"Tumulto dei Ciompi" lotta di classe nel '300

"Tumulto dei Ciompi" lotta di classe nel '300 Lo spettacolo in "prima,, assoluta a Prato "Tumulto dei Ciompi" lotta di classe nel '300 Il testo di Massimo Dursi col Gruppo della Rocca, regia di Guicciardini non lo~'realizzò, (Dal nostro inviato speciale) Prato, 24 ottobre. Pensato e scritto come spettacolo di piazza, con cori, bande musicali e sventolio di gonfaloni, su commissione del Maggio fiorentino che poi «Il tumulto dei Ciompi» di Massimo Dursi è stato adattato da Roberto Guicciardini e dal Gruppo della Roccia alle esigenze, alle caratteristiche e direi anche allo stile del gruppo stesso. Così, una vicenda storica da rievocare all'aperto, in ampi spazi e luoghi deputati, è sta- ta ristretta in una sorta di buio scantinato, nel luogo stesso cioè dove i Ciompi, gli infimi dei lavoratori della lana nella ricca Firenze del Trecento, attendono alla loro dura e oscura fatica rinserrati e anche trincerati tra grandi balle di merce. E' il momento delta sconfitta e della riflessione. Trascorsa quella che il Rodolico chiama «la breve ora dei Ciompi», soffocata nel sangue la rivolta, i vinti si leccano le ferite nella loro tana e, ripensando alle loro vicende e ai loro errori, ripercorrono le une e gli altri, anzi se li rappresentano. Le balle di lana faranno da palcoscenico, per i costumi basteranno pochi stracci. E subito alcuni sono gli altezzosi nobili di parte guelfa e il più accorto Salvestro de' Medici, che i tumulti prima favorirà, poi arginerà e infine domerà con l'aiuto dell'infido Michele di Landò. Altri impersonano i popolani esclusi dalle arti maggiori e minori che tentano faticosamente di costruire un'alleanza. Ci riusciranno, ma per poche settimane. Presto le divisioni, abilmente fomentate dalle spie e dagli agenti provocatori dei grandi e del popolo grasso, spengono sul nascere la solidarietà di classe. Non impediscono tuttavia che, forse per la prima volta nella storia del movimento operaio, albeggi nei vinti una presa di coscienza rivoluzionaria. Certo, sarebbe avventato applicare a quegli avvenimenti moduli e formule della moderna lotta politica, ma è innegabile che si possa cogliere in essi «una risonanza con alcuni problemi del nostro tempo ». Che poi queste corrispondenze e analogie non risultino talvolta evidenti dallo spettacolo o, altre volte, siano troppo vistosamente sottolineate, dipende dal lavoro che il gruppo ha compiuto sul testo originario seguendo una precisa scelta politica, magari discutibile ma non equivocabile. Ad ogni modo, là dove il Dursi illimpidiva le sue analisi a rischio di sacrificarle per eccesso di finezza e di delicatezza, l'adattamento intorbida le acque e conoscendo meglio l'arte dell'aggiungere di quella, difficilissima, del togliere, rende intricate le situazioni e confusi i problemi più di quanto sia necessario. Accade in questi casi che la rappresentazione venga per così dire ingorgata dalla smania stessa di dire e di spiegare tutto e che in questi ingorghi vadano smarrite proprio quelle battute con. le quali il Dursi riesce a conciliare l'efficacia e il progredire dell'azione con le esigenze di un moderno e duttile linguaggio drammaturgico. Lo spettacolo cerca allora di sopperire al difetto o alla sovrabbondanza della parola con un'accentuata gestualità come nel caso dell' indovinata pantomima che accompagna l'altalena del potere, e anche con una recitazione estraniata sino al grottesco da improvvise «rotture» beffarde e ringhiose. Con questo non si vuol dire che l'adattamento, al quale del resto ha concorso lo stesso autore, si discosti molto dalla stesura originaria, ma soltanto mettere in luce le difficoltà e anche i rischi di ridurre quarantacinque personaggi, per tacere delle comparse nelle scene di folla, a quelli che ragionevolmente possono interpretare tredici attori soltanto (e tutti meriterebbero di essere citati per impegno e abnegazione) sia pure scambiandosi continuamente le parti. Se si aggiungono al conto le lentezze e gli stenti d'avvio di una macchina così complessa, si capirà che molte perplessità potranno scomparire nelle repliche. Ma già sin d'ora si debbono lodare l'ingegnoso impianto scenico e gli appropriati costumi di Lorenzo Ghiglia, la colonna sonora di Benedetto Ghiglia, ancorché canzoni e cori abbiano una resa musicale incerta, e il taglio sicuro della regia di Guicciardini. A parte che lo spettacolo, cordialmente salutato al suo esordio dal pubblico del benemerito «Metastasio» di Prato, dovrebbe ricordare ai distratti e agli ignari che il settantunenne Massimo Dursi è tra i più freschi, più agili e più vivi autori del nostro teatro. Alberto Blandi

Luoghi citati: Firenze, Prato