A Bologna si imita il modello svedese

A Bologna si imita il modello svedese Problemi della casa, dell'assistenza nella città rossa A Bologna si imita il modello svedese Dopo gli anni di grande parsimonia di Dozza e gli ambiziosi programmi urbanistici di Fanti, ora il terzo sindaco del dopoguerra, Zangheri, persegue gli obiettivi tipici della socialdemocrazia svedese - Priorità alla scuola e alle abitazioni per gli anziani (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 29 ottobre. Il modello svedese ha conquistato Bologna. Passati gli anni dell'immigrazione più massiccia, delle grandi colate di cemento sui prati della periferia, la città s'è guardata attorno cercando idee per il suo futuro sviluppo. E ha scelto, al di là delle etichette politiche locali, gran parte dei contenuti pratici della socialdemocrazia scandinava, raggiungendone più d'una volta gli stessi risultati. E' storia abbastanza recente. Dopo gli anni di grande parsimonia di Giuseppe Dozza son venuti gli ambiziosi programmi urbanistici di Fanti, ora alla guida della Regione. Renato Zangheri, 48 anni, studioso di storia economica, terzo sindaco del dopoguerra, s'è assunto l'incarico di dare alla città i servizi e le strutture assistenziali in grado di ridurre le tensioni causate dal rapido sviluppo economico. Una priorità assoluta il Comune l'ha riservata alla scuola: il 26 per cento del bilancio è dedicato a questo settore, per una spesa di 17 miliardi (la media nazionale è attorno al 10 per cento), e degli oltre 6 mila dipendenti comunali la metà è impegnata nel campo dell'istruzione. «L'interesse, spiega il sindaco Zangheri, nasce dal fatto che i problemi scolastici sono realmente emergenti rispetto agli altri ». Quest'anno sono state costruite 38 nuove scuole, con un aumento dei posti disponibili del 15 per cento in media (per gli asili il doppio). Un bimbo bolognese su quattro frequenta oggi la scuola materna comunale e l'obiettivo è raggiungere il 90 per cento (di fatto la quasi totalità della richiesta) entro 2-3 anni. Si tirano su scuole dappertutto: nelle ex case coloniche che la città ha ingoiato dalla campagna, restaurate e riadattate, nei vecchi mulini abbandonati, nelle «balere» in disarmo, addirittura in una fabbrica vuota. Nella politica assistenziale degli amministratori bolognesi un occhio di riguardo va agli anziani. «Stiamo per abbandonare, dice ancora Zangheri, l'istituzione tradizionale del "ricovero", anche se aggiornato e più moderno. La società tende ad emarginare l'anziano, lo isola negli ospizi. Noi vogliamo assegnare agli anziani piccoli appartamenti, nella stessa zona dove sono sempre vissuti. Li assisteremo a casa loro, con visite mediche specializzate; ci sarà del personale incaricato dì sbrigare i lavori pesanti nelle abitazioni ed eventualmente preparare i pasti. Già ora tutti gli alloggi di proprietà comunale che via via si liberano dagli inquilini vengono assegnati ad anziani soli. L'estate scorsa, abbiamo ospitato in case-albergo nelle località di villeggiatura gruppi di anziani insieme con gruppi di giovani madri coi loro bambini. Un'esperienza ottima, che sarà ripetuta». E' in questa costante ricerca d'una «sicurezza sociale» che sta, secondo Zangheri, l'analogia della politica bolognese col modello scandinavo. «C'è, però, una differenza sostanziale, precisa, ed è la partecipazione diretta della gente, degli amministrati alle scelte degli amministratori. Ci sono diciotto quartieri che non svolgono solo, più rapidamente, le pratiche che prima erano accentrate in pochi uffici. Hanno un margine di potere autonomo, funzioni decisionali nell'ambito della fetta di città che rappresentano». Efficiente e dinamica — molto più della media nazionale — per ciò che riguarda le strutture assistenziali e scolastiche, la politica bolognese è in crisi su alcuni grandi problemi che travagliano la vita delle metropoli. Accanto ai molti guai del benessere (la città è soffocata dalla morsa del traffico che non riesce a imbrigliare) ci sono quelli di un malessere che ancora non ha conosciuto momenti di sollievo: il centro storico in più punti cade a pezzi e taluni rioni-ghetto hanno inverosimili indici d'affollamento. Certo qui mancano le esasperazioni delle grandi città del Nord, non ci sono i quartieri di latta e cartone della desolante periferia romana. I contrasti sono smussai' da una sorta di pudore, un civilissimo riserbo che impedisce l'ostentazione di pur intollerabili forme di miseria. Eppure ogni tanto le cronache registrano incredibili vicende: neonati aggrediti nelle loro culle dai topi; case fatiscenti, dove piove dentro, con cinque-sette persone pigiate nei poci metri disponibili. Sono vere e proprie isole di miseria che interessano sei-settemila persone in tutto, poco più di un bolognese su cento. Dopo la nota crociata per il risanamento del malandato centro storico (già iniziati i lractrnp lavori per le case che ospiteranno, per qualche tempo, gli abitanti delle prime zone da restaurare) a Palazzo D'Accursio hanno ora messo in cantiere un intervento di portata più limitata, ma di maggiore incisività sociale che sarà portato in consiglio comunale a giorni: «Stiamo per radere al suolo, dice Pierluigi Cervellata il giovane assessore all'edilizia, tutti i ghetti di povertà, al centro e in tre quartieri della periferia: Lame (le «Borre»), Borgo Panigale (via Del Beccaccino) e San Donato (via Piana). Al posto delle abitazioni abbattute costruiremo case nuove, di proprietà comunale, che saranno assegnate agli abitanti degli stessi edifici demoliti. Saranno distrutte anche quelle case di privati che da tempo non sono in regola coi permessi d'abitabilità, nelle zone interessate. I finanziamenti iniziali saranno pubblici (Istituto case popolari, cenirali cooperative, comune), poi l'amministrazione municipale rileverà le abitazioni nuove. La spesa? Dieci miliardi, per costruire un migliaio d'alloggi: quanto basta per risolvere radicalmente il problema». Delle 630 mila stanze esistenti a Bologna (indice d'affollamento 0,80, media nazionale 0,96) quelle da risanare sono poco più di ventisettemila. «Il fatto è, spiega Cervellata che coi piani di edilizia popolare abbiamo accontentato tutta una fascia me¬ dia di persone che già avevano una casa decente e volevano migliorarla. Ma chi viveva in un tuguriu c'è rimasto». Discorso quasi drammatico per il traffico. A un anno dal varo di un piano di « terrorismo psicologico» per indurre i bolognesi a servirsi del mezzo pubblico, lasciando in garage l'auto per gli spostamenti in città, gli amministratori cominciano ora a parlare, a mezza voce, di completo fallimento dell'operazione. E a ben poco pare sia servito l'autobus gratis in alcune ore del giorno. «Gli autobus, dice Mauro Formaglini, assessore al traffico, socialista, marciano con gli stessi orari di prima, anche se ora le corsie riservate consentirebbero velocità maggiori, perché gli autisti non ne vogliono sapere di intensificare il servizio ». Ora si parla, forse come extrema ratio per salvare Bologna dall'assedio dei clacson e dei gas di scappamento, di chiudere l'intero centro storico (come superficie poco meno d'un terzo di tutta la città) alle auto private in certe ore del giorno, nei momenti di punta e di maggiore affluenza pendolare. C'è chi azzarda anche una data: l'inizio del nuovo anno. «Non dico che non si possa arrivare a questa drastica decisione, dice Formaglini, ma è necessario aver prima potenziato i mezzi pubblici, istituito parcheggi sulla vecchia circonvallazione; bisogna sentire cosa ne pensano i sindacati, ì commercianti. Se non si passa attraverso questo "filtro", se si vogliono affrettare i tempi per mettere in crisi anche decisioni precedenti in materia di traffico, la componente socialista che governa Bologna fa i bagagli. Lascia la giunta comunale». Giorgio Battistinì li sindaco Zangheri

Luoghi citati: Bologna, Borgo Panigale, Dozza