Tre giornate di dibattito a Rimini sui problemi dell'editoria italiana
Tre giornate di dibattito a Rimini sui problemi dell'editoria italiana Organizzate dal Centro internazionale "Pio Manzù,, Vi partecipano personalità di governo, dell'Orni, dell'Inesco, della cultura e oltre quaranta Case editrici - L'intervento del ministro Preti - Discusse le relazioni (Dal nostro corrispondente) Rimini, 16 settembre. Può la cultura diventare industria? E in quale misura può diventarlo senza tradire la carica provocatoria che porta in sé? Perché i libri in Italia si vendono così poco e costano tanto? Perché lo Stato sovvenziona cinema e teatro e non sovvenziona l'editoria? Sono più utili, per l'educazione culturale del popolo, gli editori industriali come Emilio Treves o gli editori « puri » come Anita Pittoni? Perché gli editori stampano libri letterari pur rimettendoci? E' vero che l'editore è l'unico industriale che non sa fare pubblicità ai suoi prodotti? Questi e altri interrogativi del genere sono il fulcro del dibattito alle tre giornate di studio sul mondo editoriale ch3 il Centro internazionale di ricerche sulle strutture ambientali « Pio Manzù » ha organizzato a Rimini, con la partecipazione di oltre quaranta Case editrici e di personalità di governo (tra cui il sottosegretario alla Pubblica Istruzione, on. Giuseppe Bemporad), dell'Orni, dell'Unesco. Il ministro Preti, presidente del Centro e della manifestazione, ha rivendicato l'importanza decisiva degli editori nella diffusione della cultura. « Il libro è un bene di consumo come gli altri, anche se è un consumo di livello superiore. Occorrono imprenditori che stampino libri, così come vi sono industriali che fabbricano tessuti e gioielli. La concezione dello Stato-editore rivela una ma¬ trice totalitaria ». Concludendo, il ministro ha dichiarato: « Vogliamo un'Italia più informata, più colta, più civile. Per fare questo il libro è lo strumento indispensabile ». Nel pomeriggio, prima dell'esposizione delle relazioni di base, il convegno ha avuto un vivace sussulto politico e s'è diviso su due mozioni di solidarietà per il popolo cileno e per i dissidenti sovietici. Entrambe le mozioni hanno raccolto numerose firme. Poi i lavori sono proseguiti con le due relazioni, svolte dai giornalisti Eraldo Miscia e Franco Vegliarli. Miscia ha trattato della «cultura tra parola scritta e immagine», Vegliani degli aspetti strutturali, economici e della, possibilità di sviluppo dell'editoria in Italia. Su en- trambi gli argomenti saranno tenute lunedì delle «tavole rotonde», dirette la prima da Sergio Zavoli (vi partecipano tra gli altri gli scrittori Carlo Bernari, Antonio Bevilacqua, Ettore Della Giovanna e Leone Piccioni), la seconda da Silvio Ceccato, con la partecipazione di economisti, giuristi, editori e librai. Miscia ha poi rimproverato agli editori e alla «deficitaria e caotica» organizzazione distributiva l'alto costo dei libri italiani, l'azione negativa del libro-merce-di-lusso, la nessuna preoccupazione di creare un vivaio di romanzieri, e ha concluso con una proposta: l'industria cinematografica e quella teatrale godono di un trattamento di favore da parte dello Stato, che le aiuta con i suoi contributi per motivi di «valore artistico». Perché da tale trattamento è esclusa proprio l'industria editoriale su cui poggia in massima parte la diffusione del libro Vegliani ha sottolineato la necessità che l'industria editoriale, come l'industria agricola, debba essere una «azienda efficiente», con una certa dimensione aziendale, al disotto della quale non c'è sopravvivenza. «Con sette mucche non si fa profitto — egli ha detto —, non lo si fa neppure con sette titoli in un'annata libraria. Non lo si fa neppure se mancano gl'investimenti. Il piccolo proprietario coltivatore diretto è condannato anche nell'editoria». Vegliani ha poi messo a confronto due tipi di editori, Emilio Treves, che instaurò nell'editoria ottocentesca criteri industriali analoghi a quelli instaurati in altri campi da Giovan Battista Pirelli, Camillo Olivetti, Guido Donegani e Giovanni Agnelli, e la triestina Anita Pittoni, con le sue edizioni dello «Zibaldone». «La Pittoni è un'editrice pura e la sua è un'editorìa eroica, di altissimo livello. Ma è appunto un personaggio eroico, fuori da qualunque discorso sull'editoria industriale. Non guadagna, non può investire. Siamo nel termini della sopravvivenza e non di rado anche al disotto». E' venuta poi sul tappeto la questione della difficoltà di distribuzione dei libri con la lotta tra editori e librai: gli uni vorrebbero dare agli altri i libri in conto assoluto (il libraio dovrebbe cioè acquistarli senza poter più restituire l'invenduto), gli altri vorrebbero limitarsi a tenerli in deposito. E gli uni imputano agli altri il difetto o la carenza dell'azione promozionale. «Se io vendessi detersivi mi troverei di fronte ad una clientela che ha già avuto le sue informazioni dalla pubblicità — dicono i librai — invece l'editore è un industriale che non fa la pubblicità o, peggio, la fa solo tra gli addetti ai lavori, con la sola spesa di un omaggio per recensione. E così il libro non esce dal circolo chiuso». Edda Montemaggi Tre giornate di dibattito a Rimini sui problemi dell'editoria italiana Tre giornate di dibattito a Rimini sui problemi dell'editoria italiana Organizzate dal Centro internazionale "Pio Manzù,, Vi partecipano personalità di governo, dell'Orni, dell'Inesco, della cultura e oltre quaranta Case editrici - L'intervento del ministro Preti - Discusse le relazioni (Dal nostro corrispondente) Rimini, 16 settembre. Può la cultura diventare industria? E in quale misura può diventarlo senza tradire la carica provocatoria che porta in sé? Perché i libri in Italia si vendono così poco e costano tanto? Perché lo Stato sovvenziona cinema e teatro e non sovvenziona l'editoria? Sono più utili, per l'educazione culturale del popolo, gli editori industriali come Emilio Treves o gli editori « puri » come Anita Pittoni? Perché gli editori stampano libri letterari pur rimettendoci? E' vero che l'editore è l'unico industriale che non sa fare pubblicità ai suoi prodotti? Questi e altri interrogativi del genere sono il fulcro del dibattito alle tre giornate di studio sul mondo editoriale ch3 il Centro internazionale di ricerche sulle strutture ambientali « Pio Manzù » ha organizzato a Rimini, con la partecipazione di oltre quaranta Case editrici e di personalità di governo (tra cui il sottosegretario alla Pubblica Istruzione, on. Giuseppe Bemporad), dell'Orni, dell'Unesco. Il ministro Preti, presidente del Centro e della manifestazione, ha rivendicato l'importanza decisiva degli editori nella diffusione della cultura. « Il libro è un bene di consumo come gli altri, anche se è un consumo di livello superiore. Occorrono imprenditori che stampino libri, così come vi sono industriali che fabbricano tessuti e gioielli. La concezione dello Stato-editore rivela una ma¬ trice totalitaria ». Concludendo, il ministro ha dichiarato: « Vogliamo un'Italia più informata, più colta, più civile. Per fare questo il libro è lo strumento indispensabile ». Nel pomeriggio, prima dell'esposizione delle relazioni di base, il convegno ha avuto un vivace sussulto politico e s'è diviso su due mozioni di solidarietà per il popolo cileno e per i dissidenti sovietici. Entrambe le mozioni hanno raccolto numerose firme. Poi i lavori sono proseguiti con le due relazioni, svolte dai giornalisti Eraldo Miscia e Franco Vegliarli. Miscia ha trattato della «cultura tra parola scritta e immagine», Vegliani degli aspetti strutturali, economici e della, possibilità di sviluppo dell'editoria in Italia. Su en- trambi gli argomenti saranno tenute lunedì delle «tavole rotonde», dirette la prima da Sergio Zavoli (vi partecipano tra gli altri gli scrittori Carlo Bernari, Antonio Bevilacqua, Ettore Della Giovanna e Leone Piccioni), la seconda da Silvio Ceccato, con la partecipazione di economisti, giuristi, editori e librai. Miscia ha poi rimproverato agli editori e alla «deficitaria e caotica» organizzazione distributiva l'alto costo dei libri italiani, l'azione negativa del libro-merce-di-lusso, la nessuna preoccupazione di creare un vivaio di romanzieri, e ha concluso con una proposta: l'industria cinematografica e quella teatrale godono di un trattamento di favore da parte dello Stato, che le aiuta con i suoi contributi per motivi di «valore artistico». Perché da tale trattamento è esclusa proprio l'industria editoriale su cui poggia in massima parte la diffusione del libro Vegliani ha sottolineato la necessità che l'industria editoriale, come l'industria agricola, debba essere una «azienda efficiente», con una certa dimensione aziendale, al disotto della quale non c'è sopravvivenza. «Con sette mucche non si fa profitto — egli ha detto —, non lo si fa neppure con sette titoli in un'annata libraria. Non lo si fa neppure se mancano gl'investimenti. Il piccolo proprietario coltivatore diretto è condannato anche nell'editoria». Vegliani ha poi messo a confronto due tipi di editori, Emilio Treves, che instaurò nell'editoria ottocentesca criteri industriali analoghi a quelli instaurati in altri campi da Giovan Battista Pirelli, Camillo Olivetti, Guido Donegani e Giovanni Agnelli, e la triestina Anita Pittoni, con le sue edizioni dello «Zibaldone». «La Pittoni è un'editrice pura e la sua è un'editorìa eroica, di altissimo livello. Ma è appunto un personaggio eroico, fuori da qualunque discorso sull'editoria industriale. Non guadagna, non può investire. Siamo nel termini della sopravvivenza e non di rado anche al disotto». E' venuta poi sul tappeto la questione della difficoltà di distribuzione dei libri con la lotta tra editori e librai: gli uni vorrebbero dare agli altri i libri in conto assoluto (il libraio dovrebbe cioè acquistarli senza poter più restituire l'invenduto), gli altri vorrebbero limitarsi a tenerli in deposito. E gli uni imputano agli altri il difetto o la carenza dell'azione promozionale. «Se io vendessi detersivi mi troverei di fronte ad una clientela che ha già avuto le sue informazioni dalla pubblicità — dicono i librai — invece l'editore è un industriale che non fa la pubblicità o, peggio, la fa solo tra gli addetti ai lavori, con la sola spesa di un omaggio per recensione. E così il libro non esce dal circolo chiuso». Edda Montemaggi Tre giornate di dibattito a Rimini sui problemi dell'editoria italiana
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