Henri Alleg

Henri Alleg I PERSONAGGI DEL DRAMMA Henri Alleg Parigi, ottobre. Sono andato a trovare Henri Alleg alla redazione della Humanité. Si occupa, credo, di politica estera. Ha passato i cinquanta; e racconta sorridendo che è diventato nonno. Porta gli occhiali dalla cerchiatura robusta, ha la faccia larga, parla lento. La sua vicenda sembra tanto lontana: lo arrestarono ad Algeri durante l'estate del 1957. Il quotidiano che dirigeva era stato proibito. Fu preso dai paracadutisti di Massu, e i ragazzi volevano farlo chiacchierare. Lo portarono a El Biar; era un posto di raccolta per quelli del Fin. Scrisse un libretto, settanta pagine appena, intitolato La Question. Ne vendettero decine di migliaia di copie, anche in America, Inghilterra, Italia. Lo scrisse mentre era dentro, di nascosto: « Mi agitò davanti agli occhi le i'inze su cui erano fissati gli elettrodi, piccole pinze di acciaio brillante, lunghe e dentellate. " Coccodrilli ", le chiamano gli operai delle linee telefoniche. Me ne fissò una al lobo dell'orecchio destro, l'altra a un dito. Improvvisamente sobbalzai e urlai a squarciagola ». E più avanti: « Attaccò al rubinetto che luccicava un tubo di gomma. Poi mi avvolse la testa in uno straccio mentre Devis gli diceva: " Mettetegli una zeppa in bocca ". Mi introdusse un pezzo di legno fra i denti. Appena fu pronto mi avverti: "Quando vorrai deciderti a confessare, basta che tu muova la mano ", e aprì l'acqua ». « Caffè? » chiede Alleg. Che strana conversazione. Sembra che questa faccenda riguardi un altro: 1957, quindici, sedici anni fa. Già: io ero, ognuno di noi viveva... Osservo Alleg: piccolo, un po' rotondo, cosa potrebbe essere? Un medico, un professore, un mercante, chissà. Pare distaccato, quasi indifferente. Non resta proprio nulla addosso? « El Biar era una vera e propria fabbrica di dolori. Giorno e notte c'erano file di algerini che subivano la violenza. Noi eravamo preparati a subire la prova. Parlo dei militanti. Conoscevamo tutti i metodi. Non mi sorpresi, al punto che uno dei carcerieri disse: "Ah, tu hai fatto degli articoli. Adesso potrai aggiungere altri particolari, diretti"». « I fatti? Se ne è parlato mille volte. Venivamo denudati, legati a un asse marcio per i vomiti di tutti quelli che ci erano passati prima, e poi lasciati cosi per una, due, parecchie ore, con certi tipi attorno che ci incitavano a dire, a mollare, speravano che bastasse la paura, speravano di sbrigarsi. Niente? E allora si passava agli esercizi, all'elettricità, e c'era una domanda che facevano sempre, e insistevano: " Dove hai passato la notte? ", insegnaci, insomma, come possiamo trovare i tuoi compagni ». « Si appendeva il prigioniero per i piedi, si bruciava con torce di carta: lo hanno fatto anche con me, Perché succede anche questo: non si può torturare in continuazione, c'è un limite, poi non si sente più nulla, si diventa come di legno. Si arriva a un momento e hai l'impressione che il cervello scoppi, e gli occhi escano dalle orbite ». « Dentro a tino che è entrato in quelle celle, che cosa rimane? Rancore, disprezzo per i suoi simili, o il desiderio di dimenticare? ». « Non so. Per me, l'uomo è quello che si fa di lui. Vorrei riprendere una frase che purtroppo è sempre attuale. E' di Brecht: " Popolo, stai attento, perché il ventre dal quale è uscita la bestia immonda è ancora fecondo " ». « Hanno torturato i nazisti, i vostri para, i poliziotti cecoslovacchi, quelli russi, le squadre della morte brasiliane. Non è, evidentemente, una questione di princìpi, ma un ricorso alla crudeltà che si ripete puntuale in determinate situazioni ». « Devo dire, in primo luogo, che è estremamente penoso per un comunista pensare che illegalità di questo genere, che queste sofferenze abbiano potuto essere inflitte nell'Unione Sovietica, o all'Est. Tuttavia, credo esista una differenza profonda, fondamentale, tra quello che è accaduto nei Paesi coloniali, in quelli fascisti, e quello che è successo dove il socialismo è al potere. In un caso, e Massu lo conferma oggi, si tratta dell'applicazione di una volontà, di un pensiero elaborato, che disprezza la dignità umana; nell'altro, della violazione di una legge, di una offesa al sistema stesso; infatti è un deterioramento di quelle regole espresse dalla volontà popolare ». « 1 torturatori nascono spon¬ taneamente o sono il risultato di una inesorabile logica del potere? ». « Nascono dalle circostanze, ma bisogna avere in se stessi delle fibre particolari, perché una persona qualunque non può diventare un generale seviziatore ». « E dopo, Henri Alleg, che accade? ». « Tutti subiamo una evoluzione, indipendentemente dalle nostre esperienze. Quando si sono contemplate delle cose orribili, quando le hai guardate davanti a te, su di te, dentro di te, si spera soprattutto che ciò non debba mai accadere ai tuoi figli, ai tuoi nipoti, a nessuno su questa terra ». Già, ma ha scritto Sartre: « Se niente vale a proteggere una nazione contro se stessa, né il suo passato, né le sue fedeltà, né le sue leggi, se basta cc.l poco tempo per cambiare le vittime in carnefici, allora chi decide è l'occasione: qualsiasi uomo, in qualsiasi istante ». Auschwitz o El Biar, Sud America o Africa, cambiano soltanto le divise, il male è incurabile, la faccia di Henri Alleg potrebbe essere la tua. Ma lui ha vinto. Ne parlo con P:erre Vidal Marquet. Insegna Storia romana all'Università, ma ha pubblicato un saggio su questo problema, che è sempre maledettamente vivo. « Nell'Europa occidentale », spiega, « nel secolo scorso non si è torturato. Che cosa è accaduto? Le insurrezioni hanno preso un carattere di massa, e anche la repressione si è adeguata. Sono le ideologie stesse che prendono un aspetto totalitario. Si può torturare quando si crede di aver ragione, e sono molti coloro che ritengono di essere depositari della verità. E quando si è iutori di una certezza, si ha la tendenza ad imporla a chi non la riconosce. Ecco perché ci sono fenomeni di tortura legati anche all'idea che la gente si fa della rivoluzione ». « Ci sarebbe molto da dire sulla psicologia della giustificazione. Esistono diverse tappe. Si comincia col negare; si dice: " Non è vero ". Poi si ammette che si tratta di semplici incidenti, casi arbitrari, sempre repressi e condannati. Poi si afferma che il nemico adotta metodi molto più barbari, ed è quindi un espediente condannabile ma necessario per reprimere gli attentati. Una specie di fuga davanti alle parole ». « Ecco un episodio che racconto spesso; mi sembra indicativo. Francia, 1957, naturalmente. C'è un giornalista cattolico che ha preso posizione per il diritto degli algerini all'indipendenza. Va a trovare un vescovo e gli dice: " Monsignore, sa quel che sue cede? Sa che in Algeria si ap plica la tortura? " ». « Il vescovo, una persona molto degna, ex combattente, risponde: " Non posso pensare una cosa simile dell'Esercito francese; io ne ho fatto parte, e non ci credo " ». « " Bene " insiste il giornalista. " Lei amministra un grande seminario; andiamo ad interrogare i futuri preti ". E il vescovo, molto solennemente, si rivolge ai giovani: " Figli miei, c'è qualcuno tra voi che in Algeria ha assistito ad una scena di tortura? ". La risposta è: " No ". Allora interviene il giornalista: "Nessuno, tra voi, è stato presente ad un interrogatorio? ". Non so quante mani si alzano. " Potete dirci cosa succedeva? ". " Si prendeva il sospetto, lo si spogliava, gli si metteva un elettrodo sulla lingua e un altro, mi scusi, Monsignore, sul sesso, si faceva passare la corrente e il detenuto parlava " ». « Sono storie accettate con tolleranza. Riguardano sempre un altro, e può essere chiunque, l'algerino, che è un altro per definizione, può essere il vietnamita, che ha anche il vantaggio di essere lontano, può essere perfino un imbroglione che appartiene ad un'altra società, diversa da quella degli onesti. Per avere dei casi di rigetto, di sdegno, bisogna che il perseguitato appartenga in un certo modo alla stessa categoria sociale di quelli che lo torturano. Che sia, insomma, uno dei nostri ». La sociologia, la psicologia, la scienza spiegano quasi tutto: come si vede, anche l'indifferenza, o lo spirito di legittimità di cui è pervaso Caino, che, in qualche momento, si presenta addirittura nelle vesti del salvatore, e sempre dell'idealista. Ha inventato anche un linguaggio: in gergo militare si dice « assumere informazioni », in linguaggio giuridico o poliziesco « porre delle domande »; « torturare » è un verbo che si coniuga soltanto riferito agli altri. Enzo Bìagi