La stampa negli Usa dà battaglia "Il presidente Nixon si dimetta,, di Vittorio Zucconi

La stampa negli Usa dà battaglia "Il presidente Nixon si dimetta,, H Senato accelera l'insediamento del "vice,, Ford La stampa negli Usa dà battaglia "Il presidente Nixon si dimetta,, Giornali di grande diffusione, anche fra quelli fino a ieri su posizioni nixoniane, chiedono ora che il capo della Casa Bianca se ne vada - Ad essi s'è unito il settimanale 'Time" (Dal nostro corrispondente) Washington, 5 novembre. Per la prima volta nei suoi cinquantanni di storia, il settimanale Time rea pubblicato un editoriale, cioè una presa di posizione ufficiale che coinvolge interamente la responsabilità della pubblicazione. Il titolo è: «Nixon deve dare le dimissioni». La nota, autorevolissima, del settimanale Time, giunge dopo un weekend in cui senatori, commentatori, e, soprattutto, giornali, hanno alzato la loro voce per chiedere l'allontanamento del Presidente di «Watergate»; tutti hanno scelto la domenica perché è il giorno di maggior diffusione e più attenta lettura: nella lista di coloro che chiedono la testa di Nixon troviamo il New York Times (un milione e mezzo di copie la domenica), il Detroit News (900 mila co¬ pie), l'Atlanta Constitution (600 mila), il Denver Post (500 mila). Il Washington Post (700 mila copie) aveva annunciato anch'essa, un editoriale per invocare le dimissioni, ma uno sciopero improvviso dei tipografi ha bloccato l'edizione domenicale. Così, almeno dieci milioni di americani (fra copie vendute e lettori c'è un rapporto di uno a tre, uno a quattro) hanno visto ieri il loro giornale preferito schierarsi non solo tra gli avversari di Nixon ma tra i fautori della sua destituzione o delle sue dimissioni. Tra giornale e lettore esiste negli Stati Uniti un particolare rujporto di fiducia e di credibilità, e questa ondata di editoriali rappresenta un colpo assai grave contro la posizione presidenziale: tanto più pericoloso perché ai tradizionali nemici come il New York Times o. il Washington Post si aggiungono ora giornali conservatori e sostenitori di Nixon come il Detroit News. Non solo: con l'offensiva giornalistica domenicale, il contraccolpo dello scandalo Watergate e dei suoi torbidi annessi esce definitivamente dalla capitale, dai circoli politici, burocratici e intellettuali influenzati dalla Washington Post o dal New York Times per raggiungere anche il «cuore duro» dell'America, quelle classi medie (noi diremmo «provinciali») finora all'oscuro, se non irritate dalla confusa battaglia antinixoniana. Sensibili antenne del sentimento popolare, anche i parlamentari cominciano a levare le loro voci contro il Presidente, chiedendone le dimissioni. Molti sono democratici (da Kennedy agli ex candidati presidenziali come Muskie e McGovern) ma alcuni sono repubblicani, dello stesso partito di Nixon. Da Key Biscaine, la sfarzosa-proprietà in Florida costata oltre 600 milioni di dollari (al contribuente, dicono gli accusatori) dove ha trascorso 3 giorni di vacanza, Nixon fa sapere di non avere alcuna intenzione di dimettersi, nella certezza che la tempesta sia passeggera e tra pochi mesi il sentimento nazionale sia cambiato e gli oppositori zittiti dalle loro stesse menzogne. Purtroppo, è da almeno otto mesi che Nixon aspetta che la tempesta si plachi, mentre in realtà la situazione non ha fatto che peggiorare, alimentata dalle sue stesse decisioni, il licenziamento di Cox, il silenzio sui due nastri mancanti, il braccio di ferro insensato con i tribunali. Troppo grave è il momento internazionale, la crisi in Medio Oriente, i rapporti con l'Europa, la difficile distensione, troppo delicati i problemi interni, l'inflazione, la crisi dell'energia, per decapitare gli Stati Uniti, sostiene Nixon. Proprio per annullare questo argomento nixoniano, che ha un'indubbia presa su molti americani, oltre che una sua tondezza, il Senato sta accelerando al massimo la proce- dura per la conferma del nuovo vicepresidente, Gerald Ford. Egli siede dal mattino alle 10 fino a tarda sera davanti alla commissione senatoriale che lo inquisisce, e gli strappa affermazioni come: «L'autonomia del Presidente non è senza limiti», oppure «Se dovessi trovarmi coinvolto in un'inchiesta non negherei materiali di prova agli inquirenti». E' forse ancora troppo presto per vendere la pelle di Nixon (difficilissimo da abbattere come provano le tremende sconfitte politiche del passato dalle quali ha saputo risorgere più forte) ma l'onda della sfiducia e delle pressioni sta toccando livelli insopportabili: «L'incubo dell'incertezza — dice l'editoriale del Time destinato ad entrare sicuramente nella giovane storia di questo Paese — deve finire, e dobbiamo ricominciare daccapo. Qualcuno, in patria e all'estero, potrebbe vedere nelle dimissioni del Presidente, un segno di debolezza e di. fallimento per gli Stati Uniti. E' vero invece il contrario. Esse sarebbero un segno di forza e di vitalità. Esse mostrerebbero che un sistema politico gravemente malato è capace di guarire se stesso». Vittorio Zucconi

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