Amora violenti scontri sui due fronti di Suez di Andrea Barbato

Amora violenti scontri sui due fronti di Suez Amora violenti scontri sui due fronti di Suez (Segue dalla 1" pagina ) ni, combatte circondato, non si sa se potrà essere rifornito o se si trasformerà in una grande sacca di prigionieri di guerra. Ma potrebbe essere davvero l'ultima operazione condotta da Israele prima della tregua definitiva. Lo stesso ministro degli Esteri, Abba Eban, ha parlato stasera con un tono già da dopoguerra, durante una conferenza stampa nella quale è stato anche annunciato che l'oscuramento è finito. Si comincia a respirare un'aria di smobilitazione, insomma, a dispetto delle notizie dal fronte Sud. Eban ha messo l'accento sulla questione dello scambio dei prigionieri (1300 arabi sono nei campi israeliani, ma la cifra dei soldati catturati dalla parte opposta non è nota), ha detto che parlare di negoziati è prematuro finché non si applica il «cessate il fuoco», e che la tregua è ancora «incompleta». Non ha voluto rivelare alcun particolare sulle possibili concessioni che Israele potrà fare al tavolo dei negoziati, ma si è detto convinto che l'Egitto, alla fine, accetterà di sedersi a trattare con Israele. «Questo mese di lutto potrebbe trasformarsi in un mese di svolta nella storia del Medio Oriente», ha detto. Due difficoltà immediate, dettate dalle condizioni campali, si presentano con particolare gravità. La prima è la clausola che impone il ritorno alle posizioni del «cessate il fuoco» di due giorni fa. Ciò vorrebbe dire un arretramento israeliano di qualche chilometro, intorno alle strade che collegano al Cairo. Ma stabilire quali fossero le zone occupate dall'una e dall'altra armata lunedì è praticamente impossibile. E' vero che la ricognizione stratosferica degli aerei russi e americani ha fotografato l'intera battaglia, ma i dati non sono certo subito utilizzabili. La seconda difficoltà è quella che riguarda la linea del «cessate il fuoco», che è così frastagliata da aprire larghi cunei nei due schieramenti. Paradossalmente, questa incertezza del fronte potrebbe rivelarsi alla lunga un beneficio: mentre un ostacolo naturale, come il Canale, poteva favorire il dissanguamento della «non pace e non guerra» e il ripetersi di incidenti, una prima linea così incerta è insostenibile, e forza la mano al negoziato, lo rende indispensabile. Il preallarme Gli osservatori dell'Onu sono i garanti disarmati di questa difficile tregua. Già da ieri, nel quartier generale dell'Onu a Gerusalemme, era giunto un preallarme, firmato dal segretario generale Waldheim. Il generale finlandese Ensio Sillasvug, che comanda la forza delle Nazioni Unite, era stato preavvisato di tenere a disposizione i novanta uomini della sua forza d'osservazione. Questi uomini occupavano, prima dello scoppio della guerra, sedici posti sulla frontiera fra Israele e la Siria, e quindi sulle due sponde del Canale di Suez. Quando gli eserciti si erano scontrati, sul Golan otto stazioni di osservazione erano andate distrutte, e noi stessi ne abbiamo viste almeno due circondate di carcasse di carri armati e di profonde buche di artiglieria. Gli altri otto posti avevano continuato a funzionare. Intorno al Canale, invece, tutti i quindici «fortini di pace» dell'Onu erano stati travolti dalla battaglia, e nel posto «Copper», vicino a Kantara, erano risultati dispersi il capitano francese Banse e il capitano italiano Olivieri, che avevano fornito le ultime notizie di sé poco più di un'ora dopo lo sbarco egiziano. I novanta uomini dell'Onu erano stati ritirati al di qua o al di là del fronte, e si erano dispersi fra Gerusalemme, Il Cairo e Damasco. Alle 4 di stamane il generale Sillasvug si faceva portavoce agli egiziani della proposta di Dayan di fermare l'orologio della guerra a tre ore dopo, cioè alle 7. Alle 5,44 veniva la risposta positiva egiziana, e poco dopo anche quella siriana. Dal quartier generale di Tel Aviv partiva allora l'ordine di cessare il fuoco, nuovamente, all'ora stabilita. Alle 6,45, il generale dell'Onu e Dayan si incontravano per decidere in che modo gli uomini delle Nazioni Unite dovevano entrare in azione, mentre intanto il generale Aharon Avnon "eniva nominato ufficiale di collegamento fra l'Onu e il comando israeliano. Dayan proponeva di mandare osservatori lungo le strade che dal Cairo portano verso Ismailia e Suez, fino ad incontrare le avanguardie israeliane, e di installare lì i nuovi posti di osservazione, fissi o mobili. Dalla capitale egiziana, gli uomini dell'Onu non dovevano fare molta strada, prima di incontrare nella pianura verdeggiante le prime pattuglie con la stella di Davide. Nello stesso momento, Israele compiva un'altra mossa significativa: nominava un generale, Abramo Orly, come amministratore della popolazione civile egiziana rimasta nel territorio africano occupato dalle truppe israeliane, a Ovest del Canale. Villaggi e piantagioni non sono stati dei tutto abbandonati, e un altro territorio di occupazione è perciò sotto controllo israeliano. Il generale Orly è già responsabile per la zona della striscia di Gaza, dove vivono quasi quattrocentomila arabi. Un'altra «zona amministrata», come viene chiamata qui con eufemismo politico, è entrata perciò da oggi nelle mappe israeliane. I due centri maggiori, Ismailia e Suez, avevano un tempo rispettivamente 144 mila e 260 mila abitanti, ma ormai erano due città fantasma, quasi del tutto evacuate, perché la loro posizione sulle sponde del Canale le aveva fatte trovare in prima linea durante gli ultimi anni. Rimangono le oasi, ma il calcolo della popolazione rimasta in quest'area è per ora molto difficile. Nel settore meridionale, dov'è intrappolata la III armata egiziana, l'Onu si trova davanti a un compito particolare, quasi una trattativa diplomatica fra le due parti, e 10 stesso portavoce militare israeliano Herzog ha detto che il problema, ora, è quello di «prendere accordi con la III armata egiziana», cioè di negoziare la sua salvezza in cambio della sua evacuazione dalla riva occupata. Stasera si sapeva, qui ad Israele, che gli osservatori erano partiti dal Cairo veròo le postazioni assegnate, che avevano raggiunto le prime linee accompagnati da ufficiali egiziani. Luci a Tel Aviv Mentre la pace si fa strada, Israele esamina dal proprio punto di vista la situazione negli Stati arabi alla vigilia di un possibile negoziato. La Giordania aveva ieri l'aspetto di una nazione in pace: ponti aperti, Amman illuminata. Hussein è considerato un interlocutore ideale per Israele, e ciò spiega perché non si sia sparato praticamente un solo colpo fra i due Paesi durante questa guerra. Lo stesso Abba Eban ha ripetuto stasera che 11 re giordano dovrà parlare anche a nome dei palestinesi, e ora la Giordania diventa il Paese chiave, per i suoi buoni rapporti con gli arabi, cementati dalla partecipazione formale alla guerra, anche se si dice qui che vi sia stato uno scontro con gli iracheni. Nel Libano, l'esercito sembra prepararsi più ad una battaglia con i fedayn che alla guerra con Israele. La Siria è in posizione difficile, perché ha in casa propria l'esercito iracheno, cioè le forze armate di un Paese alleato che non ha accettato il «cessate il fuoco». La minaccia di un vuoto di potere in Siria è considerata qui realistica. L'Egitto può ora negoziare senza umiliarsi, dopo il risultato militare, e dopo i ripetuti riconoscimenti sul valore delle sue armi e del suo addestramento. Anche per questo, per non rendere più difficile la trattativa, si pensa, qui, ad Israele, che la battaglia sul Canale non sarà combattuta fino in fondo, e anzi terminerà presto. Domani gli osservatori dell'Onu dovrebbero definitivamente separare i due contendenti. Da qualche segno esterno, Israele già si prepara al ritorno all'industria di pace, agli abiti civili e alla smobilitazione. Tel Aviv stanotte è tutta illuminata. Il secondo «cessate il fuoco» sembra più saldo del primo, anche nell'animo della gente. Andrea Barbato