Stati Uniti e Egitto hanno deciso la ripresa di rapporti diplomatici

Stati Uniti e Egitto hanno deciso la ripresa di rapporti diplomatici La missione al Cairo del Segretario di Stato americano Stati Uniti e Egitto hanno deciso la ripresa di rapporti diplomatici Lo scambio di ambasciatori dopo la rottura avvenuta all'epoca della guerra dei Sei giorni - Nulla è trapelato sui colloqui di Kissinger col presidente Sadat; l'inviato di Nixon si è limitato a dichiarare: "Stiamo andando verso la pace" - Israele accetterebbe un "corridoio" per lo sgombero della Terza Armata - Il vice di Kissinger, Sisco, a Gerusalemme per incontrare la Meir (Dal nostro inviato speciale) I Il Cairo, 7 novembre. Sono trascorse, mentre scriviamo, circa venti ore dal suo arrivo al Cairo, e il dott. Kissinger continua a sorridere. Sorrideva stanotte quando è entrato, avvolto in una doppia cintura di agenli di sicurezza americani ed egiziani, nell'albergo dove abitiamo noi giornalisti stranieri, e subito s'è messo a dispensare allegri cenni di mano, cordiali strizzate dell'occhio, ad alcuni « columnists » americani suoi amici. Sorrideva stamane, quando alle dieci del mattino è entrato nel palazzotto di Al Tahra, andando incontro ad Anwar El Sadat. Lo stesso sorriso gli allargava il volto paffuto all'una e trenta, al suo ritorno all'Hilton, dopo tre ore circa di colloqui col Presidente egiziano. E sembra superfluo aggiungere che sorrideva anche verso le cinque, mentre ammirava le Piramidi sullo sfondo d'un bellissimo tramonto. Le ragioni di tanta allegria, che per qualche ora erano apparse, sullo sfondo aggroviRliato della crisi, incomprensibili, sono diventate chiare a sera, quando il portavoce del Dipartimento di Stato, Robert McCloskey, ha annunciato la ripresa delle relazioni diplomatiche tra Egitto e Stati Uniti. Sei anni dopo la rottura che seguì alla guerra dei sei giorni, Il Cairo e Washington riallacciano così rapporti normali. Kissinger non era dunque venuto al Cairo a mani vuote, ma con una promessa di amicizia (e di assistenza nella evoluzione della crisi) formalizzata dallo scambio di ambasciatori. Già stamane s'era visto che l'atmosfera si andava elettriz zando. Il primo segno è stato l'incontro di Kissinger con Sadat, d'una cordialità che sa- rebbe risultata fuori posto se non si conoscesse (come avvertivamo ieri) la strenua, un po' smodata, simpatia che l'establishment egiziano prova per gli Stati Uniti d'America. Quando i due sono stati vicini, sulla soglia dello studio di Sadat, e hanno preso a stringersi la mano, c'è mancato un pelo all'abbraccio. Comunque, non sono mancate reciproche pacche sulle spalle, e la serie delle strette di mano ad uso dei fotografi non aveva niente di formale, di obbligato, e, anzi, si riempiva ogni volta di nuovo calore. L'apice della simpatia è stato raggiunto quando i due si sono seduti su un divano dello studio (mobili dorati, i mediocri tappeti degli edifici pubblici del Cairo), e hanno posato ancora qualche minuto per i fotografi e i cineoperatori. «Lo sa, signor Presidente — ha detto Kissinger che io faccio la collezione delle mie foto con i capi di Stato?... Oh, per essere esatti, non io, le foto le mando a mio padre, è lui che tiene la collezione...». Sadat sembrava commosso da questa dichiarazione di amor filiale, e ha battuto un piccolo colpo con la mano sulla destra grassoccia dell'inviato di Nixon. Poi gli estranei sono stati fatti uscire, le porte si sono chiuse e hanno avuto inizio i colloqui. Tre ore dopo, Sadat e Kissinger erano di nuovo di fronte ai fotografi e al gruppo dei quattordici giornalisti venuti da Washington nel «Boeing» del Dipartimento di Stato. Nello studio di Al Tahra (che vuol dire «la pura», una goffa costruzione moresco-floreale, che appartenne allo zio di Faruk), c'è stato allora uno scambio di battute che fornivano già la prima indicazione sulla chiave dei colloqui di oggi, e cioè la normalizzazione dei rapporti II Cairo-Washington. «E' vero — ha domandato un giornalista a Sadat — che siamo alla soglia d'una ripresa delle relazioni diplomatiche fra Egitto e Stati Uniti?». Il Presidente egiziano ha sorriso con bonomia e ha detto: «Se ne sta occupando il ministro degli Esteri. Aspettate stasera e saprete qualcosa». Alle 7 è venuto l'annuncio. Una situazione che i portaparola e i giornali di qui definivano fino a ieri «esplosiva» stava dunque conoscendo una curiosa, e non proprio chiarissima, virata. Non è facile, infatti, cogliere già adesso tutto il significato del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Egitto e Siati Uniti e soprattutto quali vantaggi possano venirne all'Egitto da giustificare tutto il sorridere di Sadat e dei suoi ministri. Ma è evidente che molte cose, ormai, saranno diverse: la mediazione americana nella crisi non sarà più, per esempio, «esterna» e saltuaria (come era stata per lunghi momenti dal '69 in poi), ma «interna» e regolare. «Crede che il dottor Kissinger continuerà ad occuparsi dei problemi della regione?», ha domandato stamane un altro giornalista. «Senza dubbio», ha risposto Sadat. Ma la normalizzazione dei rapporti fra Egitto e Usa non è tutto quello che il segretario di Stato è venuto a proporre. Quasi certamente, insieme al suo abituale ottimismo («Credo — ha detto Kissinger, lasciando il palazzo di Al Tahra — che stiamo andando verso la pace»), qualcosa deve aver anche portato, proposto, per quel che riguarda i problemi più urgenti. Vale a dire, le posizioni che occupano sul terreno le forze israeliane ed egiziane di qua dal Canale, il nervoso statu quo che rende così fragile e 1 incerta la tregua. E' impossibile, infatti, che nei cinque giorni in cui la signora Meir è restata a Washington, il segretario di Stato non sia riuscito (benché si sappia quale coriaceo interlocutore è il primo ministro israeliano) a strapparle qualche assicurazione 1 circa la sorte dei ventimila uomini della Terza Armata egiziana isolati nel Sud del Sinai. I sorrisi di oggi si spiegano (se domani non dovessero riSandro Viola (Continua a pagina 2 in seconda colonna) Il Cairo. Il presidente egiziano Sadat stringe la mano a Kissinger, al termine del colloquio di ieri (Tel. United Press)