Ankara celebra i 50 anni della rivoluzione ma 4000 politici sono in attesa di processo di Mario Ciriello

Ankara celebra i 50 anni della rivoluzione ma 4000 politici sono in attesa di processo Con il grande ponte "Kemal Ataturk,, sul Bosforo, tra Europa e Asia Ankara celebra i 50 anni della rivoluzione ma 4000 politici sono in attesa di processo E' uno dei tanti contrasti di questo Paese, stretto tra democrazia e autoritarismo: in mezzo secolo, dai giorni della nascita della nuova Turchia, il progresso economico è stato enorme, ma i problemi politici e sociali restano insoluti (Dal nostro inviato speciale) Istanbul, 2 novembre. E' una passeggiata di un chilometro, 1075 metri per Vesattezza, con uno dei panorami più belli del mondo: e, allo, fine, si può dire, con un pizzico di giustificato snobismo: «Ho camminato dall'Asia all'Europa», e viceversa. E' quanto si può fare da tre giorni a Istanbul, scena di un trionfo tecnologico più volte pensato ma soltanto ora realizzato, il nuovo ponte sul Bosforo. Una possente ma snella struttura di cemento e di acciaio ha allacciato i due continenti. Gli storici e i pignoli avvertono che non si può parlare di novità assoluta, vi è il ponte di 340 barche allestito per il re persiano Dario dall'ingegnere greco Mandrocle. Ma sono passati da allora quasi 2500 anni, un periodo rispettabile, e in ogni caso Dario aveva soltanto ambizioni militari, mentre il governo turco ha costruito per la pace, per il futuro. E' facile slittare nella retorica, è inevitabile. Ma oggi a Istanbul vi è la stessa atmosfera che inebriava l'Europa, tra l'Ottocento e il Novecento, ad ogni traforo, ad ogni nuova ferrovia, a ogni traversata marittima o aerea, a ogni impresa tecnica e umana che pareva avvicinare e affratellare i popoli. Ponte e simbolo insomma. Simbolo dei progressi economici turchi e simbolo, soprattutto, dell'ansia di questo Paese di appartenere in tutti i sensi al nostro Continente e non all'Asia. E' quanto voleva Kemal Ataturk, il «padre della patria», per cui non esisteva che un'unica civiltà, l'europea. «Occorreva abbracciarla — disse — con tutte le sue rose e tutte le sue spine». Mentre i Nove del Meo sono ancora scossi da forze centrifughe è consolante udire i nuovi leader turchi dichiarare risoluti: «Entro vent'anni vogliamo essere nella Comunità economica europea». Il ponte è costato sui ventidue miliardi di lire, e la sua costruzione — durata tre anni — è stata resa possibile da vari prestiti internazionali, tra essi uno della «European Investment Bank». Internazionali sono pure la tecnologia e il lavoro. Progettato da ingegneri inglesi, il ponte ha preso forma grazie alla collaborazione di ditte britanniche, tedesche, francesi, italiane e ovviamente turche. Il nostro contributo — da una ditta di Lecco e da una di Livorno — consiste in uno speciale | acciaio per i piloni, per un valore di ben sei milioni di dollari. Lungo 1075 metri, largo 34, è il più lungo ponte a sospensione fuori degli Stati Uniti e il quarto nella classifica mondiale. Le due torri che sorreggono i cavi svettano fino a duecento metri. L'arcata è a circa settanta metri dall'acqua, ben sopra l'ininterrotta processione di navi tra il Mar Nero e il Mar di Marmora, verso il Mediterraneo. Certo, non manca chi brontola: dice: «Sarebbe stato meglio spendere quei soldi in scuole od ospedali», o perlomeno per migliorare una rete telefonica che sovente non permette di parlar » da un rione all'altro ed im,xjne sino a un giorno o due di ritardo nelle chiamate per l'estero. Ma anche i critici devono riconoscere talune verità. Sino a tre giorni orsono, non vi era che un modo di attraversare il Bosforo, i traghetti: e tale era ormai l'afflusso di veicoli che le vetture attendevano talvolta dalle tre alle quattro ore per imbarcarsi e gli autocarri sino a dieci e più. Era una strozzatura che la Turchia non poteva più permettersi, su un'arteria intercontinentale. E poi, l'investimento si è rivelato un ottimo affare. Sarà il ponte più redditizio del mondo. Grazie ai pedaggi e a circa ventiduemila veicoli al giorno, il costo sarà recuperato in quattro anni, dopo di che tutti profitti Gli storici hanno paragonato questo evento a quello che si festeggerà un giorno quando un tunnel sotto la Manica unirà fisicamente Inghilterra e Continente europeo. Con una differenza, che di quel tunnel non si vedranno che gli accessi, e gli accessi non saranno certo una gioia per gli occhi e per le orecchie: mentre il ponte ha aggiunto un'altra splendida pennellata alla già famosa «Skyline» di Istanbul. Lo sguardo scende dal Corno d'Oro, quel fiordo che divide la Istanbul più antica, quella di Bisanzio delle favolose moschee di Topkapi e del suo Harem, dalla Istanbul più nuova: cala sul Bosforo, lo stretto passaggio fra le due sponde, l'europea e l'asiatica: e li, ecco, dopo altri mi¬ nareti aguzzi e sottili, su uno sfondo di verde, di acqua, di navi, di affascinanti giochi di luce, coglie l'armoniosa linea del ponte. Alla sera, è una scintillante collana attraverso l'orizzonte. L'inaugurazione dell'opera ha costituito il gran finale delle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario della Repubblica turca. Grandi ritratti di Kemal Ataturk, che di questa Repubblica fu il padre, dominano le strade e le case: è una presenza continua, martellante e senza dubbio gradita ai turchi per i quali Ataturk è rimasto personaggio leggendario, un leader di qualità quasi sovrumane. La rivoluzione kemalista era già cominciata nel 1919, la proclamazione della Repubblica il 29 ottobre 1923 ne fu la istituzionalizzazione. Respinti greci e alleati dal territorio turco, Mustafa Kemal cancellò le umiliazioni dell'impero ottomano e scagliò Ir Turchia nell'era moderna, con una serie di riforme politiche, economiche, giuridiche e sociali. Laicizzò lo Stato, affrancò le donne dalla loro condizione di inferiorità, impose l'adozione dell'alfabeto latino, strappò la Turchia dall'Asia e l'annodò all'Europa. Questo volo attraverso la storia è necessario, perché non si capirebbe altrimenti quanto avviene in questi giorni in Turchia, dove oltre alle celebrazioni per la Repubblica e per il ponte si sono avute le elezioni generali, dalle quali è emerso vincitore il partito repubblicano del popolo, il vecchio partito di Kemal Ataturk e di Ismet Inonu. Nuovo primo ministro è il dinamico quarantacinquenne Bulent Ecevit. E qui la faccenda si fa complessa. Da un lato infatti il successo di Ecevit è motivo di soddisfazione e di speranza, dall'altro solleva molti interrogativi. Dal 1971, il potere era nelle mani dell'esercito, questo poderoso esercito turco che si considera custode del progressismo kemalista, che interviene — come già fece nel '60 — quando è convinto che i politici si sono impantanati, ma che, nonostante i suoi buoni propositi, finisce con l'insterilire la vita nazionale e ricorrere alla repressione. Quattromila persone sono in attesa di processo ed Ecevit vuole concedere un'amnistia: numerosi, e semi-ammessi i casi di tortura. L'esercito adesso ha indetto le elezioni e le ha perdute. Il suo candidato, il generale Gurlor, è stato sconfitto. Il potere passa a Ecevit e al suo partito di tendenza socialista. Ma Ecevit è in minoranza: gli occorre un alleato: lo troverà? E se lo troverà — potrebbe essere il partito di salute nazionale — quanto durerà questa difficile coalizione? Ecco perché vi è già chi teme e prevede che Ecevit non resisterà a lungo e che il presidente della Repubblica inviterà Gurlor a formare un governo. Quindi, ritorno sulla scena dell'esercito. Molti sono i paradossi, qui: un miscuglio, o meglio un alternarsi, di democrazia e autoritarismo. Grande povertà, ma anche eccezionali progressi economici con un'inflazione di ben il 15 per cento, alimentata in buona parte dal fiume di milioni che giunge dagli emigranti turchi in Europa. Abbiamo detto, ponte e simbolo. Simbolo di una tenace e industriosa Turchia che vuole ansiosamente avanzare e unirsi all'Europa ma frenata nel suo slancio da mille fardelli antichi e nuovi, politici e sociali. Mario Ciriello 'Odayeri EUROPA Alemdar9 Samandra