Risveglio dell'Egitto di Sandro Viola

Risveglio dell'Egitto LA SORPRESA PIÙ CLAMOROSA DELLA GUERRA Risveglio dell'Egitto Nei suoi tre anni di potere Sadat ha liquidato la tradizione turco-albanese dei pascià egiziani, degli strateghi gaudenti: ha raddoppiato gli stipendi degli ufficiali, ma li ha allontanati dalla scena politica e sociale, mirando a farne un corpo professionale di tipo moderno - La crescita tecnica e morale si è avvalsa della lucidità di un capo troppo a lungo misconosciuto (Dal nostro inviato speciale) Il Cairo, ottobre. Egitto società militare: quando apparve a Parigi, una dozzina di anni fa, il libro di Abdel Malek fornì un'immagine precisa (che si sarebbe conservata a lungo nitidissima) dell'Egitto pròtonasseriano. A quel tempo Israele appariva invece come uno Stato dove i militari avevano sì un ruolo importante, ma strettamente legato alla loro professione di tecnici della guerra. Non c'erano o quasi generali nel governo, non colonnelli ai vertici dell'amministrazione e degli organismi economici, e a Tel Aviv era impossibile vedere la quantità di ufficiali superiori che affollavano i buoni ristoranti, i bordi delle piscine, i salotti del Cairo. Ma venti gitomi fa, alla vigilia di questo quarto conflitto arabo-israeliano, la situazione s'era quasi capovolta. L'Egitto, che aveva cominciato a smilitarizzarsi nelle strutture economiche e amministrative già dopo la sconfitta del '67, quando il prestigio dei militari toccò il fondo, s'era andato sempre più imborghesendo (nel senso di dare spazio ai borghesi, ai tecnici ecc.) negli anni dopo la morte di Nasser. Ora i militari venivano dalle cattedre delle facoltà tecniche, dal grande calderone del partito, e qualcuno daM'intellighentia politica di sinistra. Colonnelli, in giro, se ne vedevano pochi. Il loro mito di strateghi gaudenti s'era infranto in modo drammatico col suicidio del maresciallo Amer, il comandante in capo delle forze egiziane alla guerra del '67, che la notte del 4 giugno, mentre l'aviazione israeliana si preparava a sferrare una mazzata mortale sugli aeroporti dell'Egitto, aveva dato un fantastico ricevimento al cui centro sfavillava la sua danzatrice (danzatrice del ventre) favorita. Da allora tutto era stato diverso. I primi passi Nei tre anni da che è al potere, Sadat ha aumentato due volte gli stipendi degli ufficiali; ma nello stesso tempo ha preteso che si defilassero dalla scena politica, e si facessero più discreti su quella sociale. Mosse che non erano state colte nel loro giusto significato, ma che rappresentavano — ora è chiaro — la fine della tradizione turco-albanese dei pascià egiziani, e i primi passi verso la formazione d'un corpo professionale di tipo moderno. In Israele, venti giorni fa, i generali erano invece sulla cresta dell'onda. Si dia un'occhiata alle liste dei candidati per le elezioni politiche che dovevano aver luogo a novembre. Non erano solo i partiti maggiori — il Maarakh o Fronte laborista, il Gahal o Destra nazio- naie — ad aver incluso nelle proprie liste uno o più generali; persino i partiti minori avevano fatto ricorso ai militari. Il Maki, per esempio, comunista pro-sionista che dispone d'un solo seggio al Parlamento, aveva dato a un colonnello della riserva, invece che al segretario del partito, il posto di capolista. Il generale Weizman si presentava col blocco della destra, insieme al comandante dei blindati nel Sinai nel '67, Lahat, e al generale Sharon che aveva comandato il fronte Sud. I laboristi presentavano invece due capi di stato maggiore (Robin e Bar-Lev), e l'ex capo dei servizi segreti, Yariv. In modo assai curioso, dunque, l'atmosfera dei due Paesi era completamente mutata. Se al Cairo molte battute ironiche avevano ormai come bersaglio l'esercito, in Israele le forze armate erano avvolte dalla leggenda (l'altissimo livello tecnologico, il valore individuale, insomma l'invincibilità) e fatte oggetto di un'attenzione e d'un rispetto così vicini al culto dà giustificare le preoccupazioni dei settori liberali del Paese, costretti a chiedersi se non si stesse assistendo a Una pro¬ gressiva militarizzazione dello Stato ebraico. Era tale lo sfondo alla vigilia del 6 ottobre, giorno in cui è scoppiata la guerra, e di tutte le sorprendenti realtà che il conflitto ha messo in luce questa è tra le più clamorose. Di qua dal Sinai, una società che smilitarizzandosi (senza, beninteso, smobilitare; le spese della difesa — 1500 miliardi di lire — pesano per quasi il 50 per cento sul bilancio egiziano) è riuscita a produrre un notevole exploit strategico; di là, una società dove si stava profilando un culto dei galloni, ha conosciuto invece il suo primo scacco sul campo. Qualche ipotesi E' già possibile oggi, a quindici giorni dall'inizio del conflitto, l'analisi delle cause che hanno prodotto il capovolgimento degli stereotipi con cui tutti, da anni, misuravamo gli equilibri della regione? Fornire una chiave, cioè, che spieghi come mai abbiano potuto verificarsi eventi — l'iniziale sbandamento militare di Israele, il livello di preparazione e di combattività degli eserciti arabi, la capacità di segretezza che ha consenti- to un attacco tanto fortunato — che nessuno si era mai atteso? La risposta è no: l'analisi è ancora tutta da fare, sicché non resta che tentare qualche considerazione. La prima è che l'inconscio collettivo, in Israele, si era andato inquinando d'un assurdo complesso di superiorità di cui sono responsabili in massima parte i suoi governanti e i suoi mezzi di informazione. C'è un test, a questo riguardo, piuttosto preciso. Due anni fa una rivista americana nota per le sue posizioni pro-israeliane, Time, aveva fatto un sondaggio i cui risultati, rivisti oggi, fanno trasalire. Settantaquattro israeliani su cento si dichiaravano convinti che gli arabi fossero meno intelligenti di loro e 80 su 100 li consideravano meno coraggiosi. Che questo tipo di stati d'animo abbia avuto una influenza decisiva su quella che i tecnici militari chiamano « la guardia bassa » di Israele alla vigilia della guerra (la vigilanza ridotta alle frontiere, l'incredulità dei servizi di informazione all'idea di un attacco arabo) è sin troppo evidente. Meno chiaro è come a Israele si ignorasse ciò che stava avvenendo nell'esercito egiziano, alla classe degli ufficiali di carriera, e alla truppa cui si erano andati ad aggiungere in questi ultimi anni molte migliaia di laureati e diplomati. E' vero che qui non sono stati gli israeliani a sbagliarsi, ma abbiamo sbagliato tutti. Disorientati, oltre che infastiditi, dalla serie degli slogan minacciosi che non producevano mai alcun effetto, immobili ai giudizi sommari che ricavavamo dalla vista delle sentinelle sonnacchiose che stazionano dinanzi a certi edifici pubblici del Cairo, nessuno si era atteso che il « nuovo » esercito egiziano potesse infliggere un duro colpo a Israele. L'autocontrollo La crescita, invece, c'era. Una crescita tecnica, alla quale i sovietici hanno contribuito in modo decisivo malgrado le forti incomprensioni, i continui bisticci che li hanno opposti in questi anni agli ufficiali egiziani. Ma anche una crescita morale, i cui stimoli sono in gran parte venuti da Israele. Perché è noto che nulla matura di più della coscienza di subire un'ingiustizia (un sentimento che gli egiziani hanno provato in questi anni in modo lacerante), e che non c'è medicina migliore del dolore per guarire da quello che è uno dei mali congeniti dell'Egitto, e cioè la mancanza di realismo. Un'altra considerazione si impone sulla lucidità e sulla freddezza di Anwar El Sadat. L'esercito egiziano non si è certo trasformato negli ultimi due o tre mesi: se il 6 ottobre esso è stato capace delle performances che sappiamo, bisogna dedurne che era già da tempo più o meno in condizioni di tentare un attacco. Ma Sadat non ha voluto precipitare i tempi. Lui e l'Egitto hanno rischiato di giocarsi il residuo prestigio ogni volta che la durezza israeliana infliggeva al mondo arabo un nuovo colpo: i raids aerei sulla Siria, le puntate di carri armati e le azioni di commando in Libano, l'abbattimento del Boeing libico, si ripercuotevano — a livello morale e politico — soprattutto sull'Egitto, il Paese arabo più grande e meglio armato. Pure, Anwar El Sadat non reagiva. Qualche slogan, qualche vaga minaccia, nient'altro. Ora sappiamo che si preparava. Che l'Egitto abbia cercato una soluzione diplomatica della crisi è un fatto di cui tutta la diplo¬ mazia occidentale è testimone. Ma ci dev'essere stato un momento in cui Sadat e i suoi hanno compreso che la guerra era l'unica soluzione possibile, e qui l'abilità di quest'uomo troppo sottovalutato ha prodotto una manovra spregiudicata e sottile, di enorme efficacia. Mettiamo — è assai probabile — che U licenziamento dei consiglieri militari sovietici nel luglio del '72 sia l'ultimo gesto con cui il leader egiziano tenta di convincere gli americani ad aiutarlo a riavere i territori occupati. E' nell'autunno dell'anno scorso, dunque, che Sadat capisce che solo una azione militare può ormai sbloccare la situazione. Il suo capolavoro è il modo in cui vi si prepara. Cortina di fumo Da una parte, il regime egiziano sembra in quei mesi in preda ad una confusione totale, perfino convulsa. Cambio al vertice delle forze armate, tensioni e riavvicinamenti con i sovietici, più tardi le dimissioni del primo ministro Sidki, quindi cumulo delle cariche da parte di Sadat, mentre una serie di leggi rilanciano all'interno l'economia di pace. Dall'altra, ecco che Sadat comincia a tessere la tela dei rapporti da cui è scaturito il primo abbozzo di unità araba che la regione abbia visto nei tempi moderni, e che nella sua concertazione militare ed economica ha poi avuto un peso decisivo nel conflitto. Fatti di cui a tutti sfuggiva il senso, e che erano invece la piattaforma dell'azione militare del 6 ottobre. La cortina fumogena alzata da Sadat era densissima: ancora un paio di mesi fa, in presenza d'un diplomatico occidentale, il Presidente egiziano aveva dichiarato di sapere benissimo che, in fondo, l'unico desiderio dell'esercito schierato sul Canale era di tornarsene a casa. Invece il tempo degli slogan (« L'anno decisivo » lanciato nel '71, «La preparazione del fronte interno », che è del '72, « Il confronto totale » dell'inizio del '73) era trascorso, e stavano avvicinandosi le ore della guerra. Sandro Viola Il Cairo. Sadat tra il capo di Stato Maggiore Shazli, a sinistra, e il ministro della guerra Ismail (Tel. Associated Press)