Il Bolshoi fa spettacolo di Massimo Mila

Il Bolshoi fa spettacolo "Russlan e Ludmilla,, di Glinka alla Scala Il Bolshoi fa spettacolo L'opera, ispirata a un poema di Puskin, presentata in un allestimento pieno di ritmo e di fantasia, quasi disneyano - Successo dell'esecuzione, con tanti applausi - L'ottavo Concerto di Petrassi diretto da Sanzogno e il Paganini recentemente riscoperto (Dal nostro inviato speciale) Milano, 25 ottobre. Ci lamentiamo a Torino per la coincidenza di manifestazioni musicali, che spesso obbliga il pubblico e il giornalista a scelte crudeli, ma anche a Milano non scherzano. A Milano è una stessa istituzione, la Scala, che si fa l'autoconcorrenza, dando inizio all'attesissima stagione lirica del Bolshoi di Mosca nella stessa sera prevista per un concerto della stagione sinfonica, spostato nella capace sala del Conservatorio. E' inteso perciò che daremo notizia soltanto attraverso la prova generale del concerto diretto da Nino Sanzogno (applauditissimo dopo la Sinfonia del nuovo mondo di Dvorak), nel quale è stato possibile sentire l'ottavo di quei Concerti per orchestra di Petrassi, che costituiscono uno dei monumenti della musica moderna. Era stato eseguito per la prima volta in America l'anno scorso, poi a Londra e a Roma. Timbri e note E' un Concerto in tre tempi, con la consueta distribuzione del materiale più densamente lirico e teso nella parte lenta centrale: le due esterne dedite soprattutto a quell'instancabile impulso ritmico, che è rimasto sempre vivo, a gettare un ponte tra il Petrassi « romano » degli Anni Trenta e il Petrassi postseriale dei giorni nostri. Anche questo Concerto è soprattutto una continua avventura del timbro strumentale, attuata attraverso le risorse della grande orchestra. Ma Petrassi non usa quelle comode rigacce nere con cui i praticanti della nuova musica atematica sogliono oggi sistemare per un bel po' una famiglia di strumenti, componendo esclusivamente per fasce statiche di timbri. Petrassi i timbri continua a suscitarli attraverso le note: un vespaio di migliaia di notine che ti assalgono dalla partitura. Il moto è il protagonista, o piuttosto il soggetto della nuova musica di Petrassi: l'andare e il venire, e il su e giù affaccendato, il brontolio misterioso degli archi gravi che si lanciano in staffilate verso uno squillo di ottoni o un colpo secco della percussione, poi ricadono: il cigolio e i flautati filamentosi dei violini, il borbottio dei legni in ebolizione, l'ossatura percussiva di xilofono e xilomarimba, e di due timpani onnipresenti, posti dirimpetto, uno a destra e l'altro a sinistra dell'orchestra, a uno dei quali spetta l'ultima parola, con una maliziosa citazione dello scatto ritmico beethove niano nello scherzo della Nona sintonia quasi a indicare un'illustre ascendenza di questo modo di comporre col timbro e il movimento. Tutto un arsenale di modi di esecuzione, minuziosamente prescritti nella partitura che pullula di parole: ma invece di indicazioni espressive di tipo romantico, sono tutte prescrizioni tecniche d'ese cuzione (« in punta d'arco », « balzato », « sul ponticello », « soffiando negli strumenti », ec cetera). Unica indicazione che si potrebbe un poco avvicinare alla vecchia maniera, un « furioso », prescritto tra parentesi quadre ai violini verso la fine dell'ultimo tempo. Nella medesima sera il violi nisla Salvatore Accardo eseguì con precisa perfezione un Con certo giovanile di Paganini, di cui Pietro Berri ha scoperto recentemente a Londra la parte solistica e la «guida» degli intermezzi orchestrali. Alla strumentazione ha provveduto abilmente Federico Mompelio, un musicologo fornito — rarissima avis! — di gusto artistico. 1 Concerto, in tre tempi, annega spunti melodici mollo gu stosi nel solito diluvio di variazioni acrobatiche. Gli interpreti Teatro esaurito ed attesa piena di simpatia per il debutto del Bolshoi con Russlan e Ludmilla di Glinka, opera quanto mai adatta alla fastosa circostanza, per lo splendore dello spettacolo e la serena, non problematica vena narrativa di questo capostipite del filone fantastico nell'opera russa dell'Ottocento. Mai eseguita in Italia (qualche lettore ricorderà forse che quattro anni or sono ce la siamo andata a cercare ad Amburgo), si doveva eseguire alla Scala nel 1942, in occasione del suo centenario. Ma, spiegava pudicamente Carlo Gatti nella prefazione allo spartito italiano, pubblicato nel 1946, «circostanze avverse impedirono che la celebrazione avvenisse». Alla fantasia ariostesca spiegata da Puskin nel suo poema, pieno di maghi e di streghe, di incantesimi, di prodigi, di cava¬ lieri erranti in cerca d'una bella, la messa in scena di Amburgo aveva dato un'interpretazione per adulti, e in certo senso rinunciataria, dove il miracoloso era affidato principalmente alla fantasia dello spettatore. Invece il Bolshoi, impiegando ingegnosamente risorse teatrali semplici, ma efficaci — siparietti, velari, proiezioni, e soprattutto elementi scenici semoventi — ne tenta un'intrepida soluzione quasi disneyana, con streghe dal naso lungo, con la barba interminabile del cattivo nano Cernomor realmente sorretta da una dozzina di schiavi, gufi e civette appollaiati sopra un dondolante ramo secco, personaggi che camminano tra le nuvole sullo sfondo del cielo stellato. Al realismo magico e fiabesco della regìa di Boris Pokrovsky giovano le scene ingegnose di Iosif Sumbatschvili e soprattutto lo splendore cromatico dei costumi e l'accortissimo impiego di mimi e danzatori, non solo nei due balletti, dove furono applauditissimi Tatiana Golikova e Sciarmi Jagudin, ma mescolati quali figuranti nel movimento delle masse: movimento sempre liberissimo e naturale, non per militareschi squadroni, vestiti tutti allo stesso modo, come tanto usa fare nei nostri teatri. La natura spettacolosa di quest'opera è tale che si è portati a parlare prima di tutto della realizzazione scenica, registrando poi la buona esecuzione musicale, buona piuttosto per equilibrio complessivo di meriti collettivi, che per svettanti personalità. Il baritono Evghenij Nesterenko è un valoroso cantante, che ispira simpatia col disarmante sorriso: le signore milanesi se ne sono subito fatte un beniamino, e fu per lui dopo la grande aria eroica del secondo atto la più intensa delle bordate d'applausi con cui spesso fu interrotta l'esecuzione (e l'ottima orchestra, il compito direttore Lurij Simonov e gli artisti stessi se ne mostravano quasi impacciati) . Ludmilla è il soprano Bella (di nome e di fatto) Rudenko, la cui vocina si arrampica con agilità e sicurezza d'intonazione sulle vette di coloratura di cui è cosparsa la sua parte. Anche lei fu molto applaudita, e così il contralto Tamara Siniavskaja, buona voce grave e molto omo genea, che ornata d'un pizzetto nero alla circassa diede buona animazione al simpatico personaggio di Ratmir, uno degli spasimanti di Ludmilla, equivalente del Rinaldo ariostesco, cavaliere tanto valoroso quanto scapestrato. Assai divertente il basso Turij Mazurov nella comica parte del terzo pretendente, Farlaf, cavaliere spaccone e pauroso, equivalente ad Astolfo. I tenori, in quest'opera, sono confinati in parti relativamente marginali, quella dell'aedo nel prologo, e quella del buon mago Finn, che aiuta Russlan nel ritrovamento di Ludmilla, rapita dal malvagio Cernomor (il basso Michail Mineev) : i due tenori erano rispettivamente Verghilius Norejka e Aleksei Ma- slennikov, quest'ultimo forse il migliore artista, in assoluto, della buona compagnia. Pure applaudito a scena aperta il soprano Nina Fomina, nella parte appassionata di Gorslava, prigioniera e innamorata del dongiovannesco Ratmir. Ed applausi meritavano anche il basso Valerij Taroslavzev (re Svetozar, padre di Ludmilla) e il mezzosoprano Galina Borisova, pure lei divertente nella parte della brutta strega Naina, innamorata e persecutrice del buon Finn al quale si era ostinatamente rifiutata quando era bella. Cori e danze Situazione rovesciata rispetto a quella di Papageno e Papagena nel Flauto magico, una opera la cui presenza, insieme a quelle di Weber e di Rossini, è determinante nella bella partitura, là dove non trionfa il canto popolare, come nei cori e nelle danze: entrambi un ele¬ mento di forza dello spettacolo, quelli istruiti da Aleksandr Rybnov e Igor Agafonnikov, queste affidate al direttore del ballo Jurij Grigorovic. Non viene indicato l'autore della modesta ma aggraziata coreografia (ad Amburgo ce n'era una stupenda di Balanchine). La locandina menziona poi cinque « responsabili », dell'opera (Vladimir Ivanovskij), del ballo (Piotr Ghomutov), dell'orchestra (Piotr Schenkov), del coro (Nadezhda Kliagina), del complesso di mimi (Valentina Pescerikova). La collaborazione di questi elementi, e dei tecnici, elettricisti e macchinisti russi col direttore dell'allestimento scenico, il nostro bravo Tito Varisco, in cinque giorni di lavoro convulso per trasferire nelle attrezzature della Scala i meccanismi teatrali del Bolshoi, costituirebbe probabilmente un capitolo appassionante di storia segreta della scena lirica mondiale. Massimo Mila