DOPO NAIROBI

DOPO NAIROBI DOPO NAIROBI di Paul Fabra Le Monde Dopo l'assemblea generale del Fondo monetario internazionale, che si è svolta a Nairobi e che è stata preceduta dal primo accordo politico raggiunto (alla fine di luglio a Washington) a livello politico per quanto riguarda le questioni monetarie in seno al Comitato dei Venti, e dopo l'accordo di Tokio sulle trattative del Gatt, sembra aperta la via verso una migliore intesa fra europei ed americani, intesa che potrebbe approdare alla tanto attesa — o quantomento sempre sperata — riforma del sistema monetario internazionale. Tuttavia la costruzione dell'Europa non sembra registrare alcun effettivo passo avanti. La Cee è condannata a rimanere quella che è, ossia un raggruppamento, piuttosto labile, di Paesi le cui posizioni comuni di fronte al resto del mondo e la cui politica comune per quel che attiene all'organizzazione del suo « mercato interno » o sono troppo poco omogenee o troppo vaghe per costituire la base di questa « Unione economica e monetaria » che gli uomini politici periodicamente pongono come loro obiettivo, da raggiungere entro la fine di uuesto decennio? Non si dovrebbe insistere troppo sui motivi di divergenza. E' probabile che durante i prossimi mesi i francesi accetteranno di sottoscrivere una riforma che costituirà di fatto il rifiuto dei principi sui quali si poggiavano gli accordi di Bretton-Woods, reclamati per tanto tempo a Parigi (dove si sosteneva la tesi secondo cui la disorganizzazione era stata causata non dalla mancanza di aderenza di questi principi al mondo di oggi, ma dal fatto che questi non avevano potuto essere applicati). Nel limite però in cui le nuove formule consisteranno soprattutto nel codificare l'attuale situazione (parità semifluttuante, mancanza di prezzo fisso dell'oro, ecc.), non si potranno aspettare quelle che la migliorano. Decisivi saranno senza dubbio i provvedimenti aggiuntivi, intesi ad Nairobi. Alcuni delegati africani alla Conferenza (Telefoto Ap) assicurare il buon avvio della riforma. Queste misure, che ad esempio riguarderanno il consolidamento della bilancia del dollaro, non costituiscono, come ha detto con molta franchezza George Shultz a Tokio qualche settimana fa, una questione di principio: sono soprattutto una questione di denaro, di molto denaro. Il rischio oggi è forse quello di concentrare tutta l'attenzione esclusivamente sul risanamento del dollaro. Ormai, per questo, si può contare sugli americani che alla fine hanno valutato gli inconvenienti di una moneta che non ispira più fiducia e il costo economico (soprattutto nel campo delle importazioni) che sopporta una divisa deprezzata. Se in effetti è molto importante che la moneta americana, il cui ruolo deve normalmente rispecchiare quello della potenza industriale e commerciale degli Stati Uniti, ritrovi una certa stabilità, non sarà meno importante che un secondo « polo » monetario si costituisca da questa parte dell'Atlantico, contribuendo all'unificazione del gruppo economico europeo e alla sua influenza nel mondo. Ora (perché non dirlo?) non c'è alcuna possibilità perché la Cee allargata disponga di un sistema unificato di pagamenti per tutto il tempo in cui l'indebitamento extra-europeo della Gran Bretagna rimarrà ingente. Ma chi, nelle prossime trattative internazionali, potrà imporre l'idea che la formazione progressiva di un complesso monetario europeo è un obiettivo non meno serio del ritorno alla stabilità del dollaro, se non gli stessi europei? Il pericolo è che a Bruxelles e nelle capitali degli Stati comunitari si continui a giocare sulle parole, discutendo, ad esempio, per settimane, con una parvenza di serietà, sull'opportunità di sapere o no s" esistono le premesse per passai,. .Ila seconda fase del programma economico e monetario, quando è evidente che perfino quei Paesi la cui moneta si trova all'interno del famoso « serpente », non hanno esaudito tutti gli obblighi della prima fase.

Persone citate: Gatt, George Shultz, Paul Fabra, Woods