Per i nastri del Watergate un nuovo rifiuto di Nixon

Per i nastri del Watergate un nuovo rifiuto di Nixon Non vuole consegnarli, ne offre un riassunto Per i nastri del Watergate un nuovo rifiuto di Nixon Archibald Cox, speciale inquisitore nominato dal ministero della Giustizia, ha definito la decisione un "insulto al sistema giudiziario" - Nixon lo ha minacciato di licenziamento (Dal nostro corrispondente) Washington, 20 ottobre. Lo scandalo Watergate, che è già una confusa tragedia, è da ieri sera anche un incredibile pasticcio giuridico: era l'ultimo giorno utile per Nixon per accettare la sentenza della Corte d'appello e consegnare i nastri con i suoi colloqui sul caso oppure appellarsi alla Corte suprema. Non è accaduta né l'una, né l'altra cosa. La risposta del Presidente è un capolavoro di doppiezza legale. Egli ha accettato di consegnare alla commissione d'inchiesta senatoriale un « riassunto » scritto del contenuto delle bobine (nove, per 15 ore complessive di ascolto): un senatore democratico, Stennis, dovrà controllare che il riassunto sia onesto. In altre parole, Nixon non ha obbedito alla sentenza dei giudici di primo e di secondo grado (consegnare i nastri integrali e poi, eventualmente, eliminare le parti che non interessassero l'inchiesta ma investissero problemi di sicurezza nazionale) ma non si è « imbottigliato » nel ricorso alla Corte suprema, alla quale non avrebbe potuto negare i nastri, in caso di sentenza a lui sfavorevole. Il compromesso è stato raggiunto da Nixon con il presidente della commissione d'inchiesta senatoriale Ervin, ieri sera, ma ha provocato una ondata di reazioni negative. Prima fra tutti quella di Archibald Cox, speciale inquisitore del caso Watergate, nominato dal ministero della Giustizia per « fare piena luce ». Cox ha detto che la decisione di Nixon è « un insulto al nostro sistema giudiziario » (pare che stia meditando di incriminare Nixon per « offesa alla Corte ») e che egli si batterà ancora per avere tutte le prove, non solo riassunti, perché questo è lo scopo del suo lavoro. Nixon ha allora informato Cox, definendolo nel suo discorso un « dipendente dell'esecutivo », che egli può sospendere la « caccia alle prove », minacciandolo apertamente di licenziamento. Cox, che non è un magistrato ma un professore di diritto specialmente scelto per questa inchiesta, dipende dal potere esecutivo, quindi, in ultima analisi, dalla Casa Bianca. Diciamolo chiaramente: il « compromesso » di ieri sera è un pasticcio da azzeccagarbugli indegno di un Paese come gli Stati Uniti. Se ne è accorto lo stesso Ervin, la cui condiscendenza non si comprende, dopo mesi di inquisizione spietata. E stamane il vecchio senatore democratico del Nord Carolina ha fatto sapere di essere stato giocato da Nixon: l'accordo prevedeva la trascrizione di una parte dei nastri, non un riassunto. Sono cose ben diverse. Adlai Stevenson, in un intervento alla televisione, ha definito la decisione di Nixon « Il tentativo di un giocatore di poker di portare via il piatto mostrando solo tre carte agli avversari ». Il Paese è francamente indignato. E deluso. Nel rifiuto di rivolgersi alla Corte suprema, molti commentatori vedono l'ammissione che anche i supremi magistrati non avrebbero potuto, per quanto legati a Nixon (sono in maggioranza di sua nomina), dare ragione al Presidente che ha lanciato una manovra per prendere tempo e intorbidare ancor di più il caso. Che proverebbe il « riassunto » dei nastri? Che valore avrebbe — ha detto stamane Cox, confermando la sua decisione di continuare la lotta anche a costo del licenziamento — una simile prova di fronte ad un tribunale? Con un « riassunto » non si può condannare un ladruncolo, figuriamoci un Presidente. Più che mai, la tragedia di Watergate si rivela lacerante per il Paese. E ancora si attende la reazione del giudice di prima istanza (Sirica) e del tribunale d'appello che hanno visto le loro sentenze tranquillamente ignorate. Sembra una farsa, se potessimo dimenticare che lo stesso Nixon che ieri sera negoziava il « trucco » legale ha dovuto, pochi minuti dopo, rispondere ad un messaggio di Breznev con l'invito a trattare sul Medio Oriente. Vittorio Zucconi Washington. L'ex legale della Casa Bianca John Dean III e la moglie escono dalla corte distrettuale dopo un interrogatorio sul caso Watergate (Telefoto Upi - Ansa)

Luoghi citati: Medio Oriente, Stati Uniti, Washington