Riforma costituzionale varata dall'Assemblea di Alberto Cavallari
Riforma costituzionale varata dall'Assemblea Francia: presidenza da 7 a 5 anni? Riforma costituzionale varata dall'Assemblea La proposta di Pompidou è passata con 270 voti contro 211 - Al Senato dovrà ottenere un margine maggiore - In caso contrario, la situazione potrebbe essere forzata con un referendum (Dal nostro corrispondente) Parigi, 17 ottobre. Una maggioranza scarsa (270 voti contro 211) ha approvato la notte scorsa all'Assemblea nazionale il progetto di riforma costituzionale di Pompidou sulla riduzione del mandato del presidente della Repubblica da sette a cinque anni. Il progetto di legge passa domani al Senato, che lo di- scuterà immediatamente in una seduta che appare delicata e decisiva, dato che ieri non sono stati raggiunti i due terzi dei suffragi (288) necessari al Congresso perché la riforma sia approvata. Se al Se nato si ripetesse lo stesso risultato non resterebbe al governo che scegliere tra la rinuncia e la sconfitta, o forzare la situazione con un referendum. Ma può darsi che il Senato sostenga Pompidou meglio dell'Assemblea per cogliere finalmente l'occasione di contare di più e di conquistare il ruolo di «aula» decisiva per le sorti della presidenza pompidoliana. La cosa nuova è che (come previsto) i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione sono stati rimescolati dal rischioso tentativo di riforma costituzionale. L'opposizione francese (comunisti, socialisti e radicali di sinistra) era apparsa cristallizzata su 181 voti in occasione del recente dibattito sulla censura. Oggi essa appare invece gonfiarsi per l'apporto di altre forze (gollisti compresi) che ne rompono il classico isolamento. Rende chiaro come il potere pompidoliano abbia in sé una potenziale fragilità quando scoppiano certi temi critici del regime gollista. Contro la riforma Pompidou hanno votato 73 comunisti su 73; 102 socialisti su 102; 3 gollisti (Couve de Murville, Offroy, Palewski), 8 su 14 del gruppo «non iscritti», 25 su 34 riformatori. Si sono astenuti riformatori. Si sono astenuti 6 gollisti, tra cui Debré, e un tori hanno votato a favore con 172 gollisti su 182. Sono stati compatti (30 su 30) in favore di Pompidou i deputati dell'Unione centrista governativa. Per Pompidou anche 55 repubblicani indipendenti. Questo specchietto non rende però il clima dello scontro che è stato soprattutto una battaglia tra le diverse correnti golliste, sovrastata da Couve de Murville che ha raccolto molti applausi nella sua sfida a Pompidou in nome dell'ortodossia golliana. Ciò non toglie comunque che, dalle sue tensioni interne, il gollismo sia stato portato a collusioni con l'opposizione di sinistra che parevano impensabili. Pompidou ha già detto più volte di «volere andare fino in fondo». Ma se il Senato non gli verrà in soccorso, si espone a un grosso e prevedibile rischio insieme al governo Messmer. Quest'ultimo si è salvato una settimana fa dalle dimissioni che la mozione di censura voleva provocare perché l'opposizione non raggiunse i 246 voti necessari. Ma un'opposizione aumentata a 211 voti rappresenta un problema politico che non si potrà ignorare. Il governo, dopo il Consiglio dei ministri di oggi, ha minimizzato il voto contrario e l'astensione di Couve e di Debré (due ex primi ministri gollisti) dicendo che «la coesione della maggioranza è stata notevole». Un portavoce ha detto che le ipotesi giuridiche che ora si possono presentare sono: ritiro del progetto (se il Senato non raggiunge i due terzi), convocazione del Congresso a Camere riunite, oppure referendum. Ma questa soluzione — che non sembra dunque abbandonata — è contrastata da molti giuristi che giudicano il referendum improponibile per una legge d'iniziativa governativa che sia stata sconfitta. Il Senato inizia la discus stione domani alle 15. La legge è stata approvata stamattine nell'attuale redazione gover nativa dalla sua Commissione legislativa. Deve però essere affrontato il problema degli emendamenti che il governo ha rifiutato all'Assemblea. Per il sistema pompidoliano sarà certo una giornata difficile, anche perché la posizione presa dalla Francia verso la guerra mediorientale trova dissenzienti i gollisti filoisraeliani e i riformatori. L'Assemblea nazionale ha infatti oggi affrontato anche questo tema spinoso in un dibattito immediatamente seguito all'altro. Quasi tutti gli ambasciatori arabi a Parigi e l'ambasciatore israeliano han no assistito alla discussione, conclusa da un intervento del ministro degli Esteri Jobert che, per addolcire le recenti dichiarazioni filoarabe, le ha bilanciate con la seguente di chiarazione: «Israele non sparirà. Il riconoscimento dello Stato d'Israele formulato alla sua nascita c'impegna sempre e definitivamente». ■ Il Ministro Jobert ha però confermato che, quanto alla fornitura d'armi, la Francia continuerà a seguire la formula àeWEmbargo del '67, che si riferisce solo ai Paesi che allora scesero in guerra. Non si è impegnato cioè a far cessare l'invio di armi all'Irak, all'Arabia Saudita, e alla Libia. Alberto Cavallari
Persone citate: Messmer, Palewski, Pompidou
Luoghi citati: Arabia Saudita, Francia, Israele, Libia, Parigi
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