Tel Aviv: dopo l'offensiva condizioni per il negoziato di Andrea Barbato

Tel Aviv: dopo l'offensiva condizioni per il negoziato Due colonne corazzate puntano verso II Cairo e Damasco Tel Aviv: dopo l'offensiva condizioni per il negoziato lì* difficile tracciare ora sulla carta un'eventuale linea del "cessate il fuoco" - Israele insiste su una trattativa globale con queste basi: il riconoscimento dello Stato e l'assoluto rispetto dei confini stabiliti (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv. 21 ottobre. Con le truppe israeliane a 85 chilometri dal Cairo e a poco meno di 30 da Damasco (sia pure con due punte di lancia incuneate nello schieramento nemico ed esposte perciò e contrattacchi sui fianchi), ci si chiede qui a Israele quale possa essere il prezzo della pace, e quali debbano essere le condizioni sul campo di battaglia affinché si possa parlare di vittoria, «premessa indispensabile», ripetono tutti, a ogni eventuale tregua. L'aggiramento delle linee egiziane nel Sinai, dove «per la prima volta le truppe di terra aprono la strada all'aviazione distruggendo i missili», come ha detto il portavoce militare Herzog, rende più complessa l'operazione di tracciare sulla carta geografica una eventuale linea di cessate il fuoco. La puntata in avanti permette oggi a Israele di pretendere che, se le armi dovessero tacere, gli egiziani si ritirino al di là del Canale; mentre al Nord la «concessione» minima è quella di tornare alla linea precedente all'attacco del giorno del Kippur, e cioè con le alture di Golan completamente sotto controllo israeliano. Ma con un'imponente armata egiziana ancora al di qua del Canale, il Cairo — ci si chiede qui — accetterebbe questa soluzione? «Israele non vuole arrivare al tavolo dei negoziati con una carta geografica già disegnata», ha detto stamane uno dei funzionari che il ministe- j ro degli Esteri di Gerusalem- ! me ha distaccato a Tel Aviv presso le autorità militari. E' un motivo che viene ripetuto spesso: la pace non è questione di chilometri quadrati, ma di una trattativa più generale. E cosi, si attraversa forse ora la fase più angosciosa della guerra, quella in cui i com¬ battimenti più sanguinosi so no accompagnati dalla consa pevolezza che forse la sorte della battaglia si discute mol-to lontano da qui, a Mosca. Intorno al possibile esito del-la missione Kissinger, si addensano scetticismo e silenzio, e pochi qui sembrano inclini a credere che la tregua possa essere imposta. L'idea di Dayan d'un cessate il fuoco sulle posizioni raggiunte militarmente è giudicata difficilmente accettabile da parte araba, con quelle due colonne puntate come spade alla gola delle due capitali egiziana e siriana. I giornali scrivono che «più si chiarisce la situa- zìone militare, più le condì- zioni diplomatiche e politiche si fanno oscure», ^'escalation in territorio egiziano rende più amaro il boccone per Sadat e più difficile per i soviei tici negoziare una pace non sfavorevole agli arabi. La debolezza sovietica al tavolo dei colloqui di Mosca, la persistente illusione egiziana di una vittoria campale e territoriale, la fiducia nella lealtà di Kissinger verso Israele, sono i temi comuni a tutti i commenti politici e giornalistici di oggi. Da qui, il mistero delle intenzioni sovietiche sembra più che mai impenetrabile. Non si dubita che essi fossero preparati ad aiutare l'attacco arabo, e si è calcolato che le navi da trasporto sovietiche dovevano essere già cariche e sotto pressione per essere giunte cosi rapidamente nei porti arabi. Ma qual era l'interesse di Mosca, si chiedono i commentatori? E ci si spinge a pensare che ru¬ i nione Sovietica voiesse sag giare le reazioni americane, I . in caso di una futura spinta russa nel Golfo Persico, nella probabile battaglia per il petrolio o per le basi nell'Oceano Indiano. Sono ipotesi, che servono però ad almanaccare sulle possibili proposte sovietiche ai colloqui di Mosca. Forte della sua migliorata posizione militare, dopo i giorni del grande timore, Israele sente ora di poter dettare condizioni, mentre l'area della sua espansione sulla sponda africana del Canale si approfondisce e si allarga. «Non c'è nessun dubbio che non riconosca l'importanza delle frontiere profonde conquistate nel '67», ripetono tutti. Si torna a dire dunque che l'estensione dei territori occupati è l'equivalente della sicurezza, un tema che sembrava destinato a sparire. Ma si aggiunge anche che le frontiere non sono «un dogma geografico», e che possono essere consolidate solo dalla qualità dei rapporti con i Paesi vicini. In altre parole, si insiste sulla necessità di un negoziato totale, che abbia naturalmente come base il riconoscimento dello Stato di Israele, e la garanzia del rispetto dei confini che verranno stabiliti. Gli israeliani vogliono cogliere l'occasione di questa guerra per raggiungere quei risultati politici che lo stato di «non pace e non guerra» aveva finora resi impossibili. E ci si chiede fino a eguali proporzioni debba giungere una eventuale vittoria militare per non umiliare il nemico, costringerlo in angolo, rendergli impossibile la trattativa. Tutto questo presume che la pace non arrivi in volo da Mosca, ma venga patteggiata, in ogni minimo particolare, con il governo israeliano. Israele vuole arrivare alla pace «senza pagare un prezzo non realistico», e i limiti delle «concessioni» promesse da Abba Eban non sono noti. Ogni giorno si mette l'accento sul fatto che qui si combatte in una zona del mondo dalle dimensioni geografiche modeste, dove armi potentissime sono concentrate su territori ristretti, la stanchezza avanza, i magazzini si vuotano in fretta. Ma si teme che «il fatalismo arabo sia più forte della ragione», e intanto si lamenta la perdita quotidiana di vite umane. Si aspetta la prima mossa da parte araba, ma si è quasi convinti che non vera. La relativa disponibilità dimostrata ieri da Dayan a un cessate il fuoco, è giudicata non solo come una notevole e imprevista apertura, ma anche come la prova che lo scontro interno sulle responsabilità della «sorpre- sa» iniziale è per ora rinviato. «Del resto — ci ha detto ancora il medesimo funzionario degli Esteri — sinché dura la guerra sarebbe difficile veder volare una colomba nel cielo di Israele. E poi tutti i generali che guidano oggi la strategia e le battaglie sono politici in uniforme, che domani, a guerra finita, dovranno tornare a discutere fra loro in Parlamento». Andrea Barbato Il Cairo. Un uomo rana israeliano ucciso durante una missione a Port Said. La foto è stata rilasciata dagli egiziani Tel Aviv: dopo l'offensiva condizioni per il negoziato Due colonne corazzate puntano verso II Cairo e Damasco Tel Aviv: dopo l'offensiva condizioni per il negoziato lì* difficile tracciare ora sulla carta un'eventuale linea del "cessate il fuoco" - Israele insiste su una trattativa globale con queste basi: il riconoscimento dello Stato e l'assoluto rispetto dei confini stabiliti (Dal nostro inviato speciale) Tel Aviv. 21 ottobre. Con le truppe israeliane a 85 chilometri dal Cairo e a poco meno di 30 da Damasco (sia pure con due punte di lancia incuneate nello schieramento nemico ed esposte perciò e contrattacchi sui fianchi), ci si chiede qui a Israele quale possa essere il prezzo della pace, e quali debbano essere le condizioni sul campo di battaglia affinché si possa parlare di vittoria, «premessa indispensabile», ripetono tutti, a ogni eventuale tregua. L'aggiramento delle linee egiziane nel Sinai, dove «per la prima volta le truppe di terra aprono la strada all'aviazione distruggendo i missili», come ha detto il portavoce militare Herzog, rende più complessa l'operazione di tracciare sulla carta geografica una eventuale linea di cessate il fuoco. La puntata in avanti permette oggi a Israele di pretendere che, se le armi dovessero tacere, gli egiziani si ritirino al di là del Canale; mentre al Nord la «concessione» minima è quella di tornare alla linea precedente all'attacco del giorno del Kippur, e cioè con le alture di Golan completamente sotto controllo israeliano. Ma con un'imponente armata egiziana ancora al di qua del Canale, il Cairo — ci si chiede qui — accetterebbe questa soluzione? «Israele non vuole arrivare al tavolo dei negoziati con una carta geografica già disegnata», ha detto stamane uno dei funzionari che il ministe- j ro degli Esteri di Gerusalem- ! me ha distaccato a Tel Aviv presso le autorità militari. E' un motivo che viene ripetuto spesso: la pace non è questione di chilometri quadrati, ma di una trattativa più generale. E cosi, si attraversa forse ora la fase più angosciosa della guerra, quella in cui i com¬ battimenti più sanguinosi so no accompagnati dalla consa pevolezza che forse la sorte della battaglia si discute mol-to lontano da qui, a Mosca. Intorno al possibile esito del-la missione Kissinger, si addensano scetticismo e silenzio, e pochi qui sembrano inclini a credere che la tregua possa essere imposta. L'idea di Dayan d'un cessate il fuoco sulle posizioni raggiunte militarmente è giudicata difficilmente accettabile da parte araba, con quelle due colonne puntate come spade alla gola delle due capitali egiziana e siriana. I giornali scrivono che «più si chiarisce la situa- zìone militare, più le condì- zioni diplomatiche e politiche si fanno oscure», ^'escalation in territorio egiziano rende più amaro il boccone per Sadat e più difficile per i soviei tici negoziare una pace non sfavorevole agli arabi. La debolezza sovietica al tavolo dei colloqui di Mosca, la persistente illusione egiziana di una vittoria campale e territoriale, la fiducia nella lealtà di Kissinger verso Israele, sono i temi comuni a tutti i commenti politici e giornalistici di oggi. Da qui, il mistero delle intenzioni sovietiche sembra più che mai impenetrabile. Non si dubita che essi fossero preparati ad aiutare l'attacco arabo, e si è calcolato che le navi da trasporto sovietiche dovevano essere già cariche e sotto pressione per essere giunte cosi rapidamente nei porti arabi. Ma qual era l'interesse di Mosca, si chiedono i commentatori? E ci si spinge a pensare che ru¬ i nione Sovietica voiesse sag giare le reazioni americane, I . in caso di una futura spinta russa nel Golfo Persico, nella probabile battaglia per il petrolio o per le basi nell'Oceano Indiano. Sono ipotesi, che servono però ad almanaccare sulle possibili proposte sovietiche ai colloqui di Mosca. Forte della sua migliorata posizione militare, dopo i giorni del grande timore, Israele sente ora di poter dettare condizioni, mentre l'area della sua espansione sulla sponda africana del Canale si approfondisce e si allarga. «Non c'è nessun dubbio che non riconosca l'importanza delle frontiere profonde conquistate nel '67», ripetono tutti. Si torna a dire dunque che l'estensione dei territori occupati è l'equivalente della sicurezza, un tema che sembrava destinato a sparire. Ma si aggiunge anche che le frontiere non sono «un dogma geografico», e che possono essere consolidate solo dalla qualità dei rapporti con i Paesi vicini. In altre parole, si insiste sulla necessità di un negoziato totale, che abbia naturalmente come base il riconoscimento dello Stato di Israele, e la garanzia del rispetto dei confini che verranno stabiliti. Gli israeliani vogliono cogliere l'occasione di questa guerra per raggiungere quei risultati politici che lo stato di «non pace e non guerra» aveva finora resi impossibili. E ci si chiede fino a eguali proporzioni debba giungere una eventuale vittoria militare per non umiliare il nemico, costringerlo in angolo, rendergli impossibile la trattativa. Tutto questo presume che la pace non arrivi in volo da Mosca, ma venga patteggiata, in ogni minimo particolare, con il governo israeliano. Israele vuole arrivare alla pace «senza pagare un prezzo non realistico», e i limiti delle «concessioni» promesse da Abba Eban non sono noti. Ogni giorno si mette l'accento sul fatto che qui si combatte in una zona del mondo dalle dimensioni geografiche modeste, dove armi potentissime sono concentrate su territori ristretti, la stanchezza avanza, i magazzini si vuotano in fretta. Ma si teme che «il fatalismo arabo sia più forte della ragione», e intanto si lamenta la perdita quotidiana di vite umane. Si aspetta la prima mossa da parte araba, ma si è quasi convinti che non vera. La relativa disponibilità dimostrata ieri da Dayan a un cessate il fuoco, è giudicata non solo come una notevole e imprevista apertura, ma anche come la prova che lo scontro interno sulle responsabilità della «sorpre- sa» iniziale è per ora rinviato. «Del resto — ci ha detto ancora il medesimo funzionario degli Esteri — sinché dura la guerra sarebbe difficile veder volare una colomba nel cielo di Israele. E poi tutti i generali che guidano oggi la strategia e le battaglie sono politici in uniforme, che domani, a guerra finita, dovranno tornare a discutere fra loro in Parlamento». Andrea Barbato Il Cairo. Un uomo rana israeliano ucciso durante una missione a Port Said. La foto è stata rilasciata dagli egiziani

Persone citate: Abba Eban, Dayan, Golan, Herzog, Kissinger, Sadat