Anacreonte di Cherubini in un "festoso" recupero

Anacreonte di Cherubini in un "festoso" recupero Per la stagione d'autunno all'Auditorium Anacreonte di Cherubini in un "festoso" recupero L'opera-balletto diretta da Gabriele Ferro con il cast di Siena La consueta stagione autunnale di concerti sinfonici offerta dalla Rai ha avuto inizio con la ripresa dell'opera-balletto in due atti di Cherubini Anacreonte, in esecuzione da concerto, ch'era stata riesumata — è proprio il caso di dirlo — due anni or sono a Siena. In occasione di quella esecuzione l'opera, che a Parigi nel 1803 era crollata in modo catastrofico, riscosse un mucchio di elogi. E' l'inevitabile, reazione del nostro tempo agli insulti di cui Cherubini era stato gratificato dagli artisti romantici. Ma, anche a prescindere dall'idiozia del libretto di un certo Mendouze, il fondamentale accademismo dell'arte di Cherubini imprime una patina di burocratica monotonia sopra una partitura implacabilmente ben scritta, scolasticamente esemplare, nelle cui geometriche disposizioni si attende invano qualche pizzico di geniale follia. E sì che, oltre al magistero della scrittura musicale, e oltre a un paio di tempi di marcia, reminiscenti dei recenti canti rivoluzionari francesi, non si contano le pregnanti anticipazioni dell'avvenire romantico a cui andava incontro la musica. La frequente «cifra» beethoveniana dell'orchestrazione raggiunge un caso quasi sbalorditivo di coincidenza anche tematica col largo cantabile dei violoncelli durante il quartetto vocale del secondo atto: il riferimento alla futura Pastorale è impressionante, con quella euforia di apertura melodica nella contemplazione del creato e nello slancio della gratitudine verso il Creatore. La graziosa romanza di Amore, probabilmente il più bel pezzo vocale dell'opera, è indicativa della situazione storica di Cherubini, con un piede nel Settecento e uno nel secolo seguente: è una «bergerette» di gusto arcadico, alla Watteau, che nello stesso tempo trova già i toni e la caratterizzazione della ballata romantica. L'uso ricorrente dei tre temi dell'ouverture — bella, certamente, ma è un po' forte definirla «capolavoro sinfonico... uno dei più grandi monumenti dell'architettura musicale» — l'uso ricorrente dei suoi tre temi, dunque, fa ascrivere anche questa insulsa operina galante alla «preistoria del Leit-Motiv wagneriano », come scriveva il Confalonieri, strenuo esaltatore delle virtù cherubiniane. A lui si deve pure il sagace accostamento di questa oleografia arcadica con l'altissima poesia goethiana Anakreon's Grab e il tentativo di attribui¬ re a Cherubini qualche elevata intenzione nei riguardi del suo futile personaggio, da intendersi non già come un vecchio gaudente, bensì come un campione di contemplazione della bellezza apollinea. Tutte belle cose, che restano però sulla carta e fanno la gioia degli studiosi, ma non attenuano la monotonia dei lunghi bassopiani di luoghi comuni che intercorrono tra rari scatti d'originalità creativa. (Un biografo tedesco del compositore non teme di assicurarci che «qui Cherubini appare come un melodista di primissimo piano e non teme confronti con nessuno, neppure con Mozart»!). Per questo ricupero culturale la Rai ha usato in gran parte il cast che già l'aveva difeso a Siena: il tenore Bonisolli, ora più misurato che due anni or sono; il soprano Valeria Mariconda, la cui vocina si addice al personaggio di un Cupido che sembra Pierino la peste; il tenore Carlo Gaifa nella parte di Batillo. Il soprano Iosella Ligi tiene onorevolmente la parte femminile principale, che a Siena era stata della Ricciarelli. Le altre sostituzioni funzionano ir modo soddisfacente: il soprano Francina Girones come prima schiava, il mezzosoprano Bianca Maria Casoni come seconda schiava e come Glicera; Dora Carrai in quella parte di Venere, che consiste d'un solo recitativo, ma molto significativo del «gluckismo» di Cherubini; il soprano Lorenza Canepa, che dà una bella voce spiegata al personaggio di Atenaide. Senza essere proprio un capolavoro di precisione, l'esecuzione, diretta con foga e convinzione dal maestro Gabriele Ferro, si è largamente avvantaggiata, rispetto a Siena, nella qualità orchestrale. Al coro spetta, in quest'opera, una delle pagine più belle, il poderoso invito alla danza per festeggiare Anacreonte, passo che vuol essere, secondo la prescrizione dell'autore, nientemeno che «bruyant»: e infatti raggiunge una potenza grandiosa, quasi trionfale, perfino eccessiva per la lieve galanteria della situazione. Il coro della Rai, ancora una volta nella mano sapiente del maestro Maghini, ha reso a dovere la potenza quasi «russa» di questa pagina magistrale, m. m.

Luoghi citati: Parigi, Siena