I "compagni" di Lucentini di Lorenzo Mondo

I "compagni" di Lucentini I "compagni" di Lucentini Franco Lucentini: «Notizie degli scavi», con un racconto-prefazione di C. Frutterò, Ed. Mondadori, pagine 217, lire 2600. Scritti nel giro di una ventina d'anni e pubblicati sotto il titolo del più recente, i tre racconti di Franco Lucentini non hanno nulla di occasionale e giustapposto, sono legati anzi da piena coerenza e progressione, stilistica e morale. Prendiamo La porta, del 1947. Una Roma di guardie e ladri, di vicoli e gatti, al tempo dell'occupazione alleata: al centro una prostituta che, travolta dalla « nausea », decide di rintanarsi per sempre in una cantina, al riparo da ogni distrazione e consolazione, a guardare la porta che conduce in un più scuro e fondo ricetto: « Non so che cosa aspetto. Ma aspetto che tutto questo si rompa. Qualunque cosa. Un urlo, una crepa, qualche cosa. Qualcuno... ». Partiti dall'apparente referto realistico di un angolo d'Italia minore, ci accorgiamo che miseria, sesso e violenza valgono soprattutto a rappresentare l'assurdo della condizione umana, l'incomunicabilità dei sentimenti, 1 impossibilità di rapporti che non siano mortificanti e oppressivi. Scelta estrema, quella dei- la prostituta, e compensa in parte le inappagate propensioni in- j cestuc verso il fratello. Ma se l'incesto deve sollevare la « battona » in luce di tragedia, è anche il segno di una solitudine feroce, di una volontà di comunicare almeno con il proprio « doppio ». La cantina infine si popolerà, giungeranno come topi immondi i rappresentanti del mondo di fuori — dell'autorità, del perbenismo, delle illusioni ipocrite — imporranno anche laggiù il loro ordine. E' un tratto di polemica antiborghese, il racconto sembra esaurire nel suo breve arco il ciclo di un certo esistenzialismo dalla metafisica all'etica, dall'angoscia individuale alla solidarietà operosa con gli altri. Il discorso parrebbe avvalorato dal titolo del secondo racconto, / compagni sconosciuti, che è del 1950 e inaugurò la fortunata collana dei « Gettoni » vittoriniani. Ma è un titolo trabocchetto, sviante o addirittura polemico nei confronti di certo engagement. Nella Vienna dell'immediato dopoguerra, diroccata e spartita dai vincitori, Franco (malato, senza un soldo, ferito durante un'impresa di contrabbando, amareggiato dal ricordo di una donna che lo ha piantato), riesce a trovarli i « compagni » che lo strappano al suicidio, lo aiutano a guarire. Sono la signora Kuhnl, che gli affitta per niente la camera e arranca tutto il giorno con la sua gamba storta a vendere giornali sui tram; il soldato russo Dagnìl, vaga figura dostoevskjana, stanco dell'uniforme, inquieto per la famiglia clandestina: il piccolo Petruscia, e Mania, dalla bellezza sopita nei patimenti del lager. Le viscere della città, l'enorme scantinato che è Vienna rinserrano anche questi esseri miti e soccorrevoli. Parlano ceco, russo, tedesco, polacco e questa babele linguistica, che fa saltare la patina romanesca del primo Lucentini, conferisce fascino e allusività. Franco lascerà i « compagni sconosciuti ». La risposta positiva della realtà è illusoria, già sente dentro di sé un'insorgente stanchezza, la noia, forse la capacità di nuocere, l'innocenza impossibile. L'immagine della porta torna a calare sul racconto: « Qualche cosa che si chiudeva, finiva. Come una porta aperta un momento, che adesso già si rinchiude, e uno non sa più chi c'era, dall'altra parte; non sa più che dire, mentre la porta si continua a chiudere ». Dei tre, continua a essere il racconto che prende di più, nonostante e proprio in forza dell'abbandono sentimentale, della non programmatica ambiguità, dello scontro, a tratti straziante, fra disperazione e speranza che indoviniamo proseguire oltre i tramiti del testo. Con Notizie degli scavi siamo ormai al 1964 e al bilancio provvisorio, come lascia intendere il titolo, del lavoro di Lucentini: dove traspare una inedita disposizione allo humour, a munire il grottesco di ali leggere. Da Vienna si torna a Roma, la più degradata e vulvare, e penso indistintamente alla casasquillo e alle rovine di Villa Adriana che sono i due poli ambientali del racconto, certo il più ambizioso e costruito. Il protagonista è un garzonetuttofare della «casa», un semideficiente sottoposto a infinite vessazioni, delle quali, però, vuole darsi ostinatamente ragione, farfugliando un suo linguaggio estremamente circoscritto, un po' stralunato per il torrentizio uso dei «che», oggettivi e relativi. Un giorno, gli accade di visitare a Tivoli i ruderi romani, apprende dall'opuscolo illustrativo che tutto è malcerto in quegli «scavi», che si ignora non soltanto l'età ma i tratti originari e la funzione degli ipotetici edifici. Al ritorno in bus, anche i casali della campagna romana gli sembrano fantomatici. E' l'illuminazione. Quel rimestare il nulla, promosso dai dotti, recintato dai potenti è il simbolo di un caos universale, di un assurdo al quale nessuno può sottrarsi. Il «professore», come viene beffardamente chiamato alla «maison», si sente promosso e nobilitato dal suo stato subumano, acquista ardire e confidenza in se stesso, si apre inopinatamente all'amore. Il Lucentini di sempre ci ritorna protetto da questa luce di ironico distacco. Non più così remoto dal sorridente exploit (Frutterò aiutando) della Donna della domenica. Il quale Frutterò conserva anche qui il nome «in ditta» con un raccontoprefazione tutto da godere, tramato di scintillante insolenza, di straordinaria capacità mimetica. 11 Ritratto dell'artista come anima bella è un'affettuosa, divagante presentazione di Lucentini, di un intellettuale cioè maturato a cavallo della guerra; e insieme la storia di un sodalizio, delle comuni predilezioni e insofferenze contro i fumisti di ogni scuola, gli intruppati di ogni dogma. Con un piglio leg- gero. una capacità d'irrisione, che non ha l'uguale nel nostro arcigno e vaticinante mondo letterario. Lorenzo Mondo

Persone citate: Franco Lucentini, Lucentini, Lucentini Franco, Mania, Villa Adriana

Luoghi citati: Italia, Roma, Tivoli, Vienna