I generali con il diploma

I generali con il diploma PERÙ E CILE, REGIMI MILITARI A CONFRONTO I generali con il diploma Protagonisti d'un golpe incruento, gli ufficiali peruviani sono un trust di cervelli da non sottovalutare - Escono da un'apposita scuola superiore che li mette in grado di colmare ogni vuoto di potere - Guardano a sinistra: hanno nazionalizzato i pozzi di petrolio, gestiscono le imprese secondo un vago modello jugoslavo e si piccano talora d'avere il consenso degli intellettuali (Dal nostro inviato speciale) Lima, novembre. « Si proclamino di destra 0 di sinistra, i generali hanno tutti un marchio comune, la caserma, da cui deriva l'abitudine al comando reciso, la pretesa dell'obbedienza immediata, assoluta». Non condivido l'opinione del collega peruviano con il quale sto conversando. Sono venuto in Perù dal Cile per capire verso quale corrente militaresca si stanno indirizzando i generali cileni dopo il golpe dell'11 settembre scorso, e rimango del parere che vi sono generali e generali, più o meno progressisti, ma anche più o meno preparati a riempire il vuoto di potere che i sofismi dei politici aprono cosi sovente in Sudamerica. I generali cileni, questi sì, sono 1 tipici esponenti della caserma, privi di principi, anche elementari, che gli consentano di gestire il potere se non con la più spietata repressione. Dicono di essere professionisti delle armi, e sono soltanto questo. Nel secolo scorso i generali cileni hanno fatto la guerra a Perù e Bolivia per strappargli le isole del guano, le miniere di fosfati, e sono riusciti nel loro intento. Poi si sono limitati a far sfilare le loro truppe col passo dell'oca durante le solennità patrie, a far lustrare cannoni, fucili, mitraglie dai soldati, a manovrare aerei sofisticati come gli Sky Hawk e qualche Phantom, a partecipare ogni anno alle manovre navali interamericane nelle acque del Pacifico. Così li volevano i partiti che si sono succeduti al potere in Cile, militari e basta. Non avevano bisogno di coltivare diversamente il loro cervello, al punto che una scuola di alti studi militari istituita dal generale Schnei- der, comandante in capo delle forze armate, ucciso nel settembre del 1970 alla vigilia dell'assunzione al potere di Salvador Allende durante un mai chiarito tentativo di sequestro, fu soppressa qualche mese dopo la sua morte. Le illusioni Anche il governo frontista di Unità Popolare era del parere che gli ufficiali non hanno bisogno di imparare relazioni internazionali, economia polìtica, psicologia, statistica, sociologia; l'esercito cileno, dicevano, non ha niente in comune con quelli di altri Paesi sudamericani, non tenterà mai il golpe, semplicemente perché la democrazia cilena ha forze sufficienti per vivere a lungo attraverso libere elezioni. Invece, proprio per la paralisi cui era giunto il governo di Unità Popolare, si è formato quel vuoto di potere che i generali hanno pensato di colmare, col risultato che tutti conoscono; l'impreparazione a governare ha spinto la giunta militare sulla sola via che poteva assicurarle il dominio, cioè la repressione ed il terrore. Il fatto che il generale d'aviazione Leigh Guzman sia considerato il cervello della giunta solo perché ha trascorso qualche mese negli Stati Uniti a seguire corsi di aggiornamento, può dire quale sia il livello di cultura degli altri suoi colleghi. Perciò, a quanto mi risulta, i generali che governano il Perù ormai da cinque anni possono insegnare qualcosa ai loro colleghi cileni, specialmente sulla gestione del potere. Ma è dubbio che tali insegnamenti siano dispensati, o accettati: ogni pronunciamiento sudamericano sostiene di avere una fisionomia diversa dagli altri, quello cileno vale per i cileni, così afferma il gen. Pinochet, quello peruviano vale per i peruviani, dice il gen. Velasco Alvarado, quello brasiliano vale per i brasiliani, rincalza il gen. Garrastazu Medici. E' evidente che siamo di fronte a tre tendenze che, pur avendo una partenza comune, il golpe, si differenziano poi nella pratica. Prendiamo, come raffronto per il movimento rivoluzionario cileno, quello peruviano, che rimane un modello di golpe incruento. Anche in Perù si era formato un vuoto di potere, il presidente Fernando Belaunde Terry, costituzionalmente eletto, non era più in condizione di garantire l'ordine in un Paese dilaniato dalle lotte sociali, paralizzato dagli scioperi a catena, turbato da una limitata, ma insidiosa guerriglia di tipo castrista condotta dall'inafferrabile Hugo Bianco, nascosto sulle Ande, poi al seguito di Che Guevara nella selva boliviano, quindi esperto di guerriglia per il Mir nel Cile di Allende, ora esule forse a Cuba. Nella notte del 3 ottobre 1968 i carri armati invasero Plaza de Armas su cui s'affacciano la cattedrale e il palazzo presidenziale, i golpisti svegliarono il presidente Belaunde Terry, gli buttarono sulle spalle un soprabito, lo condussero all'aeroporto e lo spedirono in Argentina. Il Paese rimase inerte, non ci fu nessun tentativo di resistenza, e quel ragazzo ucciso in Jiron de la Union da un soldato nervoso può essere considerato il solo tributo di sangue che la morta democrazia peruviana ha pagato alla sorgente dittatura militare. La giunta di governo militare, presieduta dal gen. Juan Velasco Alvarado, sì rivelò subito per quello che era, cioè un trust di cervelli da non sottovalutare. Dimostrarono presto di possedere le qualità necessarie per governare. Ad esempio nazionalizzarono immediatamente i pozzi petroliferi sfruttati da una società nordamericana, ed ebbero l'appoggio di tutta la popolazione, sinceramente anti gringos. Poi incominciarono la loro rivoluzione, equidistante dal capitalismo e dal marxismo, dissero: umanista, cristiana, peruviana. Una identica definizione hanno dato al loro golpe i generali cileni, ma con impostazioni così duramente repressive da far accogliere con sospetto le loro affermazioni. Il golpe peruviano del 3 ottobre 1968 si rivelò presto diverso dai moltissimi altri che lo avevano preceduto, tutti effettuati sotto spinte conservatrici; questo voleva essere un golpe rivoluzionario, contro i ricchi ed in favore dei poveri. Non comunista, ma subito i generali riconobbero il governo di Castro, ed accettarono alcune formule del comunismo jugoslavo, come le ?< unità industriali », in cui tutti i dipendenti, oltre al normale salario, o stipendio, dividono parte degli utili dell'azienda. Oggi vanno ancora oltre, intendono arrivare alla « gestione diretta » con le « proprietà sociali », con un evidente slittamento verso un'economia marxista da cui si dicevano lontanissimi. Umili origini Ma questo è un discorso da fare in altra sede, oggi è opportuno guardare da vicino questi generali che si dicono espressione del popolo perché provengono da classi sociali piccolo borghesi, addirittura contadine taluni, quasi tutti criolli, però usando a loro modo questo termine, che vuol significare europeo nato nei domini coloniali spagnoli; in realtà, la maggioranza degli ufficiali sono di sangue misto indio e europeo con evidenti tracce somatiche degli antichi sudditi degli Incas. Ma nonostante la loro modesta estrazione sociale, essi rivelano una cultura ed una preparazione a governare riscontrabile solo nei loro colleghi brasiliani. Terminati gli studi medi e l'accademia militare, gli sarebbe rimasta soltanto l'università per completare la loro cultura, ma che cosa poteva dargli l'università se non una preparazione, magari specialistica, in una sola disciplina? Da qui l'idea di una scuola superiore esclusivamente per militari, e nacque il Caem, « Centro de altos estudios militares », in cui insegnano e tengono corsi saltuari i più noti studiosi dell'America Latina in genere, del Perù in partico¬ lare. Insegnano di tutto, dall'economia politica alla psicologia, dalla geopolitica alla sociologia, alla statistica, alla finanza. Un ufficiale che j abbia seguito con profitto i corsi di alti studi militari, alla fine dei tre anni, che possono anche diventare sei, dispone di un bagaglio culturale che pochi politici civili hanno. In queste condizioni, è comprensibile che i generali peruviani si sentissero capaci di riempire il vuoto di potere in cui si era trovato il Perù durante l'amministrazione di Belaunde Terry, fecero il loro golpe rivoluzionario, ed intendono rimanere al comando del Paese « finché il Perù non sarà totalmente normalizzato ». Quando possa giungere quel momento non è possibile dire, i problemi che i generali si sono prefissi dì risolvere sono di tale ampiezza da far pensare che il traguardo sia molto lontano. Però essi non hanno fretta, come non hanno la superbia di credersi unti dal Signore. Sotto certi aspetti, anzi, rivelano un'ansia di perfezione che altri governi civili non hanno. Le leggi sulla « unità industriale » e sulle « proprietà sociali », ad esempio, sono state discusse largamente sulla stampa, alla radio e televisione, sono stati ascoltati esperti di economia e sociologia d'ogni tendenza politica e per l'ultima legge, che doveva entrare in vigore il 3 ottobre scorso nel quinto anniversario del golpe rivoluzionario, è stato accettato un lungo rinvio, perché le critiche sono apparse più numerose dei giudizi favorevoli. Il gen. Juan Velasco Alvarado è presidente della giunta e del governo militare, ma con poteri decisionali che altri generali presidenti non hanno, a cominciare dal gen. Pinochet. Anzi, egli è addirittura considerato un Caudillo come il generalissimo Franco, tanto che lui solo, avendo superato i trentacinque anni di servizio con le stellette, non è andato in pensione come vuole la legge peruviana. Caudillo, forse, ma con la visione dei limiti suoi e dei suoi colleghi di governo, al punto che hanno ritenuto necessaria la formazione del Coap, (Comitato Assessore della Presidenza della Repubblica) un organismo composto soprattutto da colonnelli, le vere eminenze grigie della rivoluzione militare. « Sono uomini che di giorno fanno le leggi, e di sera vanno a dormire in caserma, davvero frati in uniforme ». mi dice un amico peruviano. Si potrebbe concludere che i generali hanno imposto una nuova etica sociale al Perù, e ciò senza versare una goccia di sangue, con la sola persuasione. Sarebbe un giudizio parziale. Anche in Perù, nonostante tutto, esiste una dittatura militire di cui sarà opportuno parlare ancora, per esporre quanto ha fatto di positivo finora, e quanto sta facendo di negativo. Francesco Rosso Lima, ottobre 1968.1 militari pattugliano la città dopo il «golpe» che ha deposto, senza incontrare resistenza, il presidente Belaunde (Foto C. Cascio)