"Lucky Luciano,, di Rosi dalla mafia alla politica

"Lucky Luciano,, di Rosi dalla mafia alla politica PRIME VISIONI SULLO SCHERMO "Lucky Luciano,, di Rosi dalla mafia alla politica Il ritratto del gangster, rinviato dagli americani in Italia nel '46, e la storia di Cosa Nostra - Protagonista Gian Maria Volontè Lucky Luciano di Francesco Rosi, con Gian Maria Volontè, Rod Steiger, Francoitaliano, drammatico. Cinema Ambrosio. Lucky Luciano è un nome mitico; ma per chi non fosse bene addentro nelle genealogie della mafia italo-americana, si tratta del siciliano Salvatore Lucania, che in pochi mesi del 1931, il suo anno di grazia, eliminato quel Joe Masseria di cui era il luogotenente e poi altri quaranta capi mafiosi sparsi per gli Stati (il tutto senza apparirei essendo un genio dell'alibi), divenne fulmineamente « il boss dei boss », cioè l'incontrastato signore dell'impero mafioso. Incriminato di sbieco nel '35 per « istigazione alla prostituzione » fu condannato a pena severissima; ma nel '46 dopo ch'era avvenuto lo sbarco degli angloamericani in Sicilia e cominciato il riflusso mafioso verso la madre patria, fu graziato e. rispedito, come indesiderabile, in Italia, dove a Napoli cominciò una seconda vita, una vita, in apparenza, di giubilato, pervaso di nostalgia per l'America degli « Anni Trenta ». Dietro a questa facciata ferveva invece l'uomo della mafia nuova, sposata agli affari, il lucido continuatore di Vito Genovese, già braccio destro del colonnello americano Poletti, nel condurre dal Medio Oriente agli Stati Uniti un gigantesco traffico di droga. Nel '61, quando il Narcotics Bureau e la Guardia di Finanza, dopo una lunghissima guerra, ormai gli fiatavano sul collo, un infarto (il terzo) lo tolse quietamente dal mondo, consolidandosi cosi la sua fama di criminale fatato e invulnerabile. Su questa linea biografica è costruito, con molto panneggio, Lucky Luciano, un film che attesta del tenace impegno «civile» di Francesco Rosi, della sua mirabile facoltà (tanto più mirabile che si tratta d'un napoletano) di trascendere il cinema nel suo elemento coloristico e spettacolare per farne un calcolato strumento d'investigazione e di denuncia. Come, in Salvatore Giuliano e nel Caso Mattei,..cos\ anche in questo Lucky Luciana (che potrebbe benissimo 'intitolarsi «Il caso Luciano») il fatto di ero' naca diventa la cronaca del fatto; una cronaca che per la sua precisione documentaria, la sapienza dei trapassi e l'astuzia dei riferimenti, contiene le urgenti premesse d'una meditazione storica; o è addirittura quella meditazione, quale può farla il cinema. Nel film non v'è soltanto il ritratto, assai bello e riempito con la solita arte da Gian Maria Volontè, d'un gangster tranquillo, di quasi prelatizia dolcezza ma non privo di arroganza magistrale (allora che la legge lo stuzzica), e al tempo stesso investito d'una desolante mediocrità, con un-indice culturale che non supera il livello della scaltrezza contadina; ma v'è anche, in iscorcio, la storia della mafia itadoamericana dal proibizionismo ad oggi, della sua evoluzione da criminalità sfacciata a organo politico-industriale dalle imperseguibili ramificazioni, a sordida ma irremovibile scimmia del Potere. Che la mafia sia uno Stato nello Stato, è verità vecchia; ma il perché, e come siano labili i confini tra i due, e quante le complicità e le protezioni dall'alto, dimostra il film di Rosi nella sua struttura frastagliata, da «lettera aperta» che non le risparmia a nessuno. Sono tante le cose che per mille uncini vengono tirate giù, che la persona di Luciano, dedito agli ozi napoletani, assume nel contesto un'emblematica discrezione, vi sta come il simbolo di una fatalità imbecille, contro la quale né Charles Siragusa, che interpreta se stesso come implacabile investigatore del traffico d'eroina, né altri inquirenti possono spuntarla. Il film comincia dalla scarcerazione e dal rimpatrio del protagonista, per diramare poi in diversi piani temporali, uno dei quali ci riporta alla Napoli del mercato nero e delle « segnorine » di rosselliniana memoria. Il disdegno per il nozionismo immediato e la cronologia, che è ingenito in Rosi quanto spesso sforzato in altri registi, porta all'ordinamento CABD invece che al regolare ABCD: lo sappia lo spettatore. Come anche deve sapere che Lucky Luciano non è, propriamente parlando, un « anii-Padrino » per eccellenza, in quanto non manca di forti scene di sangue persino confortate dal rallentatore (l'eliminazione di Masseria e poi quella del corriere della droga Gene Giannini, interpretato dall'ottimo Steiger), e ha pure nella scena della visita al lupanare di Pompei, visita illustrata e non necessarissima, una lucente pennellata di richiamo erotico; ma che d'altra parte ha una serietà, una quadratura, uno spirito di rinuncia verso gli effetti che .non entrano nella dialettica del discorso, che invano si desiderano in quel modello e nelle sue imitazioni. Con Rosi siamo «a monte», come oggi s'usa dire, del problema mafioso, e a monte, si sa, vige l'inameno dell'ideologia. A Rosi e ai suoi collaboratori alla sceneggiatura, il senatore Lino Iannuzzi e Tonino Guerra, non è. riuscito il miracolo di fare un film sulla mafia che ci levasse dalla nausea per i film mafiosi: perché il nostro cinema, anche il più intelligente, si muove tutto insieme come una ma¬ rea, e cosi contestativo per vocazione, non è poi punto rivoluzionario verso se medesimo; ma accettata la legge di attrazione, bisognerebbe essere ciechi per non accorgersi che questa volta il prodotto non è da confondersi'con gli altri, non discaccia i pensieri, ma li mette. Si lascia allo spettatore di apprezzare il variegato cast (con O' Brien, Magda Konopka, il romanziere Pasinetti, il giornalista Mazzarella e altri estemporanei), la fotografia di Pasqualino De Santis e la musica di Piccioni adeguate alla serietà del tono generale. Leo Pestelli

Luoghi citati: America, Italia, Medio Oriente, Napoli, Pompei, Sicilia, Stati Uniti