Pessimismo degli intellettuali di Luigi Firpo

Pessimismo degli intellettuali Un piano per il futuro della città: dibattito della "Stampa,, Pessimismo degli intellettuali Mario Einaudi: "La città è asfìttica, non sarà mai metropoli; il suo avvenire è nella sua provincialità" - Luigi Firpo: "Salvare il centro antico, in sfacelo; e quello nuovo, risposta di massa ad una domanda di massa, con idee avveniristiche" - Felice Barbano: "Torino deve adeguarsi al suo ruolo moderno; la prospettiva è di farla anonima rispetto alla tradizione" - Franco Quaglieni: "C'è un completo disinteresse degli amministratori per i centri culturali" SI arricchisce il caleidoscopio di pareri stilili Torino di doma| ni: dopo i partiti ed I sindacati , interviene nel dibattito promos! so da « La Stampa » il mondo della cultura. Abbiamo sentito i professori Mario Einaudi, direttore dell'omonima Fondazione; Luigi Firpo e Felice Barbano, docenti alla facoltà di Scienze politiche, ed il direttore del centro studi « Pannunzio », Pier Franco Quaglieni. I problemi di Torino, le possibili soluzioni, filtrati dall'ottica degli intellettuali, acquistano nuove prospettive. Ne viene fuori un largo ventaglio di ipotesi e tesi: dal ridimensionamento di ambiziose aspirazioni, ali? divisione di Torino in due entità ben distinte, all'irreversibilità di certi processi, ad una nuova concezione nel programmare gli interventi. Pessimismo e sconforto prevalgono nell'analisi di Mario Einaudi. Premette: «Un divario abissale per modi di vita ed obiettivi futuri separa Torino dalle altre grandi città del mondo. Viviamo in un centro provinciale: il suo avvenire deve essere per forza di cose orientato soltanto in questo sen so». Qualsiasi prospettiva metropolitana lo fa sorridere: «Il vuote gravissimo che si è creato tra i ceti medi imprenditoriali, professionali, commerciali ha compromesso il tessuto che era sempre stato l'anima della città. Ogni discorso su ambizioni da metropoli sconfina nell'utopia. Perdute le antiche caratteristiche, non ci si può più illudere: il polmone dello città e atrofizzato, non è possibile rifare quanto e sfatto da tempo. L'unica prospettiva concreta e che Torino diventi una tollerabile città di provincia». Nelle parole di Einaudi la città acquista sconsolanti configurazio ni, la requisitoria contro il cattivo susto imperante («Girando pei Torino è meglio chiudere gli occhi su certe brutture architettoniche, stilistiche, frutto di restauri ed ! interventi inconcepibili») si accompagna alla scarsa fiducia negli amministratori. «/; ripristino del :entro ri' darebbe una certa quale linfa alla città. Purtroppo, la realizzazione di qualunque programma, per mìnimo che sia, cozza spesso con l'i nefficienza e la cattiva volontà dì una parte della classe politica». La fondazione raccoglie tutto il materiale bibliografico pubblicato nel mondo ed ha lo scopo di permettere a ricercatori e studiosi la consultazione delle aggiornate biblioteche economiche, storiche, politiche. «Però ì responsabili di Torino — lamenta Mario Einaudi non ci hanno mai interpellato. .......... —. .—., tE pensare che potremmo mettere joncrcte programmazioni urbani- \etiche e sociologiche». Sarebbe, |oltretutto, una prassi abituale, già sperimentata con successo in mol- ti Paesi stranieri. Assessori e con- siglieri sono sempre alle prese con problemi complessi: il comu- ne ha i suoi uffici tecnici, ma perché manca questa collaborazione tra esperti e centri culturali? L'analisi di Luigi Firpo parte dai danni che le forze di modernizzazione hanno procurato alle città, snaturandola. «Da noi — spiega l'intervistato — queste forze sono state ingigantite dall'immigrazione. Torino ha patito più di qualunque altra città, ma ha assimilato il fenomeno. Il cambiamento del modo di vivere è lo scotto pagato alla mcridionalizzazione». Dopo aver messo in evidenza le caratteristiche antiche della città, «tipico centro burocratico, fabbrica di funzionari», e l'attuale posizione di privilegio culturale — «il grosso nucleo editoriale, la ricchezza di centri di studio e fondazioni, l'università ammantata di tradizioni, i successi nel campo delle scienze, fanno di Torino un'avanguardia culturale» — il prof. Luigi Firpo ipotizza alcune possibilità d'intervento. Afferma: « Torino e oggi un ammasso informe, la sua crescita, congestionata c caotica, ricorda quella di un'indecifrabile periferia industriale. Occorre però salvare la città, anzi le città ». Per cui, in Torino, convìvono due centri: quello ii storico », in completo sfacelo, e quello nuovo « anonìmo, logica risposta di massa ad una domanda di massa». in continua espansione. Salvaguardia del primo, e razionalizzazione del secondo su criteri urbanistici che resistano alle prove di un futuro immediato: cosi, secondo Firpo, deve agire il Comune. Città intesa non solo come ag- glomerato di case, ma, sopral- tutto, come scenario e patrono- nio di tradizioni e cultura: partendo da questa concezione l'in- allo sfacelo prodotto dall'in- curia e da quanto è stato fatto male. Basta un'occhiata per ren-dersl conto degli obbrobri per-tervistato auspica un nsanamen to integrale del centro storico « una delle più signiOcative testimonianze mondiali del baroc-co ». Spiega: « Occorre rimedia- petrati da stolti provvedimenti. Palazzi deturpati, ambienti di- strutti, atmosfere cariche di sug- gestioni storiche e sentimentali inquinate da modernismi as- surdì ». Per il prof. Firpo è ìnconce- pibile che la popolazione del cen- tro storico rimanga a vivere in t y, j v questa zona: « E' per lo più slegata culturalmente dal luogo do. abita, la maggior parte vi rila partl- \ colare economia da "basso" | consente certi comportamenti». i Propone: « Dovrebbe essere disio ca(a in aUri quartieri, in base al | criterio della vicinanza dcll'abii tazione al luogo di lavoro ». | \ so hanno dilatato la città: ne Anche Firpo non risparmia du-re critiche agli amministratori, sottolinea la scarsità di rapporti tra mondo politico e culturale: « Raramente le autorità ci consultano. Tutto è lasciato all'inij zlativa individuale, e quasi sem' pie per meri interessi egoistiI ci ». Conclude: « Fissati i confiI ni della zona da preservare, ti Comune dovrebbe impegnarsi sulla Torino " contemporanea " con idee da 2000 e non da 1910. E' insulso continuare a prospettare soluzioni limitate nel tempo. L'esperienza di "Italia 61" miliardi profusi nell'inutilità, dovrebbe essere di monito. Le grandi città straniere, Londra, New York cambiano ogni dieci, quindici anni, adeguandosi alle nuove esigenze. Cosi dovrebbe avvenire anche da noi ». Ma ipotesi e realtà si scontra- no: «Torino è scesa dal trenodella storia — conclude Luigi Firpo —. Illuminante l'esempio della metropolitana: qui si di- sentono ancora i progetti men- tre a Londra si celebra il cen- tenario del servizio ». industrializzazione e progres- gli ultimi quindici anni Torino si è estesa a macchia d'o;io, la dimensione naturale è stata coni- promessa. Per Felice Barbano, decente di sociologia, è utopia concepire ancora il territorio co- me idilliaco rapporto uomo-natu- ra. « Il mutamento è irreversìbi- le, il territorio non tornerà mai più alle condizioni originarie di pulizia. Invece di vagheggiare antichi modelli bucolici, che in realtà non sono mai esistiti da j Quando l'uomo domina la nata ! ™- bisogna inventare una nuocoesistenza tra dimensione umana e naturale. Impossibile restituire la natura a se stessa: l'unico rimedio in questo senso sono i parchi nazionali ». Analo-rico, drastica la conclusione: « Si ! l'urla sempre di risanamento, di restaurazione delle condizioni di \ vita e cultura di una volta: ma 1 è assurdo. Non si può resusct- 1 So il discorso per il centro sfo | , tare quello che c'era prima; si ! devono concepire strutture nuoi ve ». I Nell'esame di Barbano la frat1 tura con il passato è netta: l'im i migrazione ha diviso Torino in ! due citta> quella vecchia sta \ sc°mPf™nd°„„£L„poc,° 8 p0C° «L'antica cultura torinese (il borgo, il dialetto etc.) è in dissoluzione. Come per il futuro assetto spaziale, anche qui non è ipotizzabile un ritorno al passato. E' necessario che Torino si adegui al suo ruolo moderno, abI bandonando il provincialismo che ! l'ha sempre contraddistinta. Oggi è un centro industriale per ee! cellenza, ma privo di cultura ini dustriale. L'unica prospettiva è rispetto alla I il rapporto tra politici e crisi. «I partiti, per struttura e mentalità dei dirigenti, sono rimasti indietro: le nuove realtà sociali hanno accresciuto la domanda politica, alla quale non hanno sa- 1 m cosmopolitizzare Torino, farne j ,„,„ Cìttà anonima tradizione » strettissimo, secondo Barbano puto rispondere. E così continua l'assenza di un'azione politica in prospettiva, la classe dirigente è sempre al seguilo dei problemi». Dopo aver criticato la mancata conquista di autonomia degli enti locali (.«La Regione ha fatto ben poco») il prof. Barbano individua nei comitati di quartiere 10 strumento più efficace per il governo della città. Dice: «La cittadinanza deve essere rivitalizzata dal basso. Il decentramento potrà scuotere i partiti, adeguarli ai bisogni odierni. Il meccanismo di domanda e risposta tra città e amministrazione sarebbe meno rozzo ». C'è 11 pericolo che i comitati di quartiere riflettano, alla lunga, 1 contrasti e le dilacerazioni dei partiti? «Certo — risponde — ma il fenomeno sarà negativo soltanto nella misura in cui il contrasto politico impedirà le scelte». Città, metropoli, megalopoli, necropoli: sociologi ed urbanisti concordano sulla «escalation» della città verso la sua morte. Molti centri americani e giapponesi sono un'antologia di questo cammino. Per il prof. Pier Franco Quaglieni, direttore del centro «Pannunzio» anche Torino è sulla strada buona. «Il futuro della città si gioca sul plano urbanistico — afferma —. Dobbiamo abbandonare al più presto l'Indirizzo caotico finora seguito, programmando lo sviluppo in base al problemi dell'avvenire, non su quelli contingenti. Le previsioni devono essere concepite su criteri metropolitani e non municipalistici». Torino, Grugliasco, Moncalieri, tutti i «paesi dormitorio» della prima e seconda cintura sono un sistema metropolitano. Purtroppo gli atteggiamenti particolaristici prevalgono. L'impossibilità di realizzare un piano regolatore viario tra i diversi comuni ne è una delle prove più chiare. «La metropoli sta costruendo se stessa, ma gli amministratori non se ne sono ancora accorti. Tutti t problemi sul tappeto sono trattati cosi, ed l risultati si vedono. Le soluzioni, quando ci sono, rischiano di nascere già superate». Lamenta inoltre «ti completo disinteresse degli amministratori» per i centri culturali. «Non abbiamo mal avuto un aluto dal Comune, che, sovvenzionando il Teatro Regio e Stabile ha determinato un regime di monopolio, soffocando tutte le altre istituzioni» e termina affermando che il Comune «deve soltanto fornire un servizio sociale per tutti Invece di diventare una "fabbrica di cultura"». Claudio Giacchino Guido J. Paglia Ponte Isabella: qui il verde del Valentino cede il posto al cemento armato dei palazzi