"Socialismo" del Corano di Alberto Ronchey

"Socialismo" del Corano TRA MITI E PETROLIO "Socialismo" del Corano Poiché nella diaspora il popolo ebreo venne a esser filtrato dall'Occidente, è lo stesso successo economico e tecnico d'Israele che appare detestabile agli arabi, come opera dell'Occidente e intrusione di civiltà. Ma è una semplificazione mitica l'immagine della « ricchezza israeliana » contro la « povertà araba ». Dalla più completa raccolta di testimonianze sulla guerra del 1948 (O Jerusalem di Lapierre e Collins) risulta manifesta la estrema povertà di mezzi con la quale all'origine, nell'epoca di Ben Gurion e Glubb Pascià e Abdullah re di Transgiordania, Israele affrontò la sua prima e tragica prova contro gli Stati arabi, allora tutti guidati da ricchi sovrani feudali. E inoltre dall'Iraq all'Arabia Saudita, dalla Libia all'Algeria, s'è esteso poi il boom del petrolio arabo. Ora accade che Feisal d'Arabia, sovrano teocratico regnante fra moschee e pozzi petroliferi (il 24 per cento delle riserve mondiali), possa minacciare d'un blocco del petrolio greggio il gigante americano se invierà armi a Israele come l'Urss soccorre i siro-egiziani. E gli eserciti arabi possono allineare mezzi corazzati a migliaia, aerei a migliaia, insieme con le armi della più costosa tecnologia contemporanea: i missili « Sam 6 ». Beati pauperes. Dinanzi a tre milioni di israeliani, centoventi milioni di arabi vivono su 11 milioni di chilometri quadrati, un territorio un po' più grande dell'Europa, che dispone delle massime risorse petrolifere nel momento in cui il mondo industriale può essere paralizzato se il flusso di greggio s'arresta. La regione araba è giunta troppo tardi (nell'età della inflazione umana gravante sulla terra) alla ricerca d'un surplus agrario come fattore accumulativo per l'industrializzazione; ma il petrolio a prezzi crescenti e le royalties del petrolio, oggi ben maggiori del 50 per cento, possono essere per gli arabi quel fattore di accumulazione che Ricardo e Marx videro già in Occidente nel surplus agrario. Le risorse naturali dovrebbero colmare quel ritardo della storia araba, che lo stesso Gamal Abdel Nasser illustrò in un celebre discorso per il giubileo dell'Università del Cairo: « // popolo arabo non ha partecipato a due degli sviluppi più importanti che hanno segnato il destino dell'umanità, quelli successivi alla macchina a vapore e all'energia elettrica. Mentre il mondo entrava nell'era del vapore, noi vivevamo ancora sotto il dominio di fantasmi medievali; all'inizio dell'era dell'elettricità, avevamo appena cominciato ad allontanarci da quelle illusioni. Fino a oggi, noi abbiamo vissuto sulle invenzioni altrui, con poche eccezioni. Non è più possibile, come arabi, compiacerci per aver salvaguardato la scienza e la civiltà nel momento in cui l'Europa era sommersa dalle tenebre del Medioevo, per trasmettergliene l'eredità più tardi, all'alba del Rinascimento, e cadere a nostra volta in un sonno profondo... ». Tuttavia la difficoltà dello sviluppo deriva oggi dall'immane sperpero di plusvalore distrutto con quattro guerre in un quarto di secolo. Ciascuno degli Stati arabi possiede alcuni presupposti dello sviluppo: Algeria, Arabia Saudita, Libia e Iraq hanno il petrolio, l'intero Maghreb è tra i massimi esportatori di minerali ferrosi, l'Egitto ha il Canale di Suez e il Nilo e il cotone. Ma lo sperpero di risorse è tanto più drammatico in quanto il mondo arabo ha uno dei più alti tassi di natalità: 50 per mille ogni anno, 6 o 7 figli per famiglia. L'aumento della popolazione è del 2,5 o 3 per cento l'anno, e questo significa che la popolazione si raddoppia in una generazione. Il demografo Sauvy ha osservato che il mondo arabo «combina il tasso di mortalità dell'Europa attorno al 1880 con un tasso di natalità che fu raggiunto solo nei migliori periodi del Medioevo », e tale combinazione « forma una miscela esplosiva ». Il reddito medio per abitante diminuisce, poiché il denominatore aumenta più del numeratore. * ★ Un altro mito è l'idea d'una sola « nazione araba » e d'una sola « razza ». Vi è una storia comune e unità di lingue; gli etnologi denunciano tuttavia l'errore frequente di considerare arabe anche dal punto di vista antropologico le numerose popolazioni di lingua araba. Ma i miti non indietreggiano; dopo il congelamento dei rapporti russo-egiziani nel¬ l'estate del 72, Mohammed Hassanein Heykal, già portavoce di Nasser, pubblicò su Al Abram con sdegnati commenti un rapporto del pcus, nel quale si osservava: « Non esiste nulla di qualificabile come nazione araba, si tratta verosimilmente d'una nazionalità in formazione, sarebbe falso parlare d'una nazione già formata ». La stessa insufficienza del concetto di « nazione araba » e del panarabismo, strumenti del potere o delle ambizioni talvolta contrastanti d'alcuni governi, ha suggerito la formulazione di quella dottrina complementare che va sotto il nome di « socialismo musulmano » o « socialismo nazionale arabo ». Nasser propugnava come socialismo uno statalismo che riflettesse in qualche misura i principi dell'Islam di Maometto e dei primi califfi, specialmente Abu Bakr e Omar. Ma esistono nelle prescrizioni dell'Islam (il Corano, la Sonna, le tradizioni postcoraniche) basi sufficienti per tale reinterpretazione socialista? Secondo la scuola algerina di Huari Bumedien, che formula i suoi proclami « a nome del Dio clemente e misericordioso», è sicuramente possibile. Anche il libico Muammar el Gheddafi, presidente del Consiglio rivoluzionario di Tripoli, giudica possibile un « socialismo dal volto arabo », ispirandosi all'egualitarismo della tribù beduina e all'eguaglianza musulmana dinanzi a Dio: « Il bottino che Dio ha fatto trarre al Profeta dalla popolazione appartiene a Dio, al suo inviato, agli orfani, ai poveri, al viaggiatore, affinché non divenga monopolio dei ricchi » (Sura 59, versetto 7 del Corano). Ma studiosi come il marxisti Maxime Rodinson lo pongono in dubbio. Nonostante i versetti coranici sulla prescrizione della solidarietà, non più socialistici degli analoghi precetti comuni alle tradizioni profetico-rabbiniche, al cristianesimo e al buddhismo, il Corano e la Sonna in realtà regolano l'eredità, considerano con favore l'attività commerciale, il profitto, il mercato, non contestano la proprietà privata e giungono a definire il lavoro salariato come un caso di « affitto ». Il potere di mobilitazione ideologica dell'Islam arabo è assai più xenofobo che socialista, diversamente dalla forza « mobilitatrice laica » del marxismo, così come le gerarchie arabe sono più ricche che povere. Ma potere e gerarchie non cessano di tendere verso uno di quegli « urti violenti di civiltà », che nella storia sono stati sempre tragici e a lungo termine, come osserva Fernand Braudel, « si sono rivelati per lo più inutili ». Alberto Ronchey