Nixon ora rischia tutto di Vittorio Zucconi

Nixon ora rischia tutto Sotto accusa per il licenziamento del giudice Nixon ora rischia tutto Cox è stato sollevato dall'incarico di indagare sul caso Watergate, il viceministro della Giustizia è stato cacciato - Il Paese è indignato: tutti parlano di "insulto alla giustizia, alla Costituzione, al popolo americano" - Si farà ricorso, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, all'"impeachment"? (Hai nostro corrispondente) Washington, 21 ottobre. La cambiale dello scandalo Watergate si sta avvicinando al pagamento, e il prezzo si annuncia terribile. Il Presidente ha licenziato in tronco lo speciale inquisitore che stava indagando sul caso, Cox, perché rifiutava di accettare un grottesco compromesso suggerito dalla Casa Bianca sulla questione dei nastri con le confidenze di Nixon sullo scandalo, il ministro della Giustizia ha dato le dimissioni, il suo vice, dopo aver nspinto l'ordine di Nixon di firmare il licenziamento dello speciale inquisitore, è stato a sua volta licenziato. Tutto questo ad una settimana dalle dimissioni del vice presidente Agnew (reo confesso di frode fiscale) e mentre gli Stati Uniti sono impegnati nella crisi del Medio Oriente. Lo scandalo Dalla serenità, dall'esattezza dei giudizi di Nixon può dipendere la pace nel mondo, e il Presidente deve combattere, in queste stesse ore, una guerra personale per salvarsi dalla marea montante dello scandalo. E' una situazione di estrema gravità: stamane, concludendo il suo commento televisivo, uno dei più famosi giornalisti americani, Walter Cronkìte, ha detto: «Mai, nella mia lunga carriera di corrispondente, avevo dovuto annunciare notizie simili dalla Casa Bianca. Prego Dio ch>: sia l'ultima volta». Forse, Dio ascolterà Cronkìte: mentre scriviamo, le telescriventi trasmettono, da tutti gli Stati d'America, commenti indignati di uomini politici, deputati, senatori. Nelle loro dichiarazioni si parla sempre più apertamente di destituire Nixon, attraverso una sorta di «voto di sfiducia » a maggioranza di due terzi del Parlamento (è il cosiddetto impeachment;. Edward Kennedy: «Il comportamento del Presidente è un gesto disperato di chi si sente perduto, uno storico insulto alla giustizia, alla Costituzione, al popolo di questo Paese che non merita un trattamento simile. Credo sia tempo di destituirlo ». Edmond Muskie (ex concorrente alla Casa Bianca): «Ho un solo commento: toglia- ! molo dalla Casa Bianca ». John Anderson (repubblicano, lo stesso partito di Nixon): «Avevo ancora qualche dubbio sulla responsabilità di Nixon nello scandalo. Ora non più. Appoggerò ogni iniziativa per destituirlo ». Il Paese — come dimostrano i sondaggi, le interviste, e una manifestazione che si sta svolgendo davanti alla Casa Bianca — è indignato, offeso. Non sappiamo se davvero il Parlamento troverà la volontà politica per destituire Nixon, ma siamo certi che la ferita aperta dallo scandalo e dalla condotta I del Presidente nell'anima del Paese si sta allargando. Negli ultimi dodici mesi, l'opinione pubblica ha assistito sgomenta ad una serie di avvenimenti incredibili: la scorsa estate, tutto lo staff della Casa Bianca è stato licenziato perché responsabile delle operazioni di pirateria I politica (spionaggio, corru¬ zione, calunnie) contro il partito democratico noto come lo scandalo Watergate. poi ha visto licenziare il capo dell'Fbi, tre ministri della Giustizia, il quarto dare le dimissioni, un vice presidente dimissionario. Ha visto Nixon alzarsi a chiedere giustizia, invitare alla creazione di una speciale «forza» per far luce sullo scandalo dandone la guida ad Archibald Cox e poi licenziarlo, perché si faceva troppo intraprendente. I giustizieri divengono corrotti, la Casa Bianca, sacrario dell'orgoglio nazionale, sembra un nido di cospiratori. E tutto questo, lo dobbiamo ripetere, mentre gli Stati Uniti sono impegnati in una delle più gravi crisi internazionali dalla fine delle guerra. Senza prove Non è più, a questo punto, un problema di colpevolezza c di innocenza: contro Nixon non esistono prove che confortino i sospetti di una sua compromissione nello scandalo Watergate, ma esiste la prova che la sua battaglia per salvarsi politicamente sta sconvolgendo il vertice amministrativo del Paese, mentre le difficoltà interne e internazionali divengono di giorno in giorno più pressanti. Non saremo certo nei europei, più ancora noi italiani, ad atteggiarci a giudici: ricordiamo ancora troppo bene gli « omissis » del caso Sifar, l'insabbiamento dell'inchiesta sugli ascolti telefonici, i misteri tragici di piazza Fontana, del caso Calabresi e delle altre vergogne che turbano il nostro Paese per condannare gli Usa, dove almeno, sia pur tra spasmi dolorosi, magistratura, giornali, opinione pubblica riescono a mettere alle corde i massimi dirigenti, a far cadere un vice presidente disonesto. Ma con questo, finché gli Stati Uniti resteranno il Paese sul quale pesa la leadership di tutto il mondo occidentale, ci piaccia o no, lo scandalo della Casa Bianca è anche il nostro scandalo. Quanto è accaduto negli ultimi mesi, quanto è avvenuto ieri sera è preoccupante per il cittadino di New York come per quello di Torino o di Napoli, soprattutto mentre una guerra è in corso a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste. Ieri, con la decisione di sbarazzarsi degli inquisitori che pretendevano piena luce sullo scandalo, Nixon sembra aver dato una prova indiretta della sua colpevolezza. Vediamo perchè. Al centro della battaglia sono 9 nastri magnetici con la registrazione dei colloqui che il Presidente ebbe con alcuni collaboratori (come Jchn Dean, reo confesso di avere ostacolato le indagini) sul caso Watergate. Da essi, nessuno ha dubbi, dovrebbe emergere la prova definitiva sul ruolo di Nixcn nell'affare. Due tribunali, di prima istanza e d'appello, hanno intimato al Presidente di consegnare queste bobine (incisa r'ii magnetofoni automatici che registravano tutte le conversazioni che si svolgevano alla Casa Bianca) alla commissione senatoriale di - inchiesta e allo «speciale inquisitore» Cox che conduceva un'indagine sul caso per conto del ministero della Giustizia. A Nixon, dopo le due sentenze, restava apparentemente una sola alternativa: il ricorso alla Corte suprema, sapendo che, in caso di una nuova decisione sfavorevole egli non avrebbe più potuto opporsi, pena la quasi certa destituzione. Le bobine E il Presidente ha aggirato l'ostacolo della suprema magistratura: ieri l'altro, ha raggiunto un compromesso con il presidente della commissione del Senato, Ervin, secondo il quale egli consegnerà un riassunto del contenuto dei nastri (10 ore e 1 minuto di registrazione in tutto) per iscritto. Un senatore democratico, Stennis, dovrà ascoltare le bobine e provare che il riassunto è fedele. Ervin ha accettato e Nixon ha ordinato a Cox (che non è un magistrato, ma un giurista di Harvard \ specialmente incaricato di questa inchiesta) di interrompere la sua «caccia ai nastri ». Ma ieri, Cox ha detto, in una conferenza stampa, che non avrebbe lasciato perdere proprio nulla, che la decisione di Nixon era un'offesa alle Corti, di cui aveva ignorato le sentenze, e un insulto alla giustizia. «Continuerò, in piena libertà, le mie indagini — ha detto Cox — perché a queste condizioni accettai l'incarico offertomi dal ministero della Giustizia». Quattro ore dopo era licenziato. Ma il suo allontanamento non è stato facile: il ministro della Giustizia Richardson ha rifiutato di firmare il licenziamento e ha dato le dimissioni, accusando Nixon di aver violato gli impegni. Il vice ministro (Rukelshaus) al quale, per logico ordine gerarchico, la Casa Bianca ha chiesto di prendere il posto del ministro Richardson e di firmare insieme la «condanna» di Cox si è a sua volta rifiutato. Finalmente, il numero tre del ministero, Robert Bork, ha ceduto alle pressioni della Casa Bianca, dalla quale dipende sia il «Department of Justice», sia Cox. Bork è ora il nuovo ministro della Giustizia e il licenziamento di Cox porta la sua firma. Pronto a tutto Giunti a questo punto, è chiaro che Nixon è pronto a tutto pur di impedire che i nastri vengano alla luce nella loro interezza. Il compromesso che ha provocato, con la sua intollerabile ambiguità, la rivoluzione governativa di ieri sera, non rappresenta nulla: infatti, il senatore Stennis, che dovrebbe essere il garante dell'onestà del riassunto, è un vecchio signore ultra settantenne, appena rimesso da una grave ferita provocata dall'assalto di due rapinatori, descritto come «onesto, ma troppo ossequiente all'autorità». /72 parole chiare: un vecchio infermo dovrebbe ascoltare dieci ore ininterrotte di registrazioni, senza aver alcuna esperienza di legge e del caso in particolare e stabilire se un riassunto di poche pagine che gli verrà poi presentato risponde al contenuto dei nastri. Un riassunto, si noti, non una trascrizione stenografica (come il senatore Ervin credeva di aver capito). Che cosa potrebbe provare? Quale tribunale libero accetterebbe una simile prova? Si potrebbe mai condannare un Presidente sulla base di un breve riassunto di dieci ore di registrazione? La risposta è evidentemente no, e su questo conta Nixon. Ma, senza fare previsioni, abbiamo l'impressione che quest'ultimo trucco presidenziale non funzionerà. E la marea di indignazione che sta montando rischia di travolgere anche il nuovo vice presidente Gerald Ford, designato da Nixon ma ancora in attesa di approvazione parlamentare. Se il Presidente fosse destituito, egli sarebbe il successore ed ora il Parlamento vorrà soppesare bene il prescelto di Nixon. Quando si scatena la sete di vendetta e di giustizia in questo Paese è difficile dire dove si fermerà. Vittorio Zucconi \ Washington. Il ministro della Giustizia Richardson, l'inquisitore Cox e il vice ministro della Giustizia Rukelshaus Nixon ora rischia tutto Sotto accusa per il licenziamento del giudice Nixon ora rischia tutto Cox è stato sollevato dall'incarico di indagare sul caso Watergate, il viceministro della Giustizia è stato cacciato - Il Paese è indignato: tutti parlano di "insulto alla giustizia, alla Costituzione, al popolo americano" - Si farà ricorso, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, all'"impeachment"? (Hai nostro corrispondente) Washington, 21 ottobre. La cambiale dello scandalo Watergate si sta avvicinando al pagamento, e il prezzo si annuncia terribile. Il Presidente ha licenziato in tronco lo speciale inquisitore che stava indagando sul caso, Cox, perché rifiutava di accettare un grottesco compromesso suggerito dalla Casa Bianca sulla questione dei nastri con le confidenze di Nixon sullo scandalo, il ministro della Giustizia ha dato le dimissioni, il suo vice, dopo aver nspinto l'ordine di Nixon di firmare il licenziamento dello speciale inquisitore, è stato a sua volta licenziato. Tutto questo ad una settimana dalle dimissioni del vice presidente Agnew (reo confesso di frode fiscale) e mentre gli Stati Uniti sono impegnati nella crisi del Medio Oriente. Lo scandalo Dalla serenità, dall'esattezza dei giudizi di Nixon può dipendere la pace nel mondo, e il Presidente deve combattere, in queste stesse ore, una guerra personale per salvarsi dalla marea montante dello scandalo. E' una situazione di estrema gravità: stamane, concludendo il suo commento televisivo, uno dei più famosi giornalisti americani, Walter Cronkìte, ha detto: «Mai, nella mia lunga carriera di corrispondente, avevo dovuto annunciare notizie simili dalla Casa Bianca. Prego Dio ch>: sia l'ultima volta». Forse, Dio ascolterà Cronkìte: mentre scriviamo, le telescriventi trasmettono, da tutti gli Stati d'America, commenti indignati di uomini politici, deputati, senatori. Nelle loro dichiarazioni si parla sempre più apertamente di destituire Nixon, attraverso una sorta di «voto di sfiducia » a maggioranza di due terzi del Parlamento (è il cosiddetto impeachment;. Edward Kennedy: «Il comportamento del Presidente è un gesto disperato di chi si sente perduto, uno storico insulto alla giustizia, alla Costituzione, al popolo di questo Paese che non merita un trattamento simile. Credo sia tempo di destituirlo ». Edmond Muskie (ex concorrente alla Casa Bianca): «Ho un solo commento: toglia- ! molo dalla Casa Bianca ». John Anderson (repubblicano, lo stesso partito di Nixon): «Avevo ancora qualche dubbio sulla responsabilità di Nixon nello scandalo. Ora non più. Appoggerò ogni iniziativa per destituirlo ». Il Paese — come dimostrano i sondaggi, le interviste, e una manifestazione che si sta svolgendo davanti alla Casa Bianca — è indignato, offeso. Non sappiamo se davvero il Parlamento troverà la volontà politica per destituire Nixon, ma siamo certi che la ferita aperta dallo scandalo e dalla condotta I del Presidente nell'anima del Paese si sta allargando. Negli ultimi dodici mesi, l'opinione pubblica ha assistito sgomenta ad una serie di avvenimenti incredibili: la scorsa estate, tutto lo staff della Casa Bianca è stato licenziato perché responsabile delle operazioni di pirateria I politica (spionaggio, corru¬ zione, calunnie) contro il partito democratico noto come lo scandalo Watergate. poi ha visto licenziare il capo dell'Fbi, tre ministri della Giustizia, il quarto dare le dimissioni, un vice presidente dimissionario. Ha visto Nixon alzarsi a chiedere giustizia, invitare alla creazione di una speciale «forza» per far luce sullo scandalo dandone la guida ad Archibald Cox e poi licenziarlo, perché si faceva troppo intraprendente. I giustizieri divengono corrotti, la Casa Bianca, sacrario dell'orgoglio nazionale, sembra un nido di cospiratori. E tutto questo, lo dobbiamo ripetere, mentre gli Stati Uniti sono impegnati in una delle più gravi crisi internazionali dalla fine delle guerra. Senza prove Non è più, a questo punto, un problema di colpevolezza c di innocenza: contro Nixon non esistono prove che confortino i sospetti di una sua compromissione nello scandalo Watergate, ma esiste la prova che la sua battaglia per salvarsi politicamente sta sconvolgendo il vertice amministrativo del Paese, mentre le difficoltà interne e internazionali divengono di giorno in giorno più pressanti. Non saremo certo nei europei, più ancora noi italiani, ad atteggiarci a giudici: ricordiamo ancora troppo bene gli « omissis » del caso Sifar, l'insabbiamento dell'inchiesta sugli ascolti telefonici, i misteri tragici di piazza Fontana, del caso Calabresi e delle altre vergogne che turbano il nostro Paese per condannare gli Usa, dove almeno, sia pur tra spasmi dolorosi, magistratura, giornali, opinione pubblica riescono a mettere alle corde i massimi dirigenti, a far cadere un vice presidente disonesto. Ma con questo, finché gli Stati Uniti resteranno il Paese sul quale pesa la leadership di tutto il mondo occidentale, ci piaccia o no, lo scandalo della Casa Bianca è anche il nostro scandalo. Quanto è accaduto negli ultimi mesi, quanto è avvenuto ieri sera è preoccupante per il cittadino di New York come per quello di Torino o di Napoli, soprattutto mentre una guerra è in corso a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste. Ieri, con la decisione di sbarazzarsi degli inquisitori che pretendevano piena luce sullo scandalo, Nixon sembra aver dato una prova indiretta della sua colpevolezza. Vediamo perchè. Al centro della battaglia sono 9 nastri magnetici con la registrazione dei colloqui che il Presidente ebbe con alcuni collaboratori (come Jchn Dean, reo confesso di avere ostacolato le indagini) sul caso Watergate. Da essi, nessuno ha dubbi, dovrebbe emergere la prova definitiva sul ruolo di Nixcn nell'affare. Due tribunali, di prima istanza e d'appello, hanno intimato al Presidente di consegnare queste bobine (incisa r'ii magnetofoni automatici che registravano tutte le conversazioni che si svolgevano alla Casa Bianca) alla commissione senatoriale di - inchiesta e allo «speciale inquisitore» Cox che conduceva un'indagine sul caso per conto del ministero della Giustizia. A Nixon, dopo le due sentenze, restava apparentemente una sola alternativa: il ricorso alla Corte suprema, sapendo che, in caso di una nuova decisione sfavorevole egli non avrebbe più potuto opporsi, pena la quasi certa destituzione. Le bobine E il Presidente ha aggirato l'ostacolo della suprema magistratura: ieri l'altro, ha raggiunto un compromesso con il presidente della commissione del Senato, Ervin, secondo il quale egli consegnerà un riassunto del contenuto dei nastri (10 ore e 1 minuto di registrazione in tutto) per iscritto. Un senatore democratico, Stennis, dovrà ascoltare le bobine e provare che il riassunto è fedele. Ervin ha accettato e Nixon ha ordinato a Cox (che non è un magistrato, ma un giurista di Harvard \ specialmente incaricato di questa inchiesta) di interrompere la sua «caccia ai nastri ». Ma ieri, Cox ha detto, in una conferenza stampa, che non avrebbe lasciato perdere proprio nulla, che la decisione di Nixon era un'offesa alle Corti, di cui aveva ignorato le sentenze, e un insulto alla giustizia. «Continuerò, in piena libertà, le mie indagini — ha detto Cox — perché a queste condizioni accettai l'incarico offertomi dal ministero della Giustizia». Quattro ore dopo era licenziato. Ma il suo allontanamento non è stato facile: il ministro della Giustizia Richardson ha rifiutato di firmare il licenziamento e ha dato le dimissioni, accusando Nixon di aver violato gli impegni. Il vice ministro (Rukelshaus) al quale, per logico ordine gerarchico, la Casa Bianca ha chiesto di prendere il posto del ministro Richardson e di firmare insieme la «condanna» di Cox si è a sua volta rifiutato. Finalmente, il numero tre del ministero, Robert Bork, ha ceduto alle pressioni della Casa Bianca, dalla quale dipende sia il «Department of Justice», sia Cox. Bork è ora il nuovo ministro della Giustizia e il licenziamento di Cox porta la sua firma. Pronto a tutto Giunti a questo punto, è chiaro che Nixon è pronto a tutto pur di impedire che i nastri vengano alla luce nella loro interezza. Il compromesso che ha provocato, con la sua intollerabile ambiguità, la rivoluzione governativa di ieri sera, non rappresenta nulla: infatti, il senatore Stennis, che dovrebbe essere il garante dell'onestà del riassunto, è un vecchio signore ultra settantenne, appena rimesso da una grave ferita provocata dall'assalto di due rapinatori, descritto come «onesto, ma troppo ossequiente all'autorità». /72 parole chiare: un vecchio infermo dovrebbe ascoltare dieci ore ininterrotte di registrazioni, senza aver alcuna esperienza di legge e del caso in particolare e stabilire se un riassunto di poche pagine che gli verrà poi presentato risponde al contenuto dei nastri. Un riassunto, si noti, non una trascrizione stenografica (come il senatore Ervin credeva di aver capito). Che cosa potrebbe provare? Quale tribunale libero accetterebbe una simile prova? Si potrebbe mai condannare un Presidente sulla base di un breve riassunto di dieci ore di registrazione? La risposta è evidentemente no, e su questo conta Nixon. Ma, senza fare previsioni, abbiamo l'impressione che quest'ultimo trucco presidenziale non funzionerà. E la marea di indignazione che sta montando rischia di travolgere anche il nuovo vice presidente Gerald Ford, designato da Nixon ma ancora in attesa di approvazione parlamentare. Se il Presidente fosse destituito, egli sarebbe il successore ed ora il Parlamento vorrà soppesare bene il prescelto di Nixon. Quando si scatena la sete di vendetta e di giustizia in questo Paese è difficile dire dove si fermerà. Vittorio Zucconi \ Washington. Il ministro della Giustizia Richardson, l'inquisitore Cox e il vice ministro della Giustizia Rukelshaus