezza, non per obbligo — pregò di attendere. L'invito è stato accolto e il ritocco rinviato, appunto, di 19 giorni. In Italia sono due anni e mezzo che attendiamo l'aumento di 10 lire — mi fa osservare Gianni Granzotto, presidente della Federazione editori — da quando, nel luglio 1971 il prezzo fu portato a 90 lire, con la promessa da parte del governo di autorizzare al più presto l'arrotondamento. Oggi non bastano più '.e 10 lire, che non sono ancora venute, anche se il pubblico finisce spesso col pagarle, a tutto vantaggio delle fabbriche di dolci e delle poste statali, quando il resto vien dato in caramelle o in francobolli. Oggi una copia di quotidiano costa in media 132 lire, secondo una rilevazione del Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica), recente ma non abbastanza da tener conto degli ultimi fortissimi rincari della carta sui mercati internazionali. Su 90 lire, dedotto il 25 per cento spettante alla distribuzione e alle edicole, all'editore vanno 67,50 lire. Per coprire i costi occorrerebbero oltre 64 lire di ricavi netti della pubblicità. Pochi giornali, forse uno solo in tutta Italia (e non è del Nord) ci arrivano. Si spiega, così, perché nel 1972 i quotidiani italiani abbiano accusato un disavanzo complessivo che si aggira sui 36-38 miliardi di lire. Il prezzo dei quotidiani è bloccato, ma le spese sono libere. Oggi il prezzo economi' co del giornale (basato sul rapporto costi-ricavi), do vrebbe essere di 120 lire, per adeguarlo alla svalutazione interna della lira e in confronto ai settimanali, che so no sulle 300 lire e non si può dire «valgano» più di tre volte un quotidiano. A 120 lire, che scendono a 90 dopo aver dedotto il 25 per cento della distribuzione, per arrivare a 132 lire ne occorrerebbero ancora 42 di pubblicità. «La pubblicità ha un costo — dice Granzotto — e per avere un ricavo netto di 42 lire bisogna raccoglierne 60, ma tutto sommato il problema si potrebbe considerare risolto». Facciamo i conti. Dieci lire in più di prezzo di «copertina» significano un incasso complessivo di 15 miliardi in più all'anno per i giornali. Se il prezzo sale di 30 lire, il maggiore incasso sarà di 45 miliardi, tale da coprire — forse — il disavanzo complessivo futuro. «Non tutti i giornali — osserva Granzotto — ritroverebbero l'equilibrio, perché le situazioni sono assai diverse. Nel complesso, però, la stampa quotidiana potrebbe dire al governo: non ho più. bisogno di nulla; potrebbe andare a discutere con le cartiere e fare un discorso di mercato, invece di parlare d'integrazioni, come oggi è costretta a fare». Ieri i rappresentanti sindacali dei lavoratori poligrafici, convocati dalla Commissione della Camera che sta svolgendo un'inchiesta sui problemi della stampa, si son dichiarati favorevoli al ritocco di 10 lire, ma contrari alla «liberalizzazione del prezzo». Temono che le testate più forti possano fare una concorrenza al ribasso, a danno delle più deboli. Granzotto precisa che la Federazione editori non ha parlato mai di prezzo «libero» ma di prezzo «economico», che è tutta un'altra cosa e, una volta concordato, sarebbe eguale per tutti i quotidiani. Il timore che il giornale più caro possa scoraggiare i lettori, far diminuire le vendite, incidere sull'occupazione, secondo Granzotto, è un «falso problema». Tocca al giornale offrire un buon prodotto, e spetta al pubblico giudicare se, a quel prezzo, è caro, va bene o è a buon mercato. Il prezzo «politico» è accettabile per le ferrovie, la navigazione con le isole, l'energia elettrica, ma assume un significato equivoco quando si riferisce agli organi d'informazione. Da che cosa deriva questo prezzo politico? Dal fatto — risponde Granzotto — che nel 1946, per un accordo fra sindacati e Confindustria (quindi, senza .gli editori,, che della Conf industria non fanno parte), i quotidiani vennero inseriti nell'indice sindacale valido per l'indennità di contingenza. Tra l'altro, al quotidiano fu attribuito un «peso» basato su un rapporto che non è mai esistito, cioè di un giornale per famiglia e per ogni giorno dell'anno. Questo rap porto fa sì che un aumento di 10 lire porterebbe a uno scatto dello 0,42 per cento, quasi mezzo punto, dell'indennità di contingenza. Ma non basta. Il «paniere» della contingenza contiene prodotti non sottoposti al controllo del Cip (Comitato interministeriale prezzi), e che possono, quindi, aumentare liberamente, anche dopo 11 blocco dei prezzi del luglio scorso. Altri prodotti, pur controllati dal Cip (per esempio, la benzina) sono stati aumentati. Il prezzo dei giornali, invece, è bloccato anche dal Cipe. Quindi, conclude Granzotto, un assurdo si cumula a un altro, e il risultato è che la libertà di stampa è messa in forse dalla mancanza d'indipendenza economica. Anche la tanto discussa e, giustamente, avversata tendenza alla concentrazione delle testate, nasce da questa situazione, come vedremo nel corso di quest'inchiesta. Mario Salvatorelli

Persone citate: Gianni Granzotto, Granzotto, Mario Salvatorelli

Luoghi citati: Belgio, Italia, Roma