Se piove a Modena

Se piove a Modena Una città in ansia per le alluvioni Se piove a Modena Le piene del Secchia e del Panaro, ogni anno, provocano disastri - La gente reagisce con coraggio e senza isterismi, ma vuole sicurezza per poter lavorare - Dice il sindaco: "Siamo gente con la testa sulle spalle, ma non significa che siamo rassegnati" - Si chiede una legge che stanzi 10 miliardi per opere di protezione Sotto accusa gli organi tecnici dello Stato per la vendita indiscriminata delle golene dei fiumi ai privati (Dal nostro inviato speciale) Modena, 22 ottobre. Questa volta i modenesi non si sono accorti di nulla. Nessuno li ha avvertiti che una nuova inondazione aveva molte probabilità di scatenarsi a poco meno di un mese dall'ultima disastrosa piena che ha investito un quartiere della città e alcuni comuni vicini. Il pericolo è stato reso noto da un tardivo comunicato della Regione che parla di «evoluzione favorevole del fenomeno». E' andata bene, insomma. Però è bastata una notte di pioggia in montagna, fra martedi e mercoledì, per mettere in allarme gli uffici del Genio civile di Modena e Reggio Emilia. Anche l'assessorato regionale ai Lavori Pubblici è stato tenuto costantemente informato, di ora in ora. Il Panaro aveva superato il livello di guardia a Spilamberto; a Navicello, alle porte della città, aveva raggiunto quasi i sette metri. E preoccupante si era fatta la situazione del Secchia. L'assessore regionale Romagnoli ha inviato un telegramma al ministero e alla direzione generale della protezione civile, insistendo sulla necessità che venga approvata una legge che stanzi al più presto dieci miliardi per i lavori necessari. Intanto proseguono le polemiche e le discussioni; si organizzano manifestazioni, assemblee «sugli argini», nelle zone predestinate alla rovina. La domanda che attende risposta è sempre la stessa: come allontanare lo spettro dell'alluvione? I tecnici del Comune stanno persino montando un film, girato nelle drammatiche giornate del 24, 25, 26 settembre; visioni apocalittiche di strade interrotte, case e fabbriche invase dal fango, auto sommerse, animali uccisi dalla piena, verranno riproposte all'attenzione dei cittadini nei cinema e nei quartieri, con il sistema del « video-tape ». «Perette — dicono i funzionari — si dimentica troppo in fretta». «Qualcuno ha scritto che siamo rassegnati, che i modenesi subiscono passivamente, che ormai ci hanno fatto l'abitudine », protesta il sindaco Bulgarelli. E aggiunge: «E' vero, noi siamo gente calma, con la testa sulle spalle, non assaltiamo i forni, non ci sentiamo inclini agli scatti di isterismo. Anche la rabbia di quei giorni, di chi aveva perso masserizie, bestiame, o si era visto distruggere in poche ore la fatica di un anno, veniva espressa in forma civile. Ma questo non significa che siamo rassegnati». Fra i danneggiati dalla recente alluvione, pochi hanno ottenuto finora indennizzi, altri non vedranno una lira. Ma, a sentire i discorsi, sembra che non gliene importi molto. La giusta preoccupazione, per i danni subiti, assume quasi un valore secondario rispetto a quello che tutti pongono in cima alle loro richieste: fare qualcosa per impedire altre catastrofi, decidersi finalmente a compiere le opere necessarie, non perdere più tempo, a «palleggiarsi» responsabilità e competenze. La gente è perplessa: «Possibile che dopo tanti disastri e miliardi di danni, non si riesca a fare un serio programma di lavori?». In questa terra di gente pratica, tenace, ricca di talento e di iniziativa — l'agricoltura più rigogliosa d'Italia, industrie note in tutto il mondo — sembra un controsenso l'impotenza collettiva contro due fiumi, il Secchia e il Panaro, che rappresentano una minaccia continua. Sono sotto accusa gli organi tecnici dello Stato, soprattutto il Genio civile, per la vendita indiscriminata delle golene, naturali casse di espansione del Panaro, e per i permessi di escavazione di ghiaia nel letto del fiume (ufficialmente per 800 mila me annui, ma che diventerebbero due milioni abusivamente). La Guardia di finanza ha denunciato alcuni concessionari per aver scavato oltre i confini della zona assegnata, ma i controlli sono affidati a troppo scarso personale per sconfiggere o quanto meno limitare il fenomeno. Cosi ci si affida alla buona stella, e si spera che gli argini tengano «per miracolo». O che non piova. Nella sede del Consorzio idraulico del Panaro, a Spilamberto, distante 15 chilometri da Modena, incontro Iside Magni, segretario dell'ente preposto alla manutenzione delle opere di difesa del fiume, costituitosi quindici anni fa. Ne fanno parte i Comuni di Modena, Marano, Vignola, Spilamberto, Savignano. San Cesario, Bazzano e Castelfranco Emilia. Dice Magni: «Il Panaro nasce dal congiungimento dei torrenti Leo e Scoltenna, sull'Appennino modenese; di là, il fiume precipita a valle a velocità tripla rispetto al passato. Una volta, fino a Vignola, occorrevano trentasei-qua- ranta ore, adesso in dieci-dodici ore l'acqua viene giù, senza freni. Per sapere se le cose si mettono male noi telefoniamo a Serpiano, a un locale pubblico gestito da tre donnette: che tempo fa? Se c'è la piena, sappiamo che abbiamo solo poche ore per organizzare le difese». Anche per Magni le cause remote di questa situazione, che va facendosi sempre più drammatica, sono lo spopolamento della montagna, i ruscelli ridotti ormai senza briglie, il disboscamento indiscriminato. E poi gli impianti di lavorazione della ghiaia e della sabbia, che in venticinque anni sono saliti da sette a trenta, sul Panaro: «In molti posti occupano addirittura l'alveo del fiume. I rimedi? Certo, non si possono impedire le escavazioni, ma occorre limitarle, sottoporle a controllo rigido. Ci vuole più disciplina, e soprattutto bisogna liberare il fiume dagli impianti di lavorazione». Il segretario del Consorzio mi mostra un volumetto stampato nel '62, intitolato: «Relazione sul progetto generale di sistemazione del Panaro». Dice ancora, allargando le braccia: «Se si fossero deci¬ si allora, con meno di cinquecento milioni si faceva tutto; già nel 65 la spesa prevista salì a seicento milioni; adesso abbiamo un nuovo progetto che con un miliardo permetterebbe di salvare Modena. E' un programma più ristretto di quello del Comune e della Provincia, ma si potrebbe iniziare di qua, creando casse di espansione per circa 6 milioni di me d'acqua, nelle zone del ponte sull'Autostrada del Sole e di quello di Sant'Ambrogio ». Si tratta di poca cosa, forse, come rimedio, considerando che nell'ultima inondazio¬ ncmz ne sono usciti dal Panaro almeno venti milioni di metri cubi d'acqua. Ma sarebbe comunque un primo passo verso la sicurezza. Il Consorzio l'altra sera ha deciso di mettere il suo «piano» a disposizione degli organi tecnici. Al ter ->o stesso ha deliberato di afi.-ncarsi all'Amministrazione provinciale nella richiesta della legge - stralcio (stanziamento immediato di dieci miliardi), inviando una relazione al ministero che illustra lo stato attuale, in condizioni abbastanza precarie, delle difese del Panaro. Antonio De Vito Un'immagine delle campagne nel Modenese durante la recente alluvione (Telefoto Associated Press)