Una musica dal cosmo per la favola di "Ayl,, di Massimo Mila

Una musica dal cosmo per la favola di "Ayl,, "Prima,, assoluta al Piccolo Regio Una musica dal cosmo per la favola di "Ayl,, Successo per l'opera di Enrico Correggia ispirata alle Cosmicomiche - Applausi anche per "Prima la musica poi le parole" di Salieri, ripresa dal '700 - Direttore Gelmetti, regista Scaglione In attesa di riprendere possesso della sala grande, la lirica ha fatto un'effimera apparizione nella saletta del Piccolo Regio, adatta, in verità, solo a spettacolini di formato tascabile, come quello appunto andato in scena l'altra sera e ripetuto ieri, composto di un'operina settecentesca, forse mai rappresentata in età moderna, e della opera-balletto in un atto Ayl, che il compositore torinese Enrico Correggia, nato a La Spezia quarantanni fa, ha tratto da una delle Cosmicomiche di Calvino. L'operina settecentesca è Prima la musica poi le parole, libretto dell'abate Casti, musica di Antonio Salieri. Rappresentata come un divertimento festivo nel palazzo imperiale di Schonbrunn l'anno 1786, s'inserisce, come L'impresario di Mozart, creato nella stessa occasione, nel ricchissimo filone settecentesco dell'autocritica melodrammatica. L'opera, specialmente l'opera seria, fa la parodia di se stessa, come avviene di tutti i generi artistici e le classi sociali in via di disfacimento: tutti sanno che le cose vanno male, ma le « inconvenienze teatrali » sono soltanto pretesto di scherzo e di gioco, senza che nessuno si proponga di tirarne serie conseguenze. Analogamente i nobili francesi si divertivano un mondo a vedere le proprie colpe nelle commedie di Beaumarchais, finche, ridendo e scherzando, ci rimisero la testa sulla ghigliottina. Anche la testa del melodramma convenzionale era già caduta, senza ch'esso se ne desse per inteso, ad opera della scure di Gluck. Del quale Salieri era devoto e non indegno discepolo. Ne fa fede la concretezza del filo orchestrale che si dipana sotto le voci dei cantanti, il suo continuo integrarsi con esse. Esemplare, in questo senso, la prima scena, col duetto, o per meglio dire, dialogo, mobilissimo dialogo tra il Poeta e il Maestro di cappella incaricati di scrivere un'opera in quattro giorni, e costretti perciò a servirsi di musica preesistente, su cui adattare parole inventate lì per lì. Giustamente faceva gran conto di questa operina Andrea Della Corte, che ne pubblicò per intero lo spiritoso libretto nel suo Salire e grotteschi di musiche e di musicisti d'ogni tempo. I quattro personaggi richiesti dall'opera furono interpretati dal basso comico Gianni Socci (il Maestro), dal baritono Vinicio Cocchiedi (il Poeta), e dai soprani Djurjevka Ciakarcvic, la pomposa ed ingombrante eroina dell'opera seria, e Gabriella Ravazzi, che per grazia d'attrice, spiritosa recitazione e proprietà di canto ha emulato felicemente i meriti di Anna Selina Storaci, detta l'Inglesina, celebratissima prima interprete dell'amena parte di Tonina, la sbarazzina e buffoneggiarne cantante di opera comica. La scena in bianco e nero di Carlo Rapp ha dato all'azione una cornice un po' anacronistica, ma funzionale per i gesti che in essa si debbono compiere, e il regista Massimo Scaglione ne ha tratto il miglior profitto. Che sia merito suo, o personale dell'artista, certo la Tonina della Ravazzi è un personaggio, una vera presenza scenica. Del resto a tutti i responsabili della realizzazione — Scaglione, Carlo Rapp e Aulo Brasaola, direttore tecnico — va dato atto del miracolo che hanno compiuto riuscendo a trar partito da uno spazio teatrale che solo con molta buona volontà si potrebbe definire come un palcoscenico. Non minori difficoltà hanno dovuto superare nella fantasmagoria cosmica di Ayl, tratta da Senza colori di Cai vino: l'incontro di due creature in una remola età della Terra, proprio al momento in cui, dal precedente grigio uniforme si cominciavano a distinguere i colori. Colori del mare, del cielu, dell'erba, dei fiori. Il maschio, afwfq, superficialmente progressivo, è entusiasta della novità. La piccola, tenace Ayl è la verità, l'assoluto: la divergenza finirà per separarli. Soggetto difficile da musicare, e ancor più difficile da portare in scena. Nella partitura che fu segnalata al concorso indetto l'anno scorso dall'Ente Autonomo Teatro Regio, Correggia ha risolto molto bene la parte, diciamo così, cosmica: la scrittura musicale moderna per fasce di suoni prolungati che crescono e decrescono, per disegni di note ripetuti ad libitum in maniera aleatoria, i sìbili sottili dei glissandi, i rintocchi della percussione parcamente impiegata, tutto concorre a creare l'atmosfera, come di¬ re, planetaria in cui si svolgono le fantasie di Calvino. I due personaggi (che cantano le loro poche battute in inglese, mentre il bel testo calviniano è recitato in italiano) hanno minore possibilità di manifestarsi. Le due voci (il tenore Giuseppe Baratti e la prelodata Gabriella Ravazzi) sono collocate in orchestra, mentre sulla scena danno forma ai personaggi le plastiche e sapientissime evoluzioni di Loredana Fumo e di Giuseppe Carbone, sulla coreografia di Sara Acquarono, che cerca di far tesoro dei pochi pretesti visivi offerti dal testo perfettissimo e in sé compiuto. Testo la cui recitazione, sia pure con qualche sfrondamento, è la colonna portante dell'intero spettacolo: gran fortuna che a leggerlo ci fosse Raoul Grassilli, cioè un attore che alle indispensabili qualità di voce e di dizione, unisce gusto letterario e intelligenza fuori discussione. C^rto, tre mezzi contemporanei d'espressione — la parola, la musica e la danza — sono a volte un po' troppi, e non sempre l'occhio ha l'impressione di vedere le stesse cose che l'orecchio sente. Messo di fronte a difficoltà pressoché insuperabili di realizzazione, Carlo Rapp se n'è cavato abilmente col ricorso ad elementi mobili che nell'oscurità della scena configurano di volta in volta il passaggio di meteore, l'epifania dei colori, e infine il muro che s'alzerà a dividere per sempre Qfwl'q da Ayl. Anche qui. ingegnosissima utilizzazione del poco spazio scenico, allontanando in fondo, dietro un velario nero, l'orchestra e le voci, compresa quella del recitante, e portando l'azione mimica in primo piano, mentre nell'operina di Salieri l'orchestra se ne stava settecentescamente davanti al palcoscenico, e allo stesso livello. Orchestra che il giovane Gianluigi Gelmetti ha diretto con sagacia c precisione, sia nella pericolosa facilità apparente di Salieri, sia nelle astruse complicazioni della moderna partitura di Correggia. Entrambe le opere hanno avuto stenvchac successo e sono state vivamente applaudite da un pubblico numeroso, tra il quale si notavano anche giornalisti d'altre città, attirati da questo fatto che ha del prodigioso: una novità assoluta a Torino! Massimo Mila

Luoghi citati: La Spezia, Torino