Prigioniero dei Borboni

Prigioniero dei Borboni Prigioniero dei Borboni Gioacchino Toma: «Ricordi di un orfano », a cura di Aldo Vallone, Mario Congedo editore, pag. 128, lire 1300. « Entrato così in una vita, non dissimile da quella di tante altre oneste persone, fo qui finire i miei ricordi; che ho scritto solo perché, leggendoli, mio figlio ne tragga esempio ad affrontare con coraggio le vicende della vita »: così si concludono i Ricordi di un orfano, che Gioacchino Toma, il noto pittore della scuola napoletana, pubblica nel 1886, pochi anni prima della morte avvenuta nel 1891. Le parole con cui il Toma finisce il suo racconto sono un'indicazione umile ma preziosa delle ragioni che guidano gli uomini dell'Ottocento a scrivere le proprie memorie. Rievocare e narrare le proprie esperienze umane è, anzitutto, utile: il lettore, che il Toma identifica nel figlio, se ne può arricchire, mentre, al tempo stesso, il memorialista ha la coscienza di portare il proprio, pur limitato e parziale contributo all'illustrazione e al chiarimento della storia, che non è fatta di grandi gesta o di imprese collettive, ma della somma di concrete vicende individuali, nelle quali si rifrangono e acquistano precisione, verità, vivacità, umano realismo i grandi eventi in cui, per qualche parte, chi scrive è stato coinvolto: guerre, cospirazioni, vita politica, nel tempo convulso e critico delle lotte per l'unificazione italiana. E' un'idea della memoria del tutto opposta a quella che avrà il Novecento (per l'Italia, a partire dal D'Annunzio de II secondo amante di Lucrezia Buti): lotta contro il tempo per salvare in qualche modo irripetibili momenti o episodi di vita, rifugio e compiacimento dello scrittore nel proprio passato, che si aliena totalmente dalla storia anche quando le memorie riguardano eventi storici (e basterebbe, a questo proposito, ricordare le opere memorialistiche sulla prima guerra mondiale di un Gadda, di un Soffici, di un Nannetti); oppure, nei casi di memorialisti che non sono scrittori, per così dire, di professione, non di testimonianze si tratta, ma, semplicemente, di autodifese o di autoapologie, come dimostrano le infinite serie di memorie di protagonisti della storia recente del fascismo e della seconda guerra mondiale. I Bicordi del Toma, poi, vengono meno a quello che oggi ci appare come un canone necessario delle memorie di un artista: sì, raccontano tutta la lunga odissea del ragazzo e del giovane, rimasto orfano nell'infanzia, presso che abbandonato dai parenti duri, aridi, indifferenti, avari, preda di malattie che lo conducono quasi alla tomba, perfino perseguitato dalla polizia borbonica, che a torto lo sospetta liberale e cospiratore, segnalano le prime manifestazioni della vocazione del pittore, ma si arrestano proprio nel momento del successo, del quale, anzi, tacciono completamente. Non c'è, quindi, nessuna intenzione apologetica in queste memorie: lo schema narrativo della giovinezza misera e difficile dell'artista che sboccia nella fortuna, nel successo, nel benessere della maturità, è clamorosamente tradito. II fatto è che, appunto, il contributo individuale alla storia comune, per il Toma e per i memorialisti dell'Ottocento, si raccoglie essenzialmente nei fatti che rappresentano un'esperienza « diversa», singolare, non in quelli che sono comuni, normali, e sono, quindi, destituiti di esemplarità. Di questi eventi « diversi » il Toma è narratore rapido, essenziale, vivacissimo, che nulla concede al patetico, neppure nella descrizione della morte della madre davanti ai suoi occhi di bambino: la tragedia è rievocata con sobrietà estrema, che la rende più grandiosa e disperata. Due sono i momenti intorno ai quali si raccoglie più intensamente l'attenzione del memorialista: la infanzia e l'adolescenza, trascorse a Galatina (presso Lecce, luogo di nascita del Toma) e Napoli; e la partecipazione all'impresa garibaldina. Ci sono episodi di straordinaria evidenza: la crudele vendetta di Toma bambino contro un monaco angariatore, al quale devasta completamente e imbratta la cella e tutto quello che c'è dentro; le bravate durante il periodo costituzionale del 1848; il tempo trascorso nel convento dei monaci cappuccini, che culmina con la descrizione dei monaci contrabbandieri di tabacco, che, avvertiti di una sorpresa della polizia, si affrettano a nascondere la merce. Di grande secchezza e incisività, che non sono mai disgiunte dal gusto della valutazione morale, tuttavia sempre discreta, lontana da ogni insistenza o prevaricazione, è la qualità dello stile del Toma: che non indulge mai al pittorico o al pittoresco, come accade a tanti altri pittori-scrittori, neppure negli episodi più curiosi, come quello citato dei frati contrabbandieri e quello della cattura, con un buon numero di patrioti, da parte della polizia borbonica che mette in carcere, per errore, il giovane Toma, poi lo trattiene a lungo con cavilli. Ma le pagine più note di questi Ricordi di un orfano sono quelle che descrivono l'esperienza di garibaldino del Toma: arruolatosi, dopo la conquista di Napoli da parte di Garibaldi, in un reparto destinato a occupare Isernia e la regione del Matese, dopo un combattimento nel quale i garibaldini hanno la peggio viene preso prigioniero dai contadini unitisi alle forze borboniche, e per più giorni è portato in giro per le campagne e i paesi, per essere mostrato alla gente, sempre con il rischio di essere massacrato dalla folla ferocemente antigaribaldina Alla fine, è liberato dall'esercito piemontese, e può ritornare a Napoli: ma il ricordo dei pericoli, delle angosce del soldato solo nel territorio nemico, in preda a un folle terrore, trascinato come una bestia davanti alla folla furiosa, costretto ad attraversare luoghi impervi e selvaggi, detta al Toma pagine fra le più semplici, antiretoriche, limpide e drammatiche di tutta la memorialistica risorgimentale. G. Bàrberi Squarotti

Persone citate: Aldo Vallone, Borboni, D'annunzio, Gadda, Gioacchino Toma, Lucrezia Buti, Mario Congedo, Nannetti, Squarotti

Luoghi citati: Galatina, Isernia, Italia, Lecce, Napoli