Il passato mitico di Remo Cantoni

Il passato mitico L'antropologia di Lévy- Bruhl Il passato mitico Lucien Lévy-Bruhl: «La mitologia primitiva », Newton Compton Italiana, pagine 303, L. 1300. Nella cultura del nostro tempo convivono e si intrecciano, con alterna fortuna, due opposte e vivaci correnti: il flusso della cosiddetta demitizzazione, che ci proviene da sorgenti europee razionalistiche, illuministiche e positivistiche, e il riflusso, tipicamente romantico e spesso extraeuropeo, della riabilitazione esistenziale del mito e delle sue copiose propaggini. Gli eredi di Voltaire — per restare nell'ambito di una storia recente — ostracizzano come illusione o inganno maligno la coscienza mitica e tutto il suo vasto retaggio di pensiero fiabesco e tradizionale, magico e mistico, utopistico e religioso. I moderni seguaci di Vico riscoprono nel mito una vocazione perenne dell'uomo, una funzione indelebile che testimonia l'esigenza metafìsica costante di risalire ai fondamenti, agli archetipi, ai significati e ai valori ultimi dell'esistenza, senza lasciarsi intimidire dai divieti di transito messi in opera dagli scientisti più intransigenti. L'elemento forse nuovo, che affiora oggi sempre più insistente, è il rifiuto di porre il problema in termini drasticamente alternativi. Emerge una volontà di non naufragare, una volta ancora, nelle secche di una opzione mal posta, di un aut aut sterile. ★ ★ In questa aggrovigliata situazione di cultura, la comparsa in lingua italiana dei più famosi testi di Lucien Lévy-Bruhl è una occasione stimolante per approfondire la fin troppo vexata quaestio e trarla fuori dal vicolo cieco in cui rischia di stagnare. Non si tratta più di idoleggiare la superbia delVhomo faber a spese del polimorfo animai symbolicum, tutt'altro che pago dei suoi strumenti e delle sue tecniche. E ancor meno attuale mi sembra il ripudio anacronistico della scienza e dei suoi ben collaudati metodi, per abbandonarsi al nostalgico richiamo della melodia o della litania mitiche. II problema è piuttosto quello di non estinguere una funzione viva nell'economia del nostro equilibrio psichico e morale. Di Lucien Lévy-Bruhl (18571939), grande storico della filosofìa, antropologo e sociologo di fama mondiale, ben quattro opere erano già apparse in traduzione italiana: L'anima primitiva (1948), / Quaderni (1952), La mentalità primitiva (1966), Psiche e società primitive (1970). Una quinta si aggiunge ora, La mitologia primitiva (1973), scritta dall'autore negli ultimi anni della sua lunga e fecondissima vita. La maggior parte dell'opera di Lévy-Bruhl antropologo è ormai accessibile nella nostra lingua, né il fatto è casuale, poiché si accompagna alla imponente rinascita delle « scienze dell'uomo » e alla animata e, in parte almeno, animosa querelle sorta tra gli studiosi italiani, a proposito del significato e del valore di tale opera. II promotore o il maggior responsabile del dibattito fui io stesso, avvocato difensore dell'antropologia culturale e di Lévy-Bruhl in un mio libro edito nel 1941 e più volte ristampato. Studiosi di etnologia, storici delle religioni, storici delle tradizioni popolari, antropologi non ancora culturali, sferrarono duri colpi in quello scambio di idee. Ma quella battaglia di idee fu benefica per la pubblica accusa e per gli imputati. * ★ Quella accesa e movimentata discussione, in cui Ernesto De Martino recitò molto bene una parte di primo piano, non metteva in causa soltanto la figura, ormai classica, di LévyBruhl, ma investiva anche la sorte dell'antropologia, dei suoi metodi di lavoro, delle sue finalità. I grandi temi del mito e della demitizzazione, della fisiologia e della patologia del mito, delle sue funzioni e disfunzioni, già contenuti in embrione nel pensiero di LévyBruhl, si ampliavano e approfondivano coinvolgendo i confronti tra varie civiltà, le tecniche per istituire i paragoni fra culture diverse e diversi modi di essere nel mondo. La nostra stessa civiltà moderna si vedeva costretta a un esame di coscienza, non potendo più assumere se stessa come pietra di paragone. La critica o autocritica del nostro orgoglioso «etnocentrismo» segnava la nascita di una antropologia moderna che prendeva le sue distanze dall'etnografia. Cosa sostiene Lévy-Bruhl nella Mitologia primitiva? Egli analizza soprattutto i miti dell'Australia e della Nuova Guinea con una ricognizione atten¬ tissima di tutta la letteratura sull'argomento. I miti primitivi ci trasportano in un tempo favoloso e immaginario in cui gli esseri umani subivano le più strane metamorfosi, trasformandosi in animali o ridiventando uomini. Il mito ci trasporta in un Grande Tempo, in una storia esemplare e rivestita di un prestigio religioso, in una realtà significativa, paradigmatica e creatrice. I miti raccontano le avventure di personaggi semiumani e semianimali che sono, quasi sempre, gli antenati dei gruppi umani e animali che esistono attualmente. « Essi raccontano », riferisce Lévy-Bruhl, « le marce e le contromarce di questi eroi attraverso il Paese, la cui configurazione o almeno gli accidenti più salienti sono loro opera, e dove la maggior parte delle volte essi finiscono coll'incorpararsi al suolo, sotto forma di roccia o d'albero. Tutti questi miti si collocano in un periodo originario, prima del quale non v'era nulla. Questo periodo si trova, per così dire, sopra e fuori del tempo. Gli esseri e gli oggetti si trovavano in uno stato di mobilità e di " fluidità " perpetue. Le trasformazioni più stravaganti vi si compivano in un batter d'occhio, senza la minima difficoltà. Nessuna era esclusa in partenza come impossibile ». Nei miti si manifesta una esigenza metafìsica. I simboli e gli archetipi del mito soddisfano richieste di fondamenti, di valori, di modelli, di significati che, ancora oggi, non sono scomparsi dalla mens dell'uomo moderno. I personaggi del mito sono la sorgente della vita e a questa radice dell'esistenza occorre partecipare per continuare a esistere. Per gli indigeni i miti non sono finzioni o fiabe, sono racconti sacri, imparentati con i sogni, i presagi, la divina¬ zione e tutto ciò che rivela la presenza e l'azione di forze invisibili. Questa storia sacra ci porta in una atmosfera soprannaturale che, tuttavia, penetra nella natura. I motivi del mito sappiamo che sopravvivono nel folklore di società molto diverse, nelle fiabe e nei racconti popolari, con la tendenza a passare dal sacro al profano. Ci sarebbe in noi, secondo Lévy-Bruhl, una nostalgia profonda o inconscia per questo mondo perduto e represso. Gli studi più recenti di Jung, Kerényi, Eliade sono, in parte, convergenti con le ricerche di Lévy-Bruhl. Il mito, insomma, non ci appare più oggi come debolezza, aberrazione o espressione immatura e degenere dello spirito. Esso è, invece, fons vitae, immaginazione creatrice che aiuta l'uomo a superare i propri limiti e a costruire esemplari o modelli di cui non può e non vuole fare a meno. La coscienza fabulatrice, pur nella sua ambiguità pericolosa, è anche una fabbrica inesauribile di sogni e ideali che ravvivano il senso e il gusto dell'esistenza. Come il sogno o l'ideale il mito esplica una sua insopprimibile funzione. Remo Cantoni

Luoghi citati: Australia, Nuova Guinea