Come dirige De Sica di Liliana Madeo

Come dirige De Sica Il regista tornato al lavoro dopo l'operazione Come dirige De Sica Le prime riprese del "Viaggio" con la Loren e Burton a Noto, in Sicilia - Ancora affaticato per la convalescenza, il regista ritrova tutta la sua energia quando deve correggere gli interpreti - "Dovevo riguardarmi ancora un poco, confessa, ma il lavoro mi fa dimenticare i dolori" - Ammette di avere girato alcuni brutti film, ma ricorda di avere rifiutato tante offerte commerciali per fare "Ladri di biciclette " e "Umberto D" (Dal nostro inviato speciale) Nolo, 23 ottobre. Nel mezzo della stanza, al primo piano di un palazzotto nobiliare, sta la sedia pieghevole di tela verde. Sullo schienale è scritto: Vittorio De Sica. 11 regista vi si dirige a passi lenti, muovendosi con cautela. Ha l'aria assorta, il viso affaticato di un settantenne che neppure due mesi fa e stato sottoposto a un gnu : intervento chirurgico. E' tornato al lavoro prima del termine che i medici avevano prescritto, e questo è il quarto giorno di lavorazione del film // viaggio tratto dalla novella di Pirandello. Tutt'intorno. nel salottino stile Ottocento, si affaccendano i tecnici e gli interpreti. Si provano le luci, si trasportano cavi. Sophia Loren ripassa le battute del copione, in inglese. Richard Burton se ne sta da un canto, solo: ieri Elizabeth Taylor gli ha mandato un affettuoso telegramma di auguri, oggi lui le ha risposto con un altro telegramma ed è più scontroso del solito. Tutti attendono ordini dal regista, e sembra impossibile che Vittorio De Sica sia in grado di dominare la situazione, abbia le energie necessarie per coordinare i tanti momenti delle riprese. Si accendono i riflettori, tutti gli sguardi sono puntati sul regista. Si incomincia a provare una delle scene iniziali della pellicola: la Loren è una ragazza povera, innamorata di Burton; lui viene a chiedere la sua mano, ma per conto del fratello (il seguilo sarà la storia di un matrimonio infelice, una femminilità frustrata, una malattia che avrà struggente epilogo nel connubio amore-morte). Ciascuno dice le proprie battute. De Sica corregge un'intonazione, fa ripetere la scena, poi si alza e recita lui. Non è più un uomo stanco, convalescente. E' il signorotto siciliano, che maschera con la sicurezza dei modi lo strazio da cui è oppresso. E' la ragazza ferita, che si smarrisce nello stupore, e barcolla. Alza la voce, gli si inumidiscono gli occhi, batte i pugni sul tavolo, misura a passi contati la stanza. Si mette al fianco dell'interprete, e gli suggerisce i gesti, le pause, gli spiega con parole semplici quali sentimenti sono in gioco. Alla Loren dice: «Per te è una pugnalata alla schiena... Tu sei una miserabile, vivi con due lire al mese, e lui è milionario... Tua madre ha ragione, ma tu non riesci a capire il suo discorso... Sei una guaglione! e pensi che l'amore è tutto... No. quella battuta togliamola, è davvero fetente ». Sorride, loda tutti, sembra che la prova vada bene, invece fa ricominciare tutto daccapo. E' instancabile. Tira fuori una gran voce e grida: « Silenzio! ». Finalmente si gira. « Lo so, dovevo riguardarmi ancora un poco — dice, alla prima pausa, iniziando un discorso che andrà avanti per tutto il giorno, intercalato da innumerevoli interruzioni —. Ma il lavoro è l'unica cosa che mi rende felice, mi fa dimenticare persino i dolori della mia ferita ai torace, che sono forti. Quando ero in ospedale, e poi durante la convalescenza, mi sentivo vecchio, finito. Soffrivo per tante ragioni. Pensavo. Riflettevo su quanto è fragile la natura umana. Mi tormentava il pensiero della povera gente che, malata, non è curata abbastanza, sta nei corridoi degli ospedali, non ha quei conforti che possono alleviare la sofferenza e di cui io potevo godere». Riprende la lavorazione. Nella piccola stanza adesso l'aria si è fatta irrespirabile. Le lampade mandano fasci di luce infuocata. De Sica gronda per il sudore. Maria Mcrcader, da una porta socchiusa, spia preoccupata la faccia del marito. Qualcuno va a comprare una camicia nuova, il regista si cambia. Burton dà segni d'impazienza e ci fa chiudere una porta in faccia, annunzia che non rilascerà nessuna intervista (« Attraverso un momento delicato della mia vita — spiega —. Non voglio parlare dei miei fatti privati. Non voglio sentir nominare Elizabeth Taylor: posso anche commuovermi») e saetta in giro sguardi corrucciati. La Loren resta impeccabile. * £' una storia, questa, in cui credo — riprende De Sica, visibilmente spossato —. E' un film in cui mi riconosco. Ci sono i sentimenti e i valori che mi sono cari. C'è l'Italia del primo Novecento, che ha per me un grandissimo fascino. Un tempo i miei film non andavano a pescare lontano, toccavano la realtà contingente. Oggi que-ata realtà mi disgusta o non mi interessa. Intorno a me vedo disordine, violenza, mancanza di ideali. La gente della mia età è incanaglita. La borghesia, che pure ha avuto un ruolo, è finita, non ha più niente da dire. L'unica speranza sono i giovani, e la classe operaia che vive e lotta per qualcosa di valido, per tutti. Sono argomenti che spaventano i vecchi registi. In tanti hanno " rinunciato ". compresi Visconti e Fellini: il primo si è rifugiato nel celebrativo, il secondo nei ricordi della sua infanzia. Resta Antonioni. Lui, forse, può raccontare una storia in cui ci siano dentro i conflitti e le contraddizioni di oggi. Io non me la sento più ». Arriva l'ora della pausa. Burton se ne va a precipizio, raggiunge il porto di Siracusa dove è ancorala la sua casa galleggiante: uno yacht tutto bianco, quarantadue metri, sei uomini di bordo, un miliardo e mezzo di lire escludendo il Van Cogli esposto nel living. La Loren attende a lungo il suo cestino: si svolge una piccola inchiesta, e si scopre che l'uomo inviato a prelevare in un ristorante il pasto — filetto, acqua minerale, una mela — se l'è mangiato, con bella innocenza. De Sica si accontenta di un cappuccino. « E' vero, ho girato un sacco di brutti film e me ne pento — ammette, contrito —. Io avevo le idee chiare, la corruzione è venuta dall'industria cinemalo- grafica, dai suoi ricatti, datl'ignoranza degli uomini the la dominano. Avevo fede nel "mio" cinema ed ero intrunsi-gente fino all'eccesso. Sono sta-lo il primo a usare attori non professionisti e ho avuto chi- morosi insuccessi commerciali. Quando preparavo Ladri di biciclette e nessuno mi voleva da re i soldi necessari. Selznick cap'i il film e si offrì di produr lo: un milione di dollari a me e Care Crani come interprete, queste le condizioni, lo scelsi l'operaio Maggiorana e spesi 60 milioni di lire in tutto. Umberto D oggi è in tutte le cineteche del mondo. Allora, per dissuadermi dal farlo, Rizzoli mi propose il primo film su Don Camillo: 100 milioni e il cinquanta per cento degli utili. Sarei diventato milionario, invece rifiutai e realizzai il mio film, non mi procurò due milioni di lire per quattro anni di lavoro. Fu un fiasco commerciale tale che. dopo la sua uscita, Rizzoli mi cacciò dall'albergo in cui alloggiava: aspettava Gallone, e coti lui doveva parlare delle Due orfancllc ». E' il tardo pomeriggio quando si spengono i riflettori. Circondato dai suoi collaboratori. De Sica prepara il lavoro per il giorno dopo. Occorre una carrozza. Ci vorrebbe la pioggia, o almeno il cielo scuro. Gli fanno osservare che non c'è da sperarci. « Bagnate la strada e i muri » propone, conciliante. Dalle finestre aperte sale — crescente — il brusio della folla che da ore si va assiepando nella via. nella speranza di vedere da vicino — anche per u timo — uno dei divi rinchi i quassù. Burton è già sparilo. La Loren è solo una fugace apparizione. Resta De Sica, che percorre a piedi fra due ali di gente il tragitto fino alla macchina: sorride in giro, saluta con la mano in gesto benedicente. Parte, e si fa portare in una clinica per una visita di controllo. Liliana Madeo

Luoghi citati: Italia, Noto, Sicilia, Siracusa